Punti di vista da un altro pianeta

martedì 31 maggio 2011

I sogni di alcuni sono incubi di altri

Forte delle sue origini libanesi da parte di padre e delle sue provate capacità nella danza del ventre, Shakira ha dichiarato che in un prossimo futuro le piacerebbe registrare un singolo o addirittura un intero album in lingua araba.

Pensando dunque alla sensualità del suo ombelico antropocentrico e alla forza delle curve pelagiche del suo lato B, immaginarla mentre si esibisce su un palco a Riyadh, è un po' come vedere un magistrato che diventa sindaco di Napoli.

[cit: Massimo Rocca/Radio Capital]

lunedì 30 maggio 2011

«And the winner is...»

Dopo quello che ho detto ieri riguardo la schiacciante vittoria di Pisapia (e non dimentichiamo De Magistris), c'è solo un dato che voglio aggiungere. Non tanto riguardo la debolezza dei candidati di centrodestra, la natura politica o programmatica della loro sconfitta o le ripercussioni rispetto al governo Berlusconi. Quello che mi piace osservare adesso è la grandiosa sconfitta della menzogna, dell'arroganza e della calunnia, della dissimulazione e della manipolazione, delle piazze in affitto, dei figuranti a orologeria, del cerone e del barbatrucco assortito. Mi piace pensare che questa sonora scoppola a questa destra sia uno schiaffo bruciante soprattutto ai suoi metodi mediatici da regime, alla sua vuotezza pneumatica che crede di poter essere riempita da sussurri psichiatrici nelle orecchie di Obama, da patetici indici alzati al cielo da predellini assortiti, da proclami imparruccati sempre e comunque contro.

Il risultato di questo voto, significa prima di ogni altro dato politico, che la gente vuole normalità, la gente vuole fatti, la gente vuole rispetto e la gente vuole l'umiltà e il coraggio del riconoscimento dei propri errori e il rimboccarsi le maniche da parte di chi - palesemente - ha perso per colpe (gravissime) solo e soltanto sue, non cecità, arroganza e insulti gratuiti e indecenti a un'abbondante metà del paese.

Il risultato di questo voto significa che in Italia la democrazia c'è ancora ed è ben viva e vegeta.
E scusate se è poco.

domenica 29 maggio 2011

«Aiutami Obi-Wan Pisapia, sei la mia unica speranza!»

Oggi è domenica 29 maggio. Dunque sto scrivendo queste righe qualche ora prima di sapere i risultati dei ballottaggi delle amministrative e in particolare di quello di Milano. Però sono contento che abbia vinto Pisapia. Sono contento perché questo risultato significa che gli italiani (in questo caso almeno i milanesi), anche - e soprattutto - quelli schierati a destra, ne hanno finalmente i coglioni pieni della politica di una destra che non sa far altro che costruire la sua immagine intorno alla pratica della menzogna spudorata, degli insulti gratuiti, dei leccaculo a noleggio e dei corifei catodici e che, grufolando in questo porcile informativo e mediatico, dimostra tutto il suo tragico fallimento e la sua incapacità di essere, per natura, costruttiva e propositiva, se non all'interno delle sue logiche clientelari; di una destra che, autodichiarandosi moderata, ma accusando l'opposizione di non esserlo con gratuità e prepotenza (leggi: mentendo e denigrando senza vergogna), dunque con toni tutt'altro che moderati, rivela una pericolosa tendenza al transfert politico; di una destra abituata a tutti i comfort dell'acquisto coi soldi, pur di evitare i disagi del sudore della persuasione coi fatti; di una destra che lasciandosi trascinare nei deliri arroganti e ingannevoli del suo padrone, recitati a esclusivo beneficio della grancassa dei media compiacenti, non si accorge di lasciarsi trascinare in una palude di inciviltà, incostituzionalità e mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini tutti; di una destra che se ne va in giro a martellare pneumaticamente il jingle che non ci sono alternative al suo governo (al punto che perfino molti di quelli di sinistra hanno finito per crederci), quando invece in democrazia un'alternativa esiste sempre e una qualsiasi alternativa al suo governo oggi è buona, anzi più che buona, è ottima e auspicabile, a costo di turarsi il naso, e fare una X, anche solo per una volta, poi la prossima si vedrà.

Sono contento perché questo risultato significa che gli italiani (in questo caso almeno i milanesi e, chissà, magari anche i napoletani) non si sono fatti centrifugare il cervello dal patetico sventolio della paura di un babau con le zanne rosse, islamiche, nomadi, che nella simulazione del suo mostruoso estremismo e della sua inaudita cattiveria («Uuuuhhhhh!») ha trovato la naturale delegittimazione di se stesso anche di fronte a persone non necessariamente dotate di un cervello. Anche un solo neurone part-time è sufficiente a sgamare un inganno politico ormai troppo grosso, evidente, incivile e immorale per possedere ancora un qualche briciolo di credibilità.

