lunedì 31 gennaio 2011
venerdì 28 gennaio 2011
La neve e la cenere



La testimonianza prosegue di tragedia in tragedia fino alla liberazione del 1945. Poi, prosciugati dal lungo orrore, si esce sul piazzale antistante, assolato come un deserto, dove c'erano le due file di diciassette baracche ciascuna che ospitavano i prigionieri. Oggi ne restano solo due, ricostruite per essere visitate, con le brande in legno a castello a tre piani. In fondo al viale, i memoriali dedicati ai cattolici, ebrei e musulmani che qui hanno lasciato la vita, mentre più in disparte il crematorio. Tornando verso l'edificio principale si nota una grande scultura che domina il piazzale. Si tratta del Monumento Internazionale alla Memoria di Nandor Gild (1968) che stilizza un filo spinato con un groviglio corpi umani. Trovo sia molto bella e che valga la pena una fotografia. Ma sembra che, dopo il cancello con la scritta, questo sia il soggetto preferito dai visitatori. Tutti lì davanti a farcisi fare una foto da far vedere alla mamma. E io, che vorrei scattare una foto senza (un cazzo di) nessuno davanti, non riesco. Cioè per un po' paziento e aspetto l'attimo buono. Poi arrivano due tizi (NB non italiani) che hanno tutta l'aria della coppia di omosessuali (ma magari mi sbaglio, eh). Comunque sia, 'sti due gironzolano avanti e indietro il monumento per un po'. Poi si decidono. Uno - quello con la macchina fotografica - si allontana e va a prendere posizione per l'inquadratura. L'altro si mette in posa sotto il monumento. Quindi mentre il primo comincia ad allineare l'obiettivo della digitale per lo scatto, l'altro fa una risatina, si volta di culo e mima di tirarsi giù i calzoni (giuro, non me lo sto inventando). Quindi si rigira per essere immortalato, ancora più divertito.

Esco riflettendo che non si va a Dachau per fare del turismo. Non si va a Dachau per giocare a nascondino. Non si va a Dachau per mettersi in posa. Del resto a Dachau mica ti vendono le palline di vetro che se le capovolgi, sulla piccola schiera di baracche vedi scendere la neve. Ma forse è solo perché nessuno ha ancora pensato di farle con la cenere.
giovedì 27 gennaio 2011
Memory Reloaded
Il fatto che in altri momenti storici la congiunzione di Crisi Economica e Propaganda (feroce) abbia portato a effetti politici e sociali terribili e devastanti, fa' sì che il Giorno della Memoria acquisisca, oggi, ovvero in un momento storico di Crisi Economica e Propaganda (feroce), un significato ancora più forte. Per questo ripubblico, oggi e domani, il reportage della visita che ho fatto quest'estate al campo di concentramento di Dachau. Il mio modo per non dimenticare.
Dachau non è un luogo. Dachau è un tempo. Dachau è una memoria con i denti di lupo. Non ci vuole molto a seguirne le tracce, l'odore, la scia. Da Innsbruck saranno poco più di 200 km. Due ore e mezza di strada rispettando i limiti. Si segue la direzione München, si supera l'ostacolo della tangenziale e, nella periferia a nord-ovest della capitale bavarese, ci si ritrova in questa cittadina fondata nell'805 d.C. a seguito del dono da parte della nobile Erchana della stirpe degli Ariboni di tutte le sue terre site in Dachauua all'arcidiocesi di Monaco e Frisinga. In realtà dalla cittadina non ci si passa, se non si desidera. Usciti dall'autostrada si seguono le indicazioni per [KZ-Gedenkstätte], che ci sono, ma sono scritte al microscopio elettronico e rigorosamente in tedesco (non è che ci tengono a fare molta pubblicità internazionale a Dachau, i tedeschi, e c'è da capirli) - quindi, o sai esattamente che cosa devi cercare, o sei fregato - finché dopo una manciata di minuti si arriva al parcheggio nascosto da alte siepi. Si pagano 3€ per mettere l'automobile nel piazzale, dopodiché non ti verrà chiesto nient'altro, se non leggere, riflettere e ricordare. I brividi nella schiena ce li metterai tu.

