Punti di vista da un altro pianeta

martedì 26 aprile 2016

Petrolio, la meravigliosa schiavitù

Anche questa mattina per andare al lavoro ho costeggiato un pezzo del tratto finale del fiume Polcevera nel quale è avvenuto lo sversamento di petrolio all'indomani del referendum sulle trivelle andato (quasi) deserto. In questi giorni hanno transennato un pezzo di strada per permettere di operare ai mezzi di bonifica, anche se l'impressione che si ha da fuori – magari del tutto sbagliata – non è quella dell'urgenza. Ogni tanto compare anche qualcuno dell'ENPA per cercare di dare salvezza agli animali, in particolare gli uccelli, che sono stati impregnati della grassa onda nera e liquamosa. La gente del quartiere Fegino, la zona da cui è partito lo sversamento, a pochi chilometri da qui, mugugna, dice che l'aria è irrespirabile, che hanno sentito l'esplosione della condotta, che hanno paura, che non se ne può più. Chissà quelli di costoro che non sono andati a votare il giorno prima, che il giorno prima se ne sono sbattuti le palle, che si sono fatti una risata, una gita fuori porta, una mangiata di pasta al pesto, che hanno detto "tanto non serve a niente", cos'hanno pensato il giorno dopo. Probabilmente niente di niente. La gente si assolve sempre. Le colpe sono sempre altrove, non sono mai le nostre.

Ma è sbagliato demonizzare il petrolio. Se vogliamo questo mondo, il mondo come lo conosciamo e nel quale ci piace vivere (vi piace, no, avere l'auto sotto il culo per andare a comprare le sigarette nella tabaccheria a 700 m di distanza e poi scorrazzare con la moto in riviera, lungo il lago, su per i tornanti della montagna, il vento nei capelli, moderni cow-boy di una frontiera immaginata, anche solo per sentirvi liberi e onnipotenti per qualche ora?) dobbiamo tenercelo, il petrolio. Almeno ancora per qualche generazione, finché ce ne sarà (abbastanza per tutti). Sì, d'accordo le rinnovabili. Ma non crediate che costruire una turbina eolica o un pannello solare sia un processo immune dall'utilizzo del petrolio o dei suoi derivati (solo che magari, invece di inquinare qui, inquina là). Sì, d'accordo le auto elettriche, quelle a idrogeno, quelle ad aria compressa, quelle ad acqua e quelle dei Flintstones. Ma benché si possa legittimamente pensare che le lobby petrolifere colluse con la politica remino contro il processo di sviluppo di alternative, il punto è che comunque ci piace così, che va bene così. Andiamo, non dite che non è vero. Va bene così e piace così anche a coloro che sono andati a votare SI al referendum sulle trivelle, figuriamoci a chi non c'è andato o ha votato NO.

Quindi il problema non è e non può essere il petrolio, almeno non rispetto a questo tipo di eventi (poi il petrolio è un ingranaggio decisivo anche in questioni di politica internazionale, ma quelle sono altre e ben più complicate faccende). Il problema è – come sempre – la speculazione, sistematica, che impregna il sistema come una grassa onda nera e liquamosa che però è ben più difficile da bonificare, perché elusiva, sfuggente, endemica, nascosta nelle pieghe di un'immoralità tradizionale, che risiede giusto pochi passi al di là dei confini della legalità, ma quanto basta per fungere da detonatore per l'esplosione di disastri. Gli incidenti che capitano per vera fatalità sono una percentuale irrisoria. Tutti gli altri capitano per scarsa manutenzione, per scarsa sicurezza, per scarso personale, per scarsità di qualcosa che qualcuno aveva previsto dovesse esserci a garanzia dell'incolumità delle persone e dell'ambiente, ma che, a posteriori, in genere si scopre che non c'è (pare che l'impianto IPLOM in questione sia molto vecchio e praticamente senza alcun tipo di sicurezza o piano di emergenza in caso di guasto, nessun allarme, nessuna valvola di intercettazione). E tutti questi fattori riconducono sempre a una sola radice: il risparmio. E il risparmio è anche quello che fa' sì che, magari, a incidente avvenuto, ci siano solo cinque mezzi per la bonifica, invece di cinquanta. E in un settore ricco che non mi risulta conosca crisi come quello petrolifero, risparmiare non significa sopravvivere, risparmiare significa guadagnare di più. Quindi non date la colpa al petrolio, come fosse il muco del demonio pronto a impestarvi. No. Il problema siamo noi. Il problema è che non ne abbiamo mai abbastanza. Come dite? "La colpa è dei petrolieri!"? Avete ragione: le colpe sono sempre altrove, non sono mai le nostre. Però la prossima volta almeno andate a votare.