Sono contento perché questo risultato significa che gli italiani (in questo caso fa fede la statistica) hanno finalmente capito, e lo hanno dimostrato, di avere di nuovo voglia di sperare, non nei miracoli o nelle panacee, ma in un futuro anche solo un po' migliore, onesto, rispettoso di così. Non c'è voluto molto in fondo. Non c'è stato nemmeno bisogno di una spada laser. E' bastata una X al posto giusto.

Pensate a che cosa avrebbe significato per la galassia se non fosse andata così.

giovedì 26 maggio 2011

A scuola di qualunquismo (ovvero qualunquisti si diventa)

Qualche giorno fa è salita alla ribalta la vicenda dell'Istituto delle Suore Marcelline di Lecce in cui in occasione dell'organizzazione di uno spettacolo canoro sui 150 anni dell'Unità d'Italia con dei bambini delle elementari, le religiose hanno messo in scaletta, e dunque dato da imparare a memoria ai bambini, tra le altre canzoni, un'autentica hit d'annata: Faccetta nera.

Prevedibile la levata di scudi di alcuni genitori, non appena la storia è venuta a galla, con conseguente esplosione di polemiche assortite. Le suore si sono giustificate dicendo che nel programma hanno inserito anche l'Inno di Mameli, Il Garibaldi Innamorato di Sergio Caputo (nota canzone risorgimentale) e, come buon peso da par condicio di rigore, Bella ciao. Il tutto a pura e semplice testimonianza di quella che nel bene e nel male è stata la Storia d'Italia degli ultimi 150 anni.

Ebbene, in linea di massima penso che un approccio del genere sia giusto, perché non è corretto tenere nascoste certe parti della Storia d'Italia solo perché in qualche modo scomode, deplorevoli o disonorevoli. Eppure c'è qualcosa che comunque mi stona. Che siano forse i risvolti didattici dell'operazione? In altre parole, non si rischia in questo modo di trasmettere al bambino, ancora distante dalla maturità per comprendere davvero quello che determinati periodi storici hanno significato e comportato per la vita della gente, nell'impossibilità di operare una distinzione consapevole dei complessi aspetti storici e sociali della questione e delle relative sfumature (che forse poi non sono nemmeno tanto "sfumature") morali, una sostanziale percezione di parità?

Non si rischia quindi di costruire nella coscienza del bambino, che è altamente ricettivo e non possiede alcun tipo di strumento critico, un sottofondo di sostanziale equivalenza tra fascismo e resistenza, operazione che poi è molto simile a quella cui si sta assistendo da qualche anno in un certo tipo di sottile revisionismo (a volte nemmeno tanto sottile) che emerge a ogni occasione possibile, come per esempio ogni 25 aprile o nelle pesanti esternazioni del premier di qualche tempo fa circa la "sinistrosità" della scuola pubblica.

Al contrario c'è almeno un unico cazzo di messaggio di base che dev'essere insegnato, spiegato, trasmesso, diffuso, scritto, parlato, cantato, disegnato, mimato, sillabato, ripetuto, pubblicizzato, fatto entrare in tutte le zucche d'Italia e del mondo e che, a dispetto delle miserie umane da cui nessuno può senza dubbio dirsi al sicuro, deve risultare una buona volta ben chiaro a tutti, ed è questo:
Non. Sono. Tutti. Uguali.

lunedì 23 maggio 2011

Grillini e Leghisti: "Mia faza, mia raza!"

Inutile che ce lo stiamo a nascondere o ci giriamo intorno: il fenomeno del Movimento 5 Stelle ha moltissimo in comune con l'ascesa primordiale della Lega. Innanzitutto il linguaggio: estremo, populista, colorato e colorito. Secondariamente lo stesso modello di target sociale: i delusi, disillusi, incazzati della politica. In terzo luogo un'analoga forma di ribellione agli schemi politici consolidati: il suo paradigma si può riassumere nelle esclamazioni "Roma Ladrona!" o "Sono tutti uguali!". Infine la conseguente considerazione principe del qualunquismo, ovvero l'indifferenza politica e il rifiuto a qualsiasi forma di apparentamento, prerogativa delle forze nuove che si radicano e prosperano nell'humus di un'opposizione definitiva e intransigente, che per questo non può fare a meno di impantanarsi nelle sabbie (im)mobili dell'autoreferenzialità.