Per giungere all'ingresso della struttura c'è un breve tratto da fare a piedi, la ghiaia che scricchiola sotto i piedi sono frammenti di ossa polverose. È metà mattinata e non c'è ancora molta gente. Da qui ancora non si vede niente, ma c'è già qualcosa che mi prende nel mezzo del petto. Suggestione o altro? Non so. Però so che quando sento delle voci (NB italiane) che parlano ad alta voce, mi fanno l'effetto delle unghie su una lavagna. Vorrei dirgli qualcosa. Qualcosa che ha a che fare col rispetto del dolore e l'omaggio alla memoria. E se fossero stati dei ragazzini forse l'avrei fatto. Ma costoro ragazzini non sono. Sono signore e signori, maturi e attempati, che parlano di frivolezze come se si stessero aggirando alla fiera patronale, tra banchi di mutande e pentole antiaderenti. Meglio superarli e lasciarseli indietro. Eppure il loro atteggiamento lascia un residuo dentro di me, come un retrogusto che devo ancora identificare e che solo verso la fine della visita riuscirà a mettere a fuoco.
Il tempo per orientarmi e mi trovo al cospetto della cosiddetta Jorhaus Tor, il cancello situato nell'edificio dove si trovava il comando delle SS, attraverso cui tutti i prigionieri dovevano passare per entrare nel campo. Anche qui, come nel caso di Auschwitz e di molti altri lager, nella trama del ferro battuto fa bella mostra di sé il grottesco e crudele messaggio di benvenuto ai prigionieri Arbeit Macht Frei, ovvero Il lavoro rende liberi, come un cioccolatino sopra il cuscino nella stanza dell'hotel. E proprio lì davanti non posso fare a meno di notare la calca disordinata di gente (NB non solo italiani) che fa a gara per farsi immortalare con la scritta sulla sfondo. «Chiudi la porta..., dà i chiudi la porta che non si vede bene la scritta, ok, così va bene, ora vai un po' più indietro, a destra, aspetta..., abbassati un po', okay, sì ma sorridi, fico!... clic, oh, no aspetta è venuta una schifezza, troppo scura, rimettiti lì. E richiudi quella cazzo di porta! Vabbè, aspetteranno un attimo per passare, 'sti stronzi...», e via in tempo reale su Facebook/Twitter/Flickr/Splinder/Blogger...
La visita prosegue nel grande edificio principale, dove erano situati guardaroba, cucine, officine e bagni, nonché un certo numero di spazi dedicati a tortura e vessazioni assortite. L'esposizione ripercorre cronologicamente la storia del campo, partendo dall'antefatto, ovvero dalla situazione politica e sociale venutasi a creare in seguito alla disfatta della Germania nella I Guerra Mondiale, la Repubblica di Weimar, la grave crisi economica e sociale degli anni '20, la conseguente progressiva ascesa del NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei), e la sua affermazione nelle elezioni del 1932. Dachau fu il primo "campo" istituito da Hitler solo poche settimane dopo la sua "presa di potere" avvenuta il 30 gennaio 1933, per togliersi di mezzo soprattutto gli avversari politici, comunisti innanzitutto, ma anche socialdemocratici, sindacalisti e in seguito pure conservatori e monarchici. Il suo triste primato lo rese anche una sorta di campo di "esempio" e di "prova" per tutte le sistematiche e disumane applicazioni di abuso, violenza, tortura e sterminio che sarebbero venute da lì in avanti, sempre più efferate, fino alla fine della II Guerra Mondiale. Ma di questo ne parliamo domani.
[Nota: "Unsere letzte Hoffnung" significa: "La nostra ultima speranza"]
/continua