venerdì 22 aprile 2016

A.A.A. mostro cerca compagnia

Alla fine il mostro fa lampeggiare quei suoi occhi freddi da squalo, tende il braccio nel saluto nazista e gonfia il petto cantando la sua vittoria. Anders Behring Breivik si è infatti aggiudicato la causa intentata contro lo stato norvegese, accusato dal pluriomicida di avere calpestato i suoi diritti (umani) nel corso della sua prigionia. Ora, stando a quel che si legge in giro, pare che i suoi ultimi quattro anni e rotti di detenzione, Breivik li abbia trascorsi dentro uno spazio articolato in tre celle: un soggiorno, uno studio e una zona per l'esercizio fisico. Sarebbe messo in condizione di cucinarsi il cibo da sé e di farsi il bucato. Avrebbe inoltre a disposizione una televisione, una consolle per videogame e un computer (sebbene non connesso a Internet). Ora, vista da questa prospettiva, sembrerebbe fin troppo facile trovare miniappartamenti in villeggiatura con dotazioni più spartane di così. In quale aspetto, allora, lo stato norvegese ha calpestato i diritti umani del super killer (che - lo ricordo - nel 2011 ha deliberatamente e consapevolmente ucciso 77 persone e per il cui crimine è stato condannato a soli 21 anni di detenzione)? Molto semplice: l'isolamento.

Scopriamo così che, per il tribunale norvegese, il contatto umano è un diritto fondamentale della persona, Sebbene questa persona - nel suo avere ucciso 77 innocenti - abbia calpestato egli stesso il più alto e grande diritto fondamentale di ogni persona, quello alla vita. E questo, inutile dirlo, ci fa incazzare. Ci fa incazzare enormemente. Ha fatto incazzare di brutto me, e immagino abbia fatto incazzare di brutto anche voi. Fa venire voglia di puntare il dito contro quel tribunale, sputare contro lo sputasentenze, aspettarlo sotto casa per chiedergli urlando cosa diavolo gli passa dentro quel suo cazzo di cervello, dirgli che questo pluriassassino - nazista dichiarato e mai pentito - non merita niente, se non sparire inghiottito dalla faccia della Terra e dalla memoria del genere umano. Invece, no. Invece il tribunale ci sbatte in faccia che (anche) il mostro ha dei diritti e, nel ricordarci che il mostro ha dei diritti, ci ricorda che il mostro è un essere umano e, nel ricordarci che il mostro è un essere umano, ci sottolinea che il mostro è come noi, che fa parte della nostra specie e che quindi abbiamo delle cose in comune con lui. Che sia questo che non riusciamo a sopportare?

Il punto è che l'isolamento sarebbe riconducibile a una forma di tortura che avrebbe devastanti effetti a lungo termine sulla psiche di chi vi viene sottoposto. "E ci stiamo a preoccupare della psiche di un neo nazista che ha ucciso 77 persone?" vi chiederete voi e (lo confesso) anche io. Ebbene, la risposta è Sì, perché la Legge, ovvero la giustizia, è garantita da principi oggettivi e non è condizionata dagli aspetti emozionali. Potete certamente ritenere discutibile la pena di soli 21 anni, che dà dunque la possibilità a costui di uscire di prigione a poco più di cinquant'anni, ma anche in questo caso ciò è quello che ha previsto la legge norvegese, ci piaccia o no. Forse dunque penserete che la legge norvegese è risibile, che è un paese di cartapesta, che non sono abituati ad avere a che fare con questioni del genere. Può darsi. E se invece questa sentenza che toglie Breivik dall'isolamento fosse solo un segno di maggiore civiltà? Sempre, beninteso, che il soggetto in questione trovi qualcuno in prigione che abbia voglia stare con lui.