Grillo come Bossi, dunque. Benché le cifre ideologiche dei loro movimenti divergano nel momento in cui il secondo sella il suo cavallo di battaglia emozionale con la lotta all'immigrazione clandestina con tutti i suoi annessi e connessi, mentre il primo opta di solleticare il cuore dei suoi sostenitori con tematiche a carattere ecologico. Ma forse proprio per questo non è detto che sia un caso che il movimento di Grillo dimostri, almeno in alcuni casi come Bologna e Savona, di poter intercettare una percentuale davvero notevole di elettori, proprio adesso, ovvero nel momento in cui - per la prima volta nella sua storia recente - la Lega subisce una flessione netta di consensi.

A pochi giorni dal successo nel primo turno delle amministrative e quindi dalla conquista dei primi seggi in vari consigli comunali, i Grillini continuano a sostenere la loro assoluta indipendenza al punto da non fornire neanche indicazioni di voto nei comuni, come Milano, dove tra qualche giorno si terranno ballottaggi importanti. E questa mi pare una prima grave miopia, rispetto al terreno in cui si gioca la partita dell'amministrazione pubblica e alle regole con cui la partita, volenti o nolenti, va giocata nel momento in cui si decide di scendere in campo.

Viste inoltre le similitudini esposte poc'anzi, è possibile pensare a quello che sarà il (un?) possibile futuro dei Grillini, osservando quello che è stato il percorso della Lega in questi anni? Ed è possibile pensare che una forza politica che, come spesso accade, nasce e acquista consenso grazie a una protesta sentita e vivace, dura e pura (?), rimanga ideologicamente neutrale e perpetuamente avulsa dalle logiche di alleanza e compromesso che, anche se può non piacere, nella democrazia sono il perno del processo decisionale e attuativo dei provvedimenti dell'amministrazione pubblica?

Ho la sensazione che nessuno tenga mai in debita considerazione che è assai più facile (e altrettanto più popolare) distruggere che costruire, protestare che proporre, essere cinici che essere realisti, opporsi che governare. Anzi si tratta di due concezioni di pensiero e azione diametralmente opposte e passare dall'una all'altra non è per niente facile, perché implica un lungo percorso di maturazione e autoconsapevolezza mentale che porti a un approccio di tipo diverso ai problemi e questo porta a rischiare di tradire a ogni passo il rapporto primordiale con i propri sostenitori. A titolo di (tragico) esempio, basti ricordare gli scempi che ha fatto al governo la sinistra radicale alla fine degli anni '90 proprio per la sua incapacità di valicare quel confine tra il dire e il fare. In questi anni a suo modo la Lega lo ha fatto, anche se l'aspetto meramente utilitaristico che la anima può destare più d'una perplessità.

Resta il fatto che se vogliono davvero pensare di fare politica, gli esponenti del Movimento 5 Stelle devono mettersi in testa che in qualche modo quel confine dovranno superarlo se vorranno durare più di una sola, forse indimenticabile, ma altrettanto inutile stagione.

giovedì 19 maggio 2011

Dacci oggi la nostra Ruby quotidiana

A dispetto di come ce la stanno dipingendo i media, c'è qualcosa di diverso stavolta, qualcosa su cui vale la pena soffermarsi, perché stavolta non si tratta solo di lurida, schifosa, immonda pedofilia da sacrestia. Perché naturalmente i media fanno quello che gli viene meglio: sbattere il mostro in prima pagina. E se ha addosso una tonaca, tanto meglio. C'è qualcosa di più potente a livello promozionale dell'ossimoro etico?

Però questa brutta faccenda di Sestri Ponente (Genova) non è assimilabile in tutto e per tutto alle altre storiacce di abusi sessuali su minorenni da parte di ecclesiastici. E questo aspetto, su cui i media omettono di soffermarsi (o per lo meno quelli che è capitato a me di leggere), ha dei risvolti che sono ancora più importanti e terribili del fatto di cronaca, già di per se stesso raccapricciante.

Ci sono infatti due fattori diversi dal solito in questa vicenda. Il primo è che, a dispetto di quello che a giudicare dagli SMS il prete desiderava («Non li voglio di sedici anni, ma più giovani. Quattordici anni vanno bene»), i ragazzini ancorché minorenni, erano già degli adolescenti intorno ai 16 anni, dunque non proprio dei bambini. Il secondo è che secondo quello che sembra risultare dalle indagini, il parroco "comprava" i favori sessuali dei ragazzi in cambio di droga, nella fattispecie cocaina.

Ora, pur nella consapevolezza di correre il rischio di generalizzare e semplificare e dunque di addentrarmi su un terreno per forza di cose molto minato, mi viene da osservare che rispetto al sesso, un adolescente di 15/16 anni non può essere assimilato a un bambino, poiché (a) a quell'età è già sessualmente attivo e si suppone che conosca (o dovrebbe conoscere) i meccanismi della sessualità e, pur magari non avendo il necessario bagaglio psicologico e morale per difendersi del tutto da situazioni morbose, dovrebbe essere in grado di discriminare - e giudicare - una situazione anomala, da una situazione che non lo è; e (b) a quell'età un ragazzo dovrebbe avere le facoltà psichiche e, soprattutto, le capacità fisiche per tirarsi indietro.