Per giungere all'ingresso della struttura c'è un breve tratto da fare a piedi, la ghiaia che scricchiola sotto i piedi sono frammenti di ossa polverose. È metà mattinata e non c'è ancora molta gente. Da qui ancora non si vede niente, ma c'è già qualcosa che mi prende nel mezzo del petto. Suggestione o altro? Non so. Però so che quando sento delle voci (NB italiane) che parlano ad alta voce, mi fanno l'effetto delle unghie su una lavagna. Vorrei dirgli qualcosa. Qualcosa che ha a che fare col rispetto del dolore e l'omaggio alla memoria. E se fossero stati dei ragazzini forse l'avrei fatto. Ma costoro ragazzini non sono. Sono signore e signori, maturi e attempati, che parlano di frivolezze come se si stessero aggirando alla fiera patronale, tra banchi di mutande e pentole antiaderenti. Meglio superarli e lasciarseli indietro. Eppure il loro atteggiamento lascia un residuo dentro di me, come un retrogusto che devo ancora identificare e che solo verso la fine della visita riuscirà a mettere a fuoco.


[Nota: "Unsere letzte Hoffnung" significa: "La nostra ultima speranza"]
/continua
mercoledì 26 gennaio 2011
Psicopatologia della politica quotidiana (rewind)

Il fenomeno del transfert in S. è stato osservato più volte e con una ripetizione di contesti ossessiva-compulsiva di tipo quasi maniacale che esclude qualsiasi tipo di casualità . Nella fattispecie, una delle più frequenti situazioni-tipo rilevate è quella in cui il paziente tende genericamente ad accusare l'interlocutore di averlo insultato, quando invece è lui il primo a indulgere alla villania, peraltro quasi con un certo autocompiacimento. Spesso per fare questo utilizza lo stratagemma della battuta, ma risulta forzato e falso e si capisce che è l'inconscio a venirgli in soccorso per dissimulare un comportamento che lo stesso paziente sa essere deprecabile. È stato osservato tra l'altro che tale condotta si rivolge specialmente verso membri del sesso femminile nei confronti dei quali il paziente dimostra uno scarso senso di rispetto e un innato sentimento di maschilistica arroganza. Senza contare che l'ambito di tali insulti coinvolge sovente all'aspetto estetico, cosa che denota un'ossessione patologica del paziente per l'esteriorità , non solo quindi dell'interlocutrice femminile, ma - nell'ottica proiettiva - anche di se stesso. Una presunzione narcisistica quindi, peraltro già confermata tricologicamente e verificabile anche a una semplice occhiata.
Una seconda situazione-tipo è quella in cui il paziente accusa il suo interlocutore (di nuovo l'accusa preventiva, utilizzata a baluardo difensivo), spesso indulgendo alla veemenza e al turpiloquio, sempre con modalità espressive a senso unico, di ribaltare la realtà , quando si è reso altresì evidente in occasioni plurime che è invece lui stesso ad avere l'inclinazione al sovvertimento di ciò che lui stesso ha dichiarato, sostenendo (il giorno dopo una data dichiarazione) di essere stato frainteso, quando basterebbe il riascolto delle sue affermazioni per capire che non poteva essere frainteso in alcun modo. In questo comportamento si denota un'avversione per una realtà che il paziente vorrebbe controllare sotto tutti gli aspetti, ma si accorge di non riuscirci mai nella misura in cui vorrebbe. Tale aspetto configura nel paziente la tendenza sempre meno latente al delirio onnipotentivo.
Una terza circostanza peculiare e ricorrente è l'accusa (N.B. ancora l'accusa precauzionale), questa volta non a un singolo interlocutore, ma a intere categorie professionali, di essere "un cancro", di "mettere a rischio la democrazia", di essere un pericolo per la "libertà " e via di questo passo. In questo caso l'elemento del transfert persecutorio raggiunge il suo apice e sottolinea il ruolo dell'inconscio del paziente che sposta caratteristiche proprie su altre persone a titolo di autosalvaguardia. In accordo con l'interpretazione freudiana, si ritiene in prima battuta che le proiezioni illustrate configurino nel soggetto gravi elementi di paranoia per il trattamento dei quali (e per evitare che lo stesso paziente faccia del male a se stesso e - soprattutto - al Paese) si consiglia di procedere a un immediato ricovero del paziente a tempo indeterminato in un'apposita struttura riabilitativa. Si raccomanda una stanza con pareti imbottite e infermiere ciospe."
[Nota: come accennato dal "rewind", questo post non è inedito, bensì del 25 marzo scorso. Poiché può essere sfuggito a molti (il blog era agli inizi), ho pensato di riproporlo oggi (con qualche insignificante variazione): mi sembra sempre in tema.]
lunedì 24 gennaio 2011
Le coordinate della felicitÃ



venerdì 21 gennaio 2011
Provare a prendere la politica (e i suoi luoghi comuni) per le palle

