Punti di vista da un altro pianeta

martedì 31 marzo 2015

Un libro che è una goduria per la (mia) mente

Ci sono libri che ti ipnotizzano e ti portano via con loro e tu sai bene perché. Una storia appassionante. Un mistero da risolvere. Colpi di scena a ripetizione. Roba che non ti staccheresti mai e, quando sei in pausa dalla lettura, continui a ripensarci e non vedi l'ora di poter rimettere mano alle pagine. Gli inglesi li chiamano page-turner, quelli che ti fanno girare le pagine a un ritmo forsennato. E poi ci sono libri che ti ipnotizzano e ti portano via con loro e tu non capisci come fanno, perché delle caratteristiche di cui sopra non c'è traccia. Eppure ci riescono ugualmente. E il fatto che lo facciano misteriosamente li rende quanto di più affascinante ti possa capitare in ambito letterario. Credo sia una sorta di corrispondenza (o risonanza) intellettuale, una goduria letteraria a prescindere. Ebbene, questo è il caso di Nel mondo a venire, di Ben Lerner.

Caldeggiato dall'amico Michele del blog Nepente, Nel mondo a venire è un libro difficile da riassumere. Parla di oggi. Parla della vita. Parla del mondo in cui viviamo e (forse) del mondo in cui vivremo, anche solo tra cinque minuti, un mese, un anno, dieci anni. Parla di come le nostre esistenze si rapportano e si costruiscono attraverso lo scorrere di un tempo di fatto illusorio e rispetto al quale noi siamo padroni solo del presente (non a caso il titolo originale è proprio 10:40, ovvero un momento di tempo ben preciso), ma di come la letteratura è capace di integrare queste esistenze in un flusso unico che è nello stesso tempo, memoria, narrazione, invenzione e possibilità.

Leggendo questo libro ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a un'opera (non spaventatevi) di "narrativa quantistica", come se l'autore volesse dare la percezione letteraria di un universo in cui tutti i tempi, passati, presenti e futuri delle nostre esistenze, comprese tutte le possibilità del multiverso, coesistono. Se poi mi chiedeste di incasellare in qualche modo il romanzo, vi direi che siamo di fronte a una sorta di post modernismo (o addirittura di post-post modernismo – ma, vi prego, troviamo un altro termine!) alla David Foster Wallace o Dave Eggers. Per il resto non voglio (o forse non riesco) dirvi di più. Solo che questo è uno dei libri più suggestivi e affascinanti che mi sia capitato di leggere ultimamente. A tratti mi ha riportato a quell'esaltazione della lettura che è una goduria per la mente, e che è merce davvero rara.

Da segnalare: il pezzo in cui Lerner parla della tragedia del Challenger a una classe. Su-bli-me! Mentre la parte più debole è forse la quarta, quella in cui l'autore si ritrova autoesiliato a Marfa per (cercare di) scrivere il suo libro. Ma è giusto una piccola flessione, come una breve vertigine, niente che guasti la lettura di un libro eccezionale. Insomma, grazie a Ben Lerner e grazie a Michele.

Il risvolto di copertina:

Un uomo di poco più di trent’anni vede la propria vita cambiare improvvisamente direzione. La sua migliore amica gli ha chiesto di aiutarla a concepire un figlio, ma senza diventare una coppia. La carriera di scrittore ha incontrato finalmente un insperato successo, e in modo altrettanto imprevisto è giunta la diagnosi di una malattia cardiaca, potenzialmente fatale. Questi eventi, questi improvvisi stravolgimenti, felici, drammatici, curiosamente esilaranti, sembrano riflettersi nel mondo che lo circonda. New York è scossa da tifoni, uragani e tempeste, come fosse una città tropicale. La crisi rende tutti ansiosi e aggressivi, niente sembra più funzionare, a livello personale, collettivo, intellettuale, sentimentale. Non è certo il momento migliore per fronteggiare lo spettro della propria mortalità, o pensare a diventare padre.

L'incipit:

Il comune aveva riconvertito un tratto sopraelevato di ferrovia metropolitana abbandonata in un giardino pensile con un percorso pedonale, e io e l'agente stavamo passeggiando verso sud in una giornata insolitamente calda per quella stagione dopo un pranzo di festeggiamento a Chelsea dal prezzo esorbitante, a base fra l'altro di polipetti che lo chef aveva letteralmente massaggiato fino alla morte. Esserini di una morbidezza incredibile che avevamo mandato giù interi, ed era la prima volta che consumavo una testa tutta d'un pezzo, specie poi di un animale che decora la propria tana, che è stato osservato giocare in maniera complessa.

