Punti di vista da un altro pianeta

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martedì 24 marzo 2015

Vanessa, Greta e la febbre siriana

Al di là del fango popolare, al di là delle strumentalizzazioni politiche, al di là delle verità opinabili, al di là di tutto quanto, perché Greta e Vanessa dovrebbero voler tornare nella polveriera della Siria? Per dimostrare che cosa? Che sono tipe con le palle? Che i loro ideali sono incrollabili baluardi nella tempesta della becera opinione nazional-popolare? Che non si lasciano condizionare da niente e da nessuno? Perché dunque Greta e Vanessa dovrebbero esporsi nuovamente al rischio di cui sono state vittime?

Facciamo uno sforzo di fantasia e supponiamo, per un attimo soltanto, che Greta e Vanessa tornino davvero in Siria e, dopo qualche mese di tranquillità, succeda che vengano nuovamente rapite. Possiamo supporre che si tratti di un'ipotesi remota, tuttavia non si tratta di un'eventualità totalmente prova di fondamento. Ora, al di là del fango popolare, al di là delle strumentalizzazioni politiche, al di là delle verità opinabili, al di là di tutto quanto, come dovrebbe comportarsi l'Italia in cotanto malaugurato caso? In quale inestricabile ginepraio di contraddizioni morali (e non solo) finirebbe per trovarsi?

Ora Vanessa dice pubblicamente che lei e Greta potrebbero voler tornare in Siria (nel titolo è usato l'indicativo, ma nell'intervista riportata su Repubblica.it Vanessa utilizza il condizionale), tuttavia sarebbe così scandaloso se levassero l'Italia dall'imbarazzo e optassero senza tentennamenti per una qualche forma diversa di volontariato? Magari in un posto meno a rischio? Il pianeta è (purtroppo) davvero pieno di gente che ha bisogno di attiviste come loro, persone desiderose di rimboccarsi le maniche, capaci di dedicare la propria vita agli altri. Dunque perché proprio la Siria, solo la Siria, nient'altro che la Siria?

L'ostinazione con cui Vanessa si pone nei confronti del ritorno suo e di Greta in Siria sembra dunque avere più che altro il profumo di quell'orgoglio forse un po' ingenuo, forse un po' sfacciato, ma che, per dirla con le parole di Vasco, "ne ha rovinati più lui che il petrolio". Un orgoglio dunque, per il quale più che il coraggio, poté la sciaguratezza. Infatti, a dispetto della vigliaccheria che sulle prime può sembrare, per essere capaci di fare la scelta opposta, ovvero guardarsi indietro (e dentro) e rinunciare per una volta alla propria orgogliosa ostinazione e passare ad altro, serve un coraggio ancora maggiore.

sabato 12 novembre 2011

Gli «angeli del fango» hanno ali di terracotta

Tutti i sabati e le domeniche, in tarda mattinata, X si reca all'Istituto Y dove presta, anzi dovrei dire regala, alcune ore del suo tempo. L'Istituto Y è un ricovero per anziani, quindi dentro si trova di tutto. Quelli che trascorrono la giornata a giocare a scopone e la serata davanti alla TV, quelli che non si alzano (più) dal letto e parlano tutto il giorno con il pappagallo, quelli che si ricordano solo di un certo Alzheimer, che è stato loro compagno di banco alle elementari, quelli che non smettono di tremare, ma non è per il freddo, quelli che sbavano, ma non è per il desiderio, quelli che ciondolano, ma non sono bijoux, quelli che urlano perché son sordi e quelli che urlano perché l'ultima volta che qualcuno è venuto a trovarli... che anno era? Sebbene ci sia sempre bisogno di qualcuno con cui fare due chiacchiere, all'Istituto Y c'è bisogno soprattutto di aiutare gli ospiti a mangiare. Ed è quello che X fa ormai da qualche anno.

Se può, si mette in uno dei tavoli vicini alle finestre, con tre o quattro anziani, più o meno sempre gli stessi (a parte Z, che se n'è andato il mese scorso) e li imbocca. A turno. Pulisce loro le labbra e il mento. Soffia sul cucchiaio, se la minestrina fuma. Taglia l'arrosto in pezzetti facili da masticare. E se è il caso, ormai non si fa più problemi neanche a risistemare le dentiere, plof, che cadono nel piatto (anche se per questo, in effetti, c'è voluto un po'). A X piace fare volontariato. Tutti i sabati e le domeniche, nel primo pomeriggio, X esce dall'Istituto Y con una effervescenza nell'anima che non ha mai provato altrove. Deve avere a che fare con quei sorrisi claudicanti e quelle mani che sventolano quando se ne va, chiedendosi - ogni maledetta volta - se sabato prossimo ne mancherà qualcuna. Eppure mai ha pensato di fotografarli, né di farsi immortalare mentre allunga la mano con il cucchiaio verso le labbra protese, figuriamoci mettere poi le foto su Facebook e taggarci gli amici. Mai è venuto in mente a X di girare un video con il telefonino, mentre li imbocca e in sottofondo c'è Mamma Maria dei Ricchi e Poveri, da mettere su You Tube e mostrare a tutti la sua bravura a far posare l'aeroplanino nutritivo.

Gli «angeli del fango» invece no. Cioè, non tutti, per lo meno, o non sempre. A chi infatti in questi giorni ha caricato (e taggato) su blog, Facebook, You Tube eccetera le proprie foto o i propri video in mezzo alla disperata melma genovese e spezzina, sorridente, con la pala in mano, o mostrando a tutto il mondo i suoi stivali di gomma logorati dal lavoro come un trofeo di guerra, vorrei far notare che rischia di essere rimasto vittima dell'onnipresente manipolazione (tentazione?) social-mediatica all'esercizio del protagonismo. Perché, sebbene i media - non c'è dubbio - abbiano surfato alla grande sull'onda emozionale della sciagura e della partecipazione, sollecitando così a loro volta a cavalcarla, e dunque sia anche gran parte colpa loro, l'esibizionismo non si confà al volontariato e l'autosfoggio retorico del sacrificio, pur non togliendo alcunché all'oggettività (comunque fondamentale ed encomiabile) dell'aiuto portato, neutralizza agli occhi degli altri la nobiltà del gesto, in quanto lo espone all'antipatia della presunzione. Anche solo pretesa tale. E in questi casi il confine è tracciato con una matita molto, molto sottile. Al contrario, la gratificazione del volontario si nutre dei sorrisi e degli sguardi, dei silenzi e delle strette di mano. La ricompensa del volontario si accende grazie alla scintilla di anime che entrano in contatto. La felicità del volontario cresce nella consapevolezza di aver alleviato un dolore.

Il resto è (sempre) troppo.

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