E non ne faccio una questione strettamente moralista. E nemmeno d'onore. Sono convinto che il titolo "onorevoli" attribuito agli eletti in Parlamento provenga tradizionalmente da loro stessi (smentitemi se non è così), come ad autoaffermare e rafforzare di fronte al popolo la propria legittimità a stare lì. Insomma non si viene eletti perché si è onorevoli, ma si è onorevoli perché si è eletti. Dunque non sono così ingenuo da pensare che possa esistere una politica "pura", immune ai suoi propri meccanismi seduttori e compromissorî.

Ebbene, Cotroneo apprezzato scrittore (da non confondere con l'omonimo Ivan con il quale non mi risulta imparentato), partendo dall'analisi di C'è un'Italia migliore, libro di Vendola edito da Fandango, contesta al leader di SEL il fatto di essere "emozionale", ma che alla
"fine l’elenco dei temi seri affrontati da Vendola in questo libro è identico a quello dei luoghi comuni a cui sono collegati. Condivisibili i problemi. Eppure misteriose le soluzioni."E Cotroneo non è il primo che sento esprimersi in questo modo a riguardo. Alla sinistra si contesta sempre la vacuità del pensiero. Grandi ideologie, ma nessun idea, grandi speranze, ma nessuna soluzione, grandi discussioni, ma nessuna azione, così, presto o tardi, la bolla di sapone - pop! - finisce per esplodere e non ne resta niente. Tanto (pro)fumo e niente arrosto, insomma, neanche una briciola. Il problema è che a me questa considerazione, in cui è caduto (anche) Cotroneo, sembra essa stessa diventata un annoso e pregiudizievole luogo comune.

Alla fine quello che conta prima di ogni altra cosa, dunque, non sembrano essere le idee (sempre opinabili), non le capacità personali (Superman non esiste), nemmeno l'onestà (la politica corrode). Che cos'è allora che dovrebbe importare secondo voi? Che cosa dovrebbe realisticamente cambiare? Come si può uscire da questo disorientante labirinto escheriano le cui pareti sembrano fatte di qualunquismo riflettente?
Un'idea a riguardo ce l'ho, ma mi piacerebbe sentire prima voi senza condizionare le vostre risposte.
[Credit: la foto della bolla di sapone è di Richard Heeks]
martedì 18 gennaio 2011
Ridateci i cerchi nel grano, per favore!

Il servizio di chiusura della serata di ieri è dedicato a Stephen King, lo scrittore, proprio lui, e la prima cosa che viene da chiedersi è: che cosa diavolo c'entra King con Voyager?! È stato recentemente rapito dagli alieni? I suoi libri sono dettati in scrittura automatica da spiriti di trapassati? O è lui stesso un extraterrestre? No, è assai più probabile che sia solo un discendente dei templari. O che il suo potere - vai a vedere - sia dovuto al fatto che in realtà è il custode del Graal o dell'Arca dell'Alleanza o di entrambi. E per questo lui è immortale, onnisciente e dotato di poteri che neanche ci sogniamo.
Quindi il servizio prosegue alternando immagini di questa graziosissima cittadina della provincia americana, con i suoi parchi, le sue cisterne, le sue lapidi e i suoi cittadini (tutti sovrappeso), con le interviste di un paio di individui del luogo: un libraio, che ci rivela - bontà sua! - che King è un grande e le sue storie sono fortemente legate a Bangor e a quei luoghi, e un altro scrittore locale, che afferma di aver riconosciuto almeno dieci posti di Bangor e dintorni (addirittura dieci? Su oltre trenta romanzi e racconti?! That's really cool!) riportati nei libri di King e che il Maine è un luogo impervio con lunghi inverni oscuri, freddi e inospitali, dove non è difficile immaginare di restare isolati o non soccorsi dopo un incidente. E questo, manco a dirlo, scatena l'immaginazione. Figuriamoci la nebbia in val padana.