Nel mondo a venire, di Ben Lerner (2015, Sellerio - trad. Martina Testa - 290 pagg. - 16,00€)

domenica 29 marzo 2015

sabato 28 marzo 2015

Beppe Grillo e la selezione (non) naturale

Il blog di Grillo, organo ufficiale del Movimento 5 Stelle, pubblica la foto di Renzi in cabina di pilotaggio dicendo che farà precipitare l'Italia come ha fatto Andreas Lubitz con il suo aereo, e fa scoppiare il finimondo anche (almeno in parte) tra i suoi iscritti. L'invito condivisibile è per lo più a vergognarsi, e l'accusa ricorrente (condivisibile anch'essa) è di oltraggio alle vittime.

In ambiti, tuttavia, come quello della premiata ditta Grillo & Casaleggio, dove queste manifestazioni estreme non sono lasciate al caso o all'iniziativa estemporanea del singolo, ma sono frutto di idee e di strategie mediatiche deliberate, la scelta di esprimere una metafora del genere, fa capire qualcosa di quello che hanno in testa Grillo & C.

Grillo & C. non vogliono infatti solo attirare sempre e comunque l'attenzione su se stessi, né vogliono solo suscitare emozioni forti parlando alla pancia delle persone, loro "selezionano" il simpatizzante tipo, perché a chi sta tremendamente sul cazzo questo modo di fare (come al sottoscritto), per quante cose giuste ogni tanto il M5S possa aver detto in passato e potrà dire in futuro, non riuscirà mai a scalfire (in me) la barriera di avversione che questi modi suscitano.

Così il simpatizzante modello (leggi elettore) del M5S finisce per essere fondamentalmente di due tipi: [1] il tipo intestinale, ovvero colui che ragiona col ventre, che si compiace enormemente dei modi di Grillo & C., ed è pronto ad appoggiarlo sempre e comunque, e [2] il tipo midollare, ovvero colui che è disposto a perdonare Grillo & C., non solo in merito alle sue intemperanze, che vengono tipicamente liquidate come semplici boutade di poco conto, ovvero esternazioni per fare notizia e niente di più, ma anche sulle espulsioni, le prese di posizione autoritarie ecc.. Sempre insomma. In entrambi i casi, in questo modo Grillo & C. avrà seguaci che terrà sempre e comunque in pugno qualsiasi cosa lui farà.

giovedì 26 marzo 2015

Il dito (medio?) di Varoufakis e la ricalibrazione della realtà

Allora, Yanis Varoufakis lo ha fatto o no, questo dito medio alla Germania? A oltre una settimana di distanza dalla salita alla ribalta del famigerato video in cui si vede quello che, di lì a un paio d'anni, sarebbe stato il ministro delle finanze greco, commentare con un'alzata di dito medio un riferimento alla Germania, la verità sembra ben lungi dall'essere determinata, anzi sembra definitivamente tramontata l'ipotesi di poterne trovare una qualunque.

All'uscita del video incriminato, infatti, Varoufakis ha subito (doverosamente) smentito, ma gli esperti hanno confermato che non si trattava di un falso. Poi però un programma televisivo tedesco ha dichiarato di aver creato il video manipolato, aggiungendo il "dito medio" a immagini che non lo contenevano, ammettendo così che il video in realtà un falso lo era (e hanno anche mostrato un video dove dimostravano il falso, v. sotto). Dopodiché, in una sorta di triplo gioco degno di una storia di spionaggio, lo stesso giornalista ha smentito la propria precedente versione (avallato anche dalla rivista Bild), dicendo che la trasmissione era satirica e il video originale era davvero quello con il dito.

Ma il punto, naturalmente, non è il dito. Di Varoufakis, di quello che dice, di quello che pensa e dei gesti che fa (o non fa) non ci importa un fico secco. Il punto è che il caso Varoufakis, con le sue incertezze, i suoi voltafaccia, le sue menzogne e le sue ritrattazioni, ci sbatte in faccia con inquietante esattezza non solo l'impossibilità ormai completa della determinazione di una qualche verità, ma anche le nuove terribili possibilità di manipolazione (e moltiplicazione) di essa.