Difatti qui si sta parlando di sesso (su minori) in cambio di qualcosa che non è la classica "caramellina dallo sconosciuto". Vista dunque la faccenda dal punto di vista degli adolescenti, e fatti salvi i discorsi precedenti, l'idea che mi sono fatto è che in questo caso il sesso possa essere stato concesso dai ragazzi come merce di scambio per ottenere droga. Se i ragazzi si sono concessi per una dose, lo scenario che si configura assume in qualche modo connotati diversi.

Naturalmente non mi è dato sapere in che misura sia stato il prete eventualmente a iniziare i ragazzi alla droga in maniera da renderli succubi alla soddisfazione delle sue libidini, o se abbia soltanto approfittato di una loro debolezza sviluppata in contesti sociali o familiari difficili. La vicenda è scura e quantomai torbida, parlando anche di "festini in canonica". Ma resta il fatto - come sembra - che degli adolescenti hanno concesso i loro favori sessuali in cambio di droga e questo mi pare significhi almeno che nelle categorie mentali degli adolescenti questo processo di pensiero era in qualche modo pre-esistente o lo era una situazione che gli ha permesso di attecchire e proliferare.

In fondo c'è così tanta differenza tra un ragazzino italiano che pensa di vendersi per un po' di droga, rispetto a una ragazzina marocchina che decide di vendersi per un po' di soldi?

Insomma, il prete si merita una cella a vita per quello che ha fatto anche solo come uomo e ancora di più come simbolo della sacra istituzione che rappresenta, ma siete sicuri che le colpe siano tutte lì? E perché poi scandalizzarsi tanto? Il premier in fondo non ha fatto praticamente la stessa cosa a una ragazzina di 17 anni? Eppure nessuno è andato a scrivere con la vernice sui muri di Arcore: "Giù le mani dalle nostre bambine!" Volete farmi credere che si tratta di un problema solo dell'omosessualità dei rapporti? O il problema è forse legato al fatto che uno è un prete e l'altro invece si crede dio?

martedì 17 maggio 2011

Le correzioni di tutti

Non potevo tralasciare di parlare di questo libro. Anche se ora Franzen è l'autore del momento e dappertutto si sente parlare di lui. Anzi, forse proprio perché dappertutto si sente parlare di lui, posso dire con cognizione di causa che quella di questo autore non è una moda. Franzen è autore davvero forte e lo dimostra a pieno titolo ne Le correzioni.

Libro peraltro sugli scaffali già da una decina d'anni, e benché premiato, osannato e mondialmente conosciuto, ha impiegato un po' a farsi strada al livello inferiore, quello della popolarità spicciola, quello, tanto per dire, che fa' sì che uno trovi che ne parlino in coda alla cassa dei supermercati e sulla banchina della stazione, Panorama e L'Espresso, e non solo i topi di libreria e gli addetti ai lavori. Segno che i libri, quelli di valore, quelli che hanno qualcosa da dire (a tutti) e un modo di dirlo - per fortuna - hanno forse le gambe corte, ma la vita lunga. E la vita delle Correzioni è davvero lunga, come quella dei suoi indimenticabili personaggi.

Romanzone americano di stampo classico (sempre che questa parola voglia dire qualcosa), con la storia a tutto tondo di una famiglia americanatipo: due genitori e tre figli, e la vicenda che si snoda tra il racconto della vita della coppia ormai anziana, alle prese con la malattia e con il riconoscimento di un rapporto che forse non c'è mai stato, e quelle più o meno recenti di ciascuno dei tre figli, molti diversi tra loro, andato ognuno per la sua strada, nessuna delle quali è quella che i genitori (ma forse anche i figli) avrebbero voluto o vorrebbero per loro, fino a un "ultimo natale" trascorso insieme con un bel po' di cerotti a tenere insieme le fila dei loro destini. Sotto la lente della famiglia Lambert, Le correzioni diventa così una mirabile visione della società di oggi, non importa se vista da una prospettiva americana che in effetti non suona davvero molto diversa, nella sua essenza, da quella che potrebbe essere italiana o, generalmente, occidentale.