Ora c'è bisogno di dire che è ovvio che ogni esperienza fa lo scrittore? C'è bisogno di dire che è ovvio che un luogo e le sue suggestioni fanno lo scrittore? C'è bisogno di dire che è ovvio che uno scrittore metterà in qualche modo dentro le sue storie il suo vissuto, i suoi luoghi, i suoi personaggi, in generale le sue conoscenze ed esperienze filtrate ed elaborate dalla sua immaginazione e dalla sua sensibilità ? Che cosa c'è di strano in tutto questo? Nulla. Qual è il segreto? Nessuno. Che cosa rende tutto questo in tema con una trasmissione di misteri? Niente, se non Giacobbo stesso e il fatto che l'unico vero voyager qui è proprio lui che, in compagnia di almeno un operatore, si è fatto una bella vacanza nel Maine a spese dei contribuenti solo per inanellare una serie di idiozie vuote e pretestuose, come un jackpot di disonestà intellettuali, che suonano come una truffa giornalistica e un vero e proprio insulto all'intelligenza dello spettatore medio. Bè, su quest'ultima però non ci giurerei.
lunedì 17 gennaio 2011
venerdì 14 gennaio 2011
Sotto la vernice della realtÃ


(Almeno) tutto questo è Acquaragia, pregevole raccolta di racconti di Stefano Domenichini edita da Perdisa Pop. A proposito di quello che si diceva, tenete d'occhio entrambi, ci sanno fare.
Tre gocce:
"Poi vide un triangolo scaleno che si guardava allo specchio sentendosi brutto e solo. Il Tato aveva la bocca secca. Qualcuno gli diede da bere, o comunque sentì qualcosa di umido che gli accarezzava la lingua. Riapparve il triangolo scaleno. Era abbracciato a un esagono e si sentiva felice." (da La febbre del pellegrino)
"Se i tappeti volassero si potrebbe correre sempre all'ombra. Ho gli addominali contratti, la schiena protesa, flessa. La testa appoggiata al ginocchio, piegato contro la spalla. Gli occhi fissi sulla punta del piede, sollevata fino a estenuare il tendine. Mi sto tagliando le unghie. Dei piedi. Sul tappeto. Se i tappeti volassero le spiagge avrebbero due piani." (da Acquaragia)
"Sparare a Walter Matthau sotto un colonnato di Parigi. Ecco una cosa che non ho mai fatto. Come del resto invitare una donna a cena dicendo: «Dimmi cosa vuoi mangiare che mi metterò qualcosa in tinta». Quasi sempre accettavano, si vede che qualcosa di interessante la inventavo. Mia moglie è morta da quindici anni. Hanno smesso di vendere la saponetta Camay." (da Trilogia di Natale)
Acquaragia, di Stefano Domenichini, Perdisa Pop (Corsari).
[Credit: la foto dei piccioni è di Alex Healing]
martedì 11 gennaio 2011
Oroscopando ovvero degli indiscutibili vantaggi di avere Marte in trigono

Ah, che bello davvero sarebbe, se tutti quanti voi credeste agli oroscopi. Ma sul serio, però. Mica come colui che si crede Fox e scrocca il giornale al bar o dal parrucchiere e salta politica, cronaca, esteri, sport, cinema, cultura, persino il gossip, e fila dritto alla pagina del Tempo Libero, per vedere in anticipo come sarà il suo tempo nel 2011. Dare una sbirciatina alle previsioni della vita come alla cartina del meteo, per decidere se varrà la pena uscire di casa oppure no. Tanto lo sa che dovrà metterlo lo stesso il naso fuori. E se poi si ritrova la porta sbarrata? Perciò non è nemmeno questo il punto.