giovedì 21 aprile 2016

L'amore ai tempi del referendum

Non illudetevi. Non è stato l'appello di Renzi. Magari fosse stato così. Renzi si è appropriato di qualcosa su cui lui faceva conto: la pigrizia (fisica e morale), l'indolenza civica, la scarsità di senso dello Stato, la mancanza di consapevolezza dell'essere cittadini, l'oblio di tutto quello che è stato necessario pagare alla Storia per poter avere il diritto di tracciare una X su un foglio di carta. E non è certo questo referendum a far emergere questa triste realtà. Sapete qual è il punto, quello vero? È che la gente (per lo più) se ne sbatte. È tutto qui. Alla gente frega solo di quello che la tocca direttamente, sulla pelle, sulla carne, dentro il sangue e i suoi nervi. Mentre il concetto di voto e - soprattutto - di referendum presuppone una visione più ampia di se stessi all'interno di una comunità di persone che, anche solo per questo motivo, condividono un "bene comune". C’è un senso di solidarietà nel votare a un referendum, un senso che questo paese non ha. Tutto questo non c'è. Non so se è stato perduto o se non c'è mai stato. So che vige il paradigma dell'ognuno per sé, della mia auto in doppia fila, delle tasse che riesco a evadere, delle raccomandazioni che riesco ad avere, dei favori che riesco a ottenere, delle persone in coda che riesco a saltare. Fa tutto parte dello stesso, triste quadro, di quello che siamo diventati o - forse meglio - di quello che non siamo mai stati e (forse) non saremo mai. Italiani.

mercoledì 20 aprile 2016

Real Mars, ovvero se Il grande marziano diventa un libro

Cinema e letteratura ci hanno spesso raccontato come potrebbe essere la conquista di Marte da parte dell'uomo, ma nessuno ci ha mai detto come potrebbe essere realmente, ovvero a che cosa potremmo assistere, noi, se questo accadesse solo tra qualche anno. Se mai un giorno non troppo distante andremo davvero su Marte, è dunque probabile che la nostra esperienza non sarà molto diversa da quella raccontata in Real Mars: quattro astronauti in viaggio e miliardi di persone a guardarli e a commentare, a meravigliarsi e a disprezzare, e a modificare il palinsesto della propria vita in funzione di un programma TV che li seguirà in ogni momento della loro missione.

Prima ancora che il racconto della più grande impresa dell'umanità, Real Mars è così anche uno specchio feroce in cui ognuno di noi rivede se stesso nel proprio rapporto coi mezzi di comunicazione, nel proprio ruolo ormai ininterrotto e istintivo di spettatore, nella propria percezione di una realtà che nel racconto della cronaca diventa fiction, perdendo la possibilità di qualsiasi contatto umano.

Tra la cronaca dell'epica impresa e i riflessi del suo racconto su chi resta sulla Terra a guardare, Real Mars mostra con irriverenza quanta umanità abbiamo perduto abbracciando la comodità dell'emozione televisiva, ma ci rivela anche quanta umanità c'è ancora là fuori, anche se magari per trovarla bisogna percorrere qualche centinaio di milioni di chilometri e arrivare al termine dell'avventura più estrema ed emozionante della Storia dell'Uomo.

Da lunedì scorso "Il grande marziano" è anche un libro. Questo.

Real Mars, di Alessandro Vietti; 320 pagine; formati: cartaceo - 13,90€; ebook (Kindle, ePub) - 3,99€ - Edizioni Zona 42 (Modena)

License

Creative Commons License
I testi di questo sito sono pubblicati sotto Licenza Creative Commons.

Statistiche

Blogsphere

Copyright © Il grande marziano Published By Gooyaabi Templates | Powered By Blogger

Design by Anders Noren | Blogger Theme by NewBloggerThemes.com