Quello di Franzen è dunque il racconto dell'esistenza di oggi, divisa tra lo smarrimento dei valori, il perseguimento del successo, la difficoltà di amare e l'impossibilità (o l'incapacità?) di comunicare. E su tutto questo aleggia lo spirito delle "correzioni", di quello che gli altri in continuazione vogliono che siamo e che facciamo, di quello che noi in continuazione vogliamo che gli altri siano e facciano, di quello che tutti vorrebbero essere ma si trovano a scontrarsi con le istanze degli altri e del destino incorreggibile come forse tutto quanto il resto, che non ha mai in serbo quello che tu vuoi o per lo meno non nei termini in cui tu credevi di volerlo, di tutto quello che non riusciamo a dire e quindi, nello stesso tempo, ad accettare.

E tutto questo Franzen lo racconta con uno stile davvero mirabile. Sofisticato e colto, ma nel contempo popolare e leggero. Al punto che se quest'autore dev'essere collocato nella schiera dei grandi autori americani postmoderni (sempre che questa parola voglia dire qualcosa), trovo non abbia niente da invidiare a De Lillo (anzi, personalmente ho trovato Le correzioni, più bello di Underworld, a parte le prime 150 pagine di quest'ultimo che sono davvero da paura), ma nemmeno a Pynchon, decisamente più difficile da digerire, e neppure a Wallace, che ha dalla sua la potenza unica di una capacità di visione trasversale e di coniugazione della testa e del cuore, ma nel contempo uno stile che un po' troppo spesso ne penalizza la fruibilità.

L'incipit:
"Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l'intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine. Nieanche un bambino nei giardini. Ombre e luce sulle zoysie ingiallite. Querce rosse e querce di palude e querce bicolori riversavano una pioggia di ghiande sulle case senza ipoteca. Le controfinestre rabbrividivano nelle stanze da letto vuote. E poi il ronzio monotono e singhiozzante di un'asciugabiancheria, la contesa nasale di un soffiatore da giardino, il maturare di mele nostrane in un sacchetto di carta, l'odore della benzina con cui Alfred Lambert aveva ripulito il pennello dopo la verniciatura mattutina del divanetto di vimini."
Le correzioni, di Jonathan Franzen (2001, Einaudi)

venerdì 13 maggio 2011

Salvare l'acqua è roba da socialisti? (ovvero se il pianeta è "rosso", ci sarà un perché)

Ora, non è che siccome Marte oggi non ha più acqua fluida in superficie e i suoi panorami assomigliano più di quanto voi pensiate ai vostri deserti più aspri, voi potete prenderci ad esempio, così, senza neanche la minima idea di come sono andate davvero le cose. Invece è quello che è successo qualche settimana fa, a margine della Giornata Mondiale dell'Acqua, quando Hugo Chavez, presidente del Venezuela, avrebbe dichiarato qualcosa del tipo: «Ho sempre detto, sentito, che non sarebbe strano se fosse esistita una civiltà su Marte. Forse, però, è arrivato il capitalismo, è arrivato l'imperialismo e ha distrutto il pianeta... Attenzione! Qui sulla Terra solo pochi secoli fa c'erano grandi foreste e adesso ci sono deserti. Dove c'erano fiumi, adesso ci sono deserti!»

A tale riguardo, mi piace lasciare che rispondano le parole di Giovanni Virgilio Schiaparelli, uno dei vostri più grandi studiosi di Marte della storia, primo grande cartografo di Marte, reso celebre dalla scoperta nel 1870 dei "canali" (risultati poi inesistenti, ma senza i quali forse nemmeno io sarei qui con voi oggi), che nel 1895 sulla rivista Natura e Arte, a proposito di Marte e del problema della gestione dell'acqua (su Marte), scriveva:

"[...] E se in Marte esiste una popolazione di esseri ragionevoli capace di vincere la Natura e di costringerla a servire ai propri intenti, la regolata distribuzione di quelle acque sopra le regioni atte a coltura deve costituire il problema principale e la continua preoccupazione degli ingegneri e degli statisti...

[...] E passando a un ordine più elevato di idee, interessante sarà ricercare qual forma d'ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose, quale abbiamo descritto; se l'intreccio, anzi la comunità d'interessi, onde son tra loro inevitabilmente legati gli abitanti d'ogni valle, non rendano qui assai più pratica e opportuna, che sulla Terra non sia, l'istituzione del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti qualche cosa di simile ad un colossale falansterio, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti."