Significherebbe che dovreste sentirvi talmente intrecciati vicendevolmente, da essere spinti (almeno) a rispettarvi di più, gli uni con gli altri, perché come i pianeti - influenzandovi - sono parte di voi, anche voi dovreste sentirvi parte dello stesso organismo che vi unisce, voi terrestri, ma anche noi marziani, tutte le cose viventi e tutte le cose non viventi, in una comunione invisibile, ma simbiotica, integrale e universale. Con il destino di uno che dipende da quello di tutti gli altri e viceversa, come un esercito solidale di moschettieri dell'universo.
Che bello sarebbe, se tutti quanti voi credeste agli oroscopi! Ma sul serio.
Non sarebbe forse un mondo migliore?
venerdì 7 gennaio 2011
Breve elogio della maglia


Come ogni attività creativa, naturalmente, ha i suoi tentativi e le sue ripartenze, le sue esperienze e i suoi vicoli ciechi, le sue banalità e i suoi lampi di genio, indifferenze e meraviglie, croste e capolavori.
Ma tutto questo non la rende forse, a maggior ragione, un'Arte?
(dedicato a Knitting Bear e al suo marzianino, con gratitudine)
lunedì 3 gennaio 2011
Comunicazione (astrale) di servizio

L'eclisse in questione non sarà dunque "totale", bensì "parziale", e dunque anche al suo massimo non consentirà di vedere a occhio nudo la corona solare. Malgrado ciò sarà senza dubbio un evento comunque molto suggestivo e, considerata la sua rarità , imperdibile. Nubi permettendo, naturalmente. Se dunque il cielo lo permetterà , vi invito a dare un'occhiata in cielo, ma FATE MOLTA ATTENZIONE alla protezione per la vista. Per osservare il Sole direttamente, anche all'alba, NON è sufficiente la protezione degli occhiali da sole, nemmeno quelli più filtranti da montagna. L'esposizione alla luce diretta del Sole a occhio nudo o con protezioni non adeguate, anche per pochi secondi, può provocare gravi danni alla retina. Dunque per osservare il Sole durante un'eclisse come quella di domani servono protezioni adatte, ovvero i classici "occhialini" da eclissi (purché integri) che qualcuno potrebbe aver tenuto in un cassetto, oppure degli occhiali da saldatore (indice di protezione 14). In alternativa esistono le apposite protezioni in mylar che in genere le associazioni di astrofili hanno a disposizione. L'alternativa è osservare l'eclisse in maniera indiretta per proiezione. Qui vedete come si può fare. O di cercare qualche osservatorio o associazione di astrofili nelle vostre vicinanze che organizzi l'osservazione guidata.
Se qualcuno di voi riesce a osservare il fenomeno, mi piacerebbe che commentasse qui le sue impressioni.
I dati per alcune città italiane:
Città ......Inizio - Massimo - Fine - Copertura %
Cagliari...7:47:05 - 9:02:12 - 10:27:19 - 64,2
Palermo....7:48:07 - 9:06:22 - 10:34:43 - 64,6
Napoli.....7:51:52 - 9:11:25 - 10:40:40 - 68,9
Roma.......7:51:55 - 9:10:21 - 10:38:21 - 69,6
Bari.......7:54:07 - 9:15:36 - 10:46:30 - 70,1
Genova.....8:03:00 - 9:09:29 - 10:34:58 - 71,2
Torino.....8:11:00 - 9:08:57 - 10:33:31 - 71,4
Firenze....7:53:30 - 9:11:23 - 10:38:27 - 71,5
Ancona.....7:54:42 - 9:14:06 - 10:42:37 - 72,1
Bologna....7:54:00 - 9:12:34 - 10:39:36 - 72,4
Milano.....8:06:00 - 9:11:21 - 10:36:55 - 72,6
Venezia....7:56:28 - 9:15:16 - 10:42:47 - 73,9
(fonte: Coelum)
domenica 2 gennaio 2011
Cartoline da un pianeta immaginato (3 di 3)

