Tutto questo per dire cosa? Innanzitutto che pubblicare una raccolta di racconti sembra semplice, e in qualche misura lo è, ma pubblicarne una apprezzabile non lo è affatto. In secondo luogo che io con i racconti sono un rompiballe. Così, quando mi sono accostato a Dindalé (ma cosa diamine è 'sto Dindalé?) di Armando Vertorano sono partito con un certo scetticismo, che non è un pregiudizio, ma è comunque un posizione di attesa guardinga, del tipo: ok, sei tu che devi dimostrarmi qualcosa: vediamo cosa sai fare! Dico subito che l'idea del Dindalé, che Vertorano doverosamente spiega all'inizio del libro, mi è piaciuta moltissimo. Ha dentro qualcosa di molto umano e di familiare, un tocco speciale, sia nell'idea in sé, sia nel modo con cui viene presentata, ovvero quel modo particolare che sua madre usava (o usa ancora?) per rispondergli "chisseneimporta!" a fronte di una sua richiesta di bambino, una maniera molto elegante, ma anche dal suono esotico o magico nel suo essere espressa attraverso una formula inventata (e quindi in questo modo anche affettuosa, perché espressione di un linguaggio segreto di cui solo gli interlocutori sono depositari del significato), per dirgli "ma lascia perdere!". Di certo era un modo molto furbo per chiudere le questioni. Se fosse un gioco di ruolo, come si dovrebbe rispondere a un Dindalé? Sembra l'arma definitiva! Partendo da questo concetto e ampliandolo alla vita di tutti i giorni, a quei muri che la vita adulta ci chiede a volte di scavalcare, a volte di abbattere, dopo magari esserci schiantati, Vertorano confeziona una raccolta di racconti davvero particolare, perché partendo da situazioni minimaliste ci attesta quasi sempre un elemento di più o meno lieve surrealismo con il quale fa deragliare il racconto su binari solo leggermente paralleli alla realtà, ma con il quale catalizza la forza delle sue storie. Per dire, avete mai pensato che se smettessimo di lavarci, potremmo vivere per sempre (Sia maledetta l'acqua)? Oppure che un colpo di tosse possa diventare un'opera d'arte (Il colpo di tosse)? O ancora come potrebbe fare il turista un cieco (Il turista)? O ancora cosa fare se andassi a cercare un navigatore perché ti sei perso, ma trovassi tutt'altro (Dialogo tra un venditore di navigatori e un tizio che si è perso, un racconto equidistante tra Buzzati e Leopardi)? Ma ce ne sono anche altri dove il surrealismo è più delicato, tipo quello del camionista il quale nel corso di una consegna importante, a un certo punto fa una deviazione assurda (che non vi dico quale, ma il titolo del racconto è Venere) o quello in cui lo scrittore chiede al proprio editor cosa fare della propria vita come fosse il finale di un libro (Il finale)? E poi ci sono quelli in cui il surrealismo è quasi assente, sostituito però da una certa dose di ironia. Sono racconti quasi calati nella cronaca quotidiana, come quello del politico costretto a qualcosa di impensabile per riparare a un errore imperdonabile (L'altro lato di dio) o quello che si addentra nei pericolosi territori dei pettegolezzi da ufficio (Gli occhi addosso). Come si può evincere da queste piccole indicazioni, si nota già subito uno dei maggiori pregi della raccolta: quello di spaziare nei temi più disparati. Leggendoli, insomma, non si rischia mai il deja vu e questo è molto importante, perché conferisce sempre nuova freschezza alla lettura. Se poi dovessi attribuire un aggettivo allo stile di Vertorano, direi "delicato". L'autore affronta infatti la narrazione sempre con una sensibilità in punta di piedi, un modo che di tanto in tanto forse lo fa diventare un tantino troppo colloquiale, ma questo sono venialità soggettive. Al di là del fatto che, come dicevo inizialmente, ci sono stati dei racconti che ho apprezzato di più, probabilmente per predilezione personale (quelli, appunto, illuminati dal surrealismo), se devo trovare un appunto complessivo, è l'impressione che Vertorano abbia qua è là tirato indietro la mano sul più bello. Spesso infatti (sempre?) i racconti terminano in un'atmosfera sospesa che, se a volte ho trovato deliziosa e contestuale, altre mi ha lasciato un po' appeso alla voglia di vedere appioppata una bella zampata finale. Ma forse, ripensandoci, è proprio quello che Vertorano si aspetta dal suo lettore. Che anche lui, insomma, alla fine sia portato a far risuonare il suo bel Dindalé sui tetti del mondo!
Dindalé. Conti di poco conto, di Armando Vertorano (Pesci rossi goWare).
0 commenti:
Posta un commento
Poiché vorrei evitare di attivare la moderazione, vi prego di moderarvi da soli. Grazie.