(da Schiaparelli e Marte: un sogno scientifico - Edizioni Scientifiche Coelum)

martedì 10 maggio 2011

Habemus Sòlam

Non sono un morettiano, di quelli convinti, non faccio parte dello zoccolo duro dei suoi fan, né ho messo le bandierine su tutta la sua filmografia, tant'è che - al cinema - di suo ricordo di aver visto solo (l'insopportabile) La stanza del figlio. Sono solo uno che ama il cinema, soprattutto se è di qualità, soprattutto se - oltre a intrattenere - si dimostra capace di dire qualcosa che vada al di là dei soliti cliché e mostri punti di vista e sensibilità inediti sulle persone e sul mondo. Dunque sono andato a vedere l'ultimo Moretti, ma non tanto nella predisposizione (e aspettativa) d'animo di assistere a un film di Moretti, con le dinamiche di Moretti, i dialoghi di Moretti, i silenzi di Moretti, le frecciate di Moretti e, complessivamente, il tono surreale di Moretti. Ci sono andato nella convinzione che il soggetto in questione (quello, insomma, del Papa che non se la sente di fare il Papa) fosse qualcosa di potenzialmente molto interessante, di estremamente coraggioso, di profondamente e disperatamente umano, al di là del ruolo che la Fede possa avere in tutto questo. L'unione di questo tema con la visione assolutamente atea e disincantata di Moretti e la sua tipica satira surreale, mi sono detto, devono costituire una miscela davvero imperdibile.

Invece no. Ho messo la testa fuori dal cinema con l'idea di aver assistito a un fulgido esemplare cinematografico di occasione sprecata. E il motivo è presto detto. Tutte le davvero eccezionali premesse si esauriscono in un ottimo inizio (quello sì, molto morettiano), fino alla scena della convocazione di Moretti in Vaticano e al suo primo incontro psicanalitico col Santo Padre. Fino a quel punto (ma sono davvero non più dei primi 10/15 minuti) il film promette moltissimo. Ma invece di proseguire su quella strada, lì la storia fa la fine di una balena su una spiaggia e si esaurisce, almeno nella misura in cui il ruolo istituzionale del personaggio di Moretti esce praticamente di scena (Moretti ovviamente resta in campo, ma in pratica il suo personaggio non serve più alla parte per cui era stato chiamato, ovvero lo psicologo che dovrebbe cercare di risolvere i problemi del Papa). La vicenda prosegue invece lungo tutta una serie di situazioni autoreferenziali, buone solo per contenere qualche battuta morettiana fine a se stessa (come la storia della moglie di Moretti - una Buy sprecata -, o la faccenda della guardia svizzera usata da simulacro, o tutta la faccenda del torneo di pallavolo), e che si limitano a fungere da traino a una trama che finisce per vivere dell'intensissima e mirabile interpretazione di Michel Piccoli, che - da solo - regge le sorti del film e contribuisce a far sì che lo spettatore esca dal cinema almeno con la sensazione di non sentirsi defraudato dei soldi del biglietto.

Moretti, dunque, a mio avviso, ha tagliato maluccio il suo diamante grezzo. A dispetto del fatto che si possa cedere alla facile lusinga di intravedere un intento del regista di parlare di Joseph Ratzinger e pertanto della sua eventuale inadeguatezza a ricoprire il ruolo papale (le immagini iniziali sono indiscutibilmente e palesemente tratte dalle esequie di Wojtyla, benché riferimenti alla realtà nel film non ne vengano mai dati), il modo con cui la sceneggiatura si sviluppa non porta davvero avanti i temi cardine della vicenda, né rispetto al ruolo della Fede o della sua contrapposizione con il non credente, né rispetto alla fragilità umana di un uomo che si ritrova sulle spalle un ruolo, che nessuno (dei cardinali) sembra volere, e che rispetto al quale sembra dover servire una dose di forza e di coraggio sovra-umana per poter essere (sop)portato. Non costruisce una visione, Moretti, non giunge a conclusioni, non suggerisce nemmeno riflessioni, a parte quella, che più banale non si può, della difficoltà di accettare un ruolo come quello di Papa. Ho quasi avuto l'impressione che Moretti, il quale non ha mai indugiato alla tentazione dell'autocensura, tutt'altro, in questo caso non sia stato capace (per mancanza di volontà o di coraggio?) di affondare il colpo, di graffiare, di andare a denudare le radici di quelle difficoltà profonde che sono anche quelle di tutti noi, sia di fronte alle prove più o meno grandi che la vita ci chiede di (sop)portare, sia rispetto al mistero dell'esistenza e dello scopo di essa, di cui la Chiesa tenta di somministrare (come ogni religione) una spiegazione preconfezionata, ma le cui contraddizioni morali e politiche in cui versa da sempre, contribuiscono a minarne la stimabilità.