Poi fu la volta dell'arrivo delle sonde automatiche, e le cose furono destinate a cambiare ancora, sebbene stavolta più velocemente. Nel luglio 1965 la Mariner 4 mandò le prime 21 immagini ravvicinate di Marte, distruggendo così il mito di un pianeta vivifico e lussureggiante, e dipingendolo invece come un mondo arido e morto, qualcosa di molto simile alla Luna. Addio canali, addio mari, addio distese di vegetali. Lassù ci sono solo sabbia e crateri e le ombre scure che si vedevano dalla Terra non erano altro che terreni strutturalmente diversi, in grado di riflettere diversamente la luce del Sole. Fine di tutti i miti. Amen. E invece no. Marte aveva ancora delle sorprese in serbo per la vostra inesauribile immaginazione. Nel 1976 la missione Viking stabiliva una pietra miliare nell'esplorazione dello spazio, riuscendo a far atterrare con successo su Marte un modulo in grado, per la prima volta, di prendere immagini a colori dal suolo e di compiere tre test biologici per cercare tracce di vita. Il cielo rosa fece fare un salto sulla seggiola agli scienziati e non solo. Quello che più d'ogni altra cosa fece trattenere il fiato fu che uno dei test in questione, la prova di cosiddetta Respirometria o Risposta Marcata (Labeled Release) ideata dal prof. Gilbert Levin, diede ripetutamente risultati positivi. In pratica si trattava di somministrare a un campione del suolo di Marte delle apposite sostanze nutrienti (amminoacidi), contaminate con una lievissima dose di C14, isotopo radioattivo del carbonio. Se una forma di vita fosse stata presente nel campione di suolo marziano, essa avrebbe metabolizzato le sostanze nutrienti, rilasciando dei composti di scarto (soprattutto anidride carbonica), che sarebbero stati anch'essi marcati con lo stesso isotopo radioattivo del carbonio. E l'anidride carbonica "marcata" fu effettivamente prodotta, e in quantità decisamente notevoli. Alla NASA ci furono rumori di bottiglie stappate e brindisi, la sera del 30 luglio 1976. Ma, nelle settimane successive, gli altri due esperimenti non confermarono mai i dati del primo test, anzi contribuirono a ridimensionarne il risultato apparentemente clamoroso. Che cos'era successo di preciso? Furono messe al vaglio molte ipotesi, e alla fine la NASA scelse una spiegazione che coinvolgeva meccanismi puramente geochimici, ovvero del tutto avulsi da un contesto biologico. Tuttavia c'è ancora chi (il Prof. Levin, per esempio) è convinto che si sia trattata invece di una prova decisiva della presenza di vita su Marte (ma non ce n'è bisogno, visto che la prova decisiva sono io!). Da allora, però, nonostante il gran numero di sonde, altri esperimenti di questo tipo non sono stati mai più tentati. Nel frattempo, però, l'immaginazione era ancora protagonista, perché nello stesso periodo il Viking Orbiter, il modulo rimasto in orbita, mandava dalla zona di Cydonia un'immagine da far svenire. Sembrava un volto e non ci volle molto perché fosse battezzato la "Sfinge" di Marte. Naturalmente all'epoca non si poté verificare, prendere un'immagine della stessa zona da un'altra angolazione, con un'altra prospettiva o una differente illuminazione, e così immaginario e mitologia ripartirono alla grande. Chi aveva scolpito quella "faccia"? E perché? Si erano estinti? Quando? Impossibile ignorare il ricordo delle Cronache Marziane di Ray Bradbury. Facile altresì, a questo punto, che immaginario e mitologia si spingessero oltre, e infatti nelle immagini della stessa zona furono viste anche piramidi e piccoli villaggi abbandonati. Articoli, libri e congetture fiorirono, e l'ipotesi extraterrestre non fu abbandonata del tutto nemmeno quando nel 1998 la Mars Global Surveyor andò a riprendere la stessa zona con una risoluzione decisamente maggiore, per dimostrare senza ombra di dubbio che il "volto" non era altro che un semplice effetto ottico del punto di vista, della luce e della bassa risoluzione. L'equivalente geologico degli elefanti in cielo fatti di nuvole.

Ma l'uomo evidentemente ha bisogno di mitologie e di immaginazione e nel 1994 Marte fece di nuovo egregiamente la sua parte. Successe quando gli scienziati videro i risultati di alcune scansioni al microscopio elettronico dell'interno di ALH84001, meteorite marziano rinvenuto in Antartide dieci anni prima. In alcune immagini, infatti, sembrava proprio di vedere dei batteri fossilizzati. L'immagine fece il giro del mondo e si gridò alla scoperta del secolo. Anche l'allora Presidente Clinton ne parlò in un discorso. Ma, sebbene ci fossero altre evidenze chimiche precise che potessero portare alla conclusione che effettivamente c'era stato qualcosa di vivo dentro quella roccia, come si faceva a essere sicuri che si trattassero proprio di batteri marziani fossili e non di uno scherzo del microscopio, della sezione, o di qualche altro accidente? Qualcuno ha mai visto un batterio marziano e saprebbe riconoscerne il relativo fossile? Alla fine la maggioranza della comunità scientifica si ritrovò a giudicare la prova del meteorite molto suggestiva, ma per lo meno non definitiva. Anche oggi, dunque, il mito non smette di essere alimentato. E anche quando dei rover comandati dalla Terra scorrazzano in lungo in largo per mesi sulla superficie marziana, c'è la possibilità per Marte di mettere ogni tanto la sua zampata da buontempone. A Spirit e Opportunity, i due sofisticati trabiccoli della NASA che ormai da più di sei anni studiano ostinatamente la superficie di Marte (Spirit in realtà è ormai KO dal marzo scorso), è successo almeno due volte di incappare in sfrontati specchietti per le allodole con cui Marte (o noi marziani?) si diverte a lastricare la strada della conoscenza umana. La prima volta è accaduto quando a un certo punto, nel suo girovagare sulla Meridiani Planum, a Opportunity capitò di inquadrare delle zone del suolo di Marte ricoperte da piccole sferette che gli americani non tardarono a battezzare blueberries, ovvero "mirtilli". Sembrava di vedere una di quelle spiagge tropicali disseminate da mucchietti di palline di sabbia, residuo del pasto di un esercito di piccoli granchi affamati. Naturalmente non si trattava di resti di un'attività biologica, bensì di particolari formazioni geologiche di ematite (ossidi di ferro), che anche sulla Terra si formano in presenza di acqua. Ma questo bastò a suggestionare l'immaginazione. La seconda volta, poi, fu ancora più clamorosa, perché qualche mese dopo il suo arrivo, Opportunity inquadrò e mandò sulla Terra l'immagine di un... coniglio!

Sullo sfondo scuro e rugginoso della sabbia, sembrava davvero un bel piccolo coniglietto bianco con tanto di orecchie. E ci mancava anche che spuntasse Alice, saltellando e tirando fuori la lingua davanti all'obiettivo del rover. Ebbene, per qualche giorno l'enigma ha tenuto banco presso gli scienziati i quali cercavano di capire di che cosa si trattasse. Scattarono ripetute foto dell'"animale" per vedere se si muoveva o se cambiava posizione e, alla fine, giunsero alla conclusione che si doveva trattare di un frammento dell'air-bag che aveva protetto lo stesso rover durante la fase di atterraggio. Ma non ci sarebbe da sorprendersi se, da qualche parte, ci fosse qualcuno, particolarmente sensibile all'immaginazione, che ha ancora il dubbio che si trattasse di un coniglio autentico. Del resto è di Marte che si tratta, mica di un pianeta qualunque. Il pianeta principe di tutte le mitologie, l'unico capace di andare a solleticare il bisogno di emozioni dell'uomo, facendogli credere che la realtà delle cose è sempre più complicata, misteriosa ed esotica di quanto non sia. Ma è anche il pianeta che, anche nel suo lato ormai più scientifico e pragmatico, riesce sempre a trovare la strada per insinuare il frammento del dubbio, il barlume della suggestione, l'eco dello scherzo, il contorno di una nuova mitologia. Perché le mitologie nascono di notte. Le mitologie nascono dal mistero. E finché voi ve ne starete laggiù, distanti, irraggiungibili, intoccabili, noi marziani quassù non la smetteremo di prendervi per i fondelli, sapendo che è proprio questo, in fondo, quello che volete da noi.
/fine
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