Insomma, «Moretti, di' una cosa da ateo, di' una cosa anche non da ateo, da laico, Moretti di' una cosa, di' qualcosa, reagisci!»

venerdì 6 maggio 2011

Abbottabad 7 giorni/6 notti

Operatore: Barack Travel
Struttura: Compound o equivalente
Trattamento: pensione completa, all inclusive
Notti: 6
Partenze da: Milano Malpensa / Roma Fiumicino con volo speciale
Attività comprese: visita al nascondiglio di Osama con guida parlante italiano; simulazione blitz Navy Seals (notturna, equipaggiamento a noleggio in loco)
Attività facoltative: simulazione uccisione terroristi (99$* pp, armi, pallottole** e assicurazione speciale incluse); giornata di addestramento Jihad in campo afghano originale (599$*** pp, trasferimento aereo A/R incluso); Kamikaze Experience al Mercato di Islamabad - Due ore di adrenalina pura! (399$****, un'esclusiva Barack Travel!)
Formula: roulette (russa)

[* Per tutti;
** A salve;
*** Necessario certificato medico di sana e robusta costituzione fisica;
**** Trasferimento aereo incluso solo andata. Esplosivo a carico del cliente, da acquistare in loco. Non consigliato ai minori di anni 12].

mercoledì 4 maggio 2011

La Verità su Osama (in esclusiva!)

Poi, puntuali come un treno svizzero puntuale, arrivano le teorie dei complotti. Quello che ci hanno detto era tutto falso. Il personaggio non era lui e la bara era piena di pietre pakistane, altrimenti perché non ci avrebbero fatto vedere neanche una foto? E perché poi buttarlo in mare in fretta e furia? E comunque anche se condividessero le foto su Facebook e un milione di persone cliccasse su [Mi Piace], ci sarebbe sempre Photoshop, no? Come quando non siamo andati sulla Luna. Sul crollo delle Torri Gemelle, in effetti, ci sono più dubbi, ma è storia vecchia quella, ormai.

No, no, la faccenda non convince per niente. E quando mai lo fa? Ci sono sempre regie occulte, strategie manipolatorie di massa nascoste dietro a ogni angolo, disegni consapevoli e, soprattutto, coordinati globalmente ad arte. Logge massoniche talmente segrete, da essere segrete anche alle logge massoniche segrete, che tirano i destini del mondo come fili di burattinai cosmici. Riunioni di maschere veneziane nel regno di Agharti che si arrogano il diritto di decidere in anticipo che cosa deve accadere, a chi, quando e come, facendosi scudo del principio dell'inconoscibilità della Verità, e diffondendo artatamente la stessa teoria complottista per autoscreditarla e restare così perpetuamente nell'ombra. Il tutto sempre in barba al buon vecchio rasoio di Occam.

Quindi lasciate che vi dica io come stanno le cose.

Il corpo di Osama Bin Laden è stato portato nell'Area 51. E basta.

martedì 3 maggio 2011

Quello che ci resterà della morte di Osama

Tra qualche tempo, quando le acque si saranno calmate e l'euforia diventata noia, quando le bandiere verranno ripiegate sfilacciate e le candele saranno mozziconi, e il ricordo del giorno dell'annuncio della morte di Osama Bin Laden sarà solo un capitolo verso la fine del libro di storia dell'ultimo anno del nostro nipotino, una sola cosa resterà nella nostra memoria sbiadita a eredità imperitura di quella giornata epocale.

Sarà una cosa che ci tramanderemo, una cosa che, grazie alla sapienza e alla lungimiranza dei media e degli organi di informazione che hanno sempre bisogno di attribuire almeno una caratterizzazione singolare a un evento in maniera univoca, possibilmente inedita e originale, perché è questo che conferisce personalità e resta impresso nelle memorie collettive, entrerà a far parte (insostituibile) del nostro bagaglio culturale. Qualcosa senza cui non potremo più fare a meno, pur ignorandone il perché.

E anche se, a distanza di anni, continueremo a non comprendere il motivo per cui ci è stato propinato, quella sarà una delle poche cose di quella storia che ci sarà rimasta, fissa nel ricordo come un tatuaggio che non volevamo. Un surrealismo lessicale. Una pigrizia traduzionale. Un esotismo informativo. E vecchi e stanchi, nella nostra poltrona comprata a rate a tasso zero, non smetteremo di cercare la risposta a quella ormai vecchia, annosa domanda:
«Ma cosa cazzo è un compound?!»

lunedì 2 maggio 2011

Ballando sul morto

Perché dovrei gioire perché un uomo è stato ucciso? Con la stessa partecipazione del rigore decisivo dei mondiali di calcio? Dove sta il motivo di tanta gioia? Come se l'avessi tirato io, quel rigore, ovvero premuto quel grilletto? La rete che si gonfia, il cranio che si spezza. E via con le bandiere, i clacson, le birre nei bicchieri di plastica, la ola e i caroselli. Forse nell'illusione che questo segni la fine del terrorismo e dunque della paura? Che l'eliminazione fisica del simbolo di un movimento così diffuso, destrutturato e articolato come Al Qaeda, possa implicare l'estinzione del movimento stesso? Che l'esposizione delle foto del morto possano restituire un significato reale a quel concetto di giustizia invocato nel suo messaggio dal Presidente Barack Obama («Giustizia è fatta!») rispetto alle migliaia di civili rimasti sul campo di un conflitto che è prima di ogni altra cosa ideologico e culturale?

Perché non ho alcuna voglia di danzare sul cadavere di un uomo morto ammazzato, ancorché senza dubbio non uno stinco di santo, un finanziatore di stragi, un sobillatore di disordini, un plagiatore di kamikaze, uno che portava il kalashnikov come la gente porta l'iPhone? Forse perché ho la sensazione che tutto questo valga soprattutto a titolo di un'operazione di chirurgia estetica per l'amministrazione americana? Forse perché mi aspetto - oggi ancora più di ieri - che da un momento all'altro scoppi una bella bomba in un posto molto affollato di bambini? O forse solo perché mi dà i brividi sentire il freddo della carne morta sotto i miei piedi?

domenica 1 maggio 2011

E il Vaticano si rubò il Primo Maggio

"Il 1° maggio, universalmente giorno dedicato ai lavoratori, in Italia è stato requisito dalla gerarchia cattolica, segnatamente dal Vaticano che ha deciso di beatificare Giovanni Paolo II, il papa polacco, in questo giorno, con una volontà di prevaricazione ostentata e con l’intenzione di oscurare con una massa religiosa il 1° maggio laico, contrapponendo due celebrazioni, laica e cattolica, in modo artificiale e polemico.

E’ vero che il papa polacco fu un operaio. Lo fu solo per un anno o poco più. Non si può quindi dire che un «operaio», ma piuttosto che fece una esperienza di lavoro. Vendere questa esperienza come uno status qualificante è falso e mistificatorio. Non è degno di chi crede comportarsi così.

Beatificare il papa polacco può rientrare anche negli affari interni alla gerarchia cattolica, ma è certo che una gran parte della Chiesa non partecipa a questa operazione di marketing della religione per risollevare le sorti di una religiosità languente. Non è così che si testimonia la fede, così la si uccide soltanto perché questo genere di eventi mettono in evidenza l’esteriorità: le grandi masse, i numeri, il folclore, l’illusione di dire che «erano in tanti» come sinonimo di richiesta di religione. Siamo in pieno paganesimo religioso perché si sfrutta il sentimentalismo per affermare una visibilità che nasconde il vuoto e il paganesimo dello stesso personale clericale. Sceneggiate. Parate. Mondanità.

Si dice che dopo la prima ubriacatura, oggi a pochi giorni della saga papale, si teme un flop che fa paura a gli organizzatori che spendono per questa dimostrazione di forza debole una enorme quantità di denaro che poteva essere usato per i migranti o per altri scopi nobili sociali. Il costo dell’operazione è di € 1 milione e 200 mila, mentre al Comune di Roma tra straordinari e logistica costerebbe € 7 milioni e mezzo. Una cifra enorme, buttata al vento per una manifestazione con tanti interrogativi.

Il papa polacco come uomo fu dirompente, carismatico, carnale e sanguigno: fu un uomo vero che si tuffava in mezzo all’umanità e vi restava. Ciò detto e riconosciuto, come papa fu il peggior papa del secolo scorso perché polacchizzò la Chiesa, consegnandola nelle mani delle sètte religiose che hanno frantumato il volto unito della sposa di Cristo. L’Opus Dei controlla le finanze del Vaticano e la cultura teologica, messa come cane da guardia per fare morire la Teologia della Liberazione.

Comunione e Liberazione a livello nazionale e non solo è la longa manus del Vaticano in Italia, via privilegiata per accedere alle stanze del governo e delle leggi e poco importa se le Compagnia delle Opere, si esercita a fare affari con mafiosi e delinquenti. Poco importa se i due Istituti fanno a gare nell’arruolamento dei deboli a privare della coscienza chiunque si affaccia nel loro cortile. Poi vi è il lupanare dei Legionari di Cristo protetto e difeso anche di fronte all’evidenza delittuosa e immonda di un superiore generale pedofilo e padre di figli disseminati come noccioline.

L’obiettivo di tutta questa nuova fregola di evangelizzazione è uno solo: annientare definitivamente il concilio Vaticano II, il cui solo nome è sintomo di destabilizzazione nel mondo curiale e clericale. Noi celebreremo come possiamo il 1° maggio con un concerto dedicato ad un lavoratore della musica, il M. Emilio Traverso nel IV anniversario della sua morte e con lui pensiamo a tutti i lavoratori del mondo che cooperano alla grandezza del mondo."

Don Paolo Farinella

(da La beatificazione di Wojtyla è un’operazione di marketing, da MicroMega, 21 aprile 2011)

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