Il caso Varoufakis ci dimostra in quale misura viviamo una potenziale e preoccupante riscrittura mediatica della realtà che va ben oltre la photoshopizzazione delle chiappe di qualche modella, ma è capace di revisionare aspetti del reale dei quali non saremo in grado di accorgerci, come in una delle migliori (o - date le circostanze - peggiori) visioni di Philip K. Dick. Ma non temete, se non saremo in grado di accorgercene, non farà alcuna differenza per noi.

martedì 24 marzo 2015

Vanessa, Greta e la febbre siriana

Al di là del fango popolare, al di là delle strumentalizzazioni politiche, al di là delle verità opinabili, al di là di tutto quanto, perché Greta e Vanessa dovrebbero voler tornare nella polveriera della Siria? Per dimostrare che cosa? Che sono tipe con le palle? Che i loro ideali sono incrollabili baluardi nella tempesta della becera opinione nazional-popolare? Che non si lasciano condizionare da niente e da nessuno? Perché dunque Greta e Vanessa dovrebbero esporsi nuovamente al rischio di cui sono state vittime?

Facciamo uno sforzo di fantasia e supponiamo, per un attimo soltanto, che Greta e Vanessa tornino davvero in Siria e, dopo qualche mese di tranquillità, succeda che vengano nuovamente rapite. Possiamo supporre che si tratti di un'ipotesi remota, tuttavia non si tratta di un'eventualità totalmente prova di fondamento. Ora, al di là del fango popolare, al di là delle strumentalizzazioni politiche, al di là delle verità opinabili, al di là di tutto quanto, come dovrebbe comportarsi l'Italia in cotanto malaugurato caso? In quale inestricabile ginepraio di contraddizioni morali (e non solo) finirebbe per trovarsi?

Ora Vanessa dice pubblicamente che lei e Greta potrebbero voler tornare in Siria (nel titolo è usato l'indicativo, ma nell'intervista riportata su Repubblica.it Vanessa utilizza il condizionale), tuttavia sarebbe così scandaloso se levassero l'Italia dall'imbarazzo e optassero senza tentennamenti per una qualche forma diversa di volontariato? Magari in un posto meno a rischio? Il pianeta è (purtroppo) davvero pieno di gente che ha bisogno di attiviste come loro, persone desiderose di rimboccarsi le maniche, capaci di dedicare la propria vita agli altri. Dunque perché proprio la Siria, solo la Siria, nient'altro che la Siria?

L'ostinazione con cui Vanessa si pone nei confronti del ritorno suo e di Greta in Siria sembra dunque avere più che altro il profumo di quell'orgoglio forse un po' ingenuo, forse un po' sfacciato, ma che, per dirla con le parole di Vasco, "ne ha rovinati più lui che il petrolio". Un orgoglio dunque, per il quale più che il coraggio, poté la sciaguratezza. Infatti, a dispetto della vigliaccheria che sulle prime può sembrare, per essere capaci di fare la scelta opposta, ovvero guardarsi indietro (e dentro) e rinunciare per una volta alla propria orgogliosa ostinazione e passare ad altro, serve un coraggio ancora maggiore.

venerdì 20 marzo 2015

Conosci le dieci regole del Campo 14?

La realtà della vita in Corea del Nord è molto più terrificante di quello che sembra, ovvero dell'immagine che ci propinano i media, concentrati sulle dichiarazioni o le stravaganti apparizioni in pubblico del giovane del leader Kim Jong-un (o del padre Kim Jong-il prima di lui), sulle esercitazioni militari o sui test missilistici verso la Corea del Sud o il Giappone. Quando poi si sente parlare di violazioni sistematiche dei Diritti Umani, la formula asettica non dice davvero granché su quello che succede, là, alle persone. Bisogna esserci dentro, ai meccanismi politici, sociali e culturali della Corea del Nord, per provare a capire l'immane tragedia umanitaria che viene perpetrata da oltre quarant'anni, un tempo ben più lungo dei lager nazisti o dei gulag comunisti, e che avviene ancora oggi, in questo esatto momento in cui tu stai leggendo.

Shin Dong-hyuk è l’unico uomo nato (nel 1982) in un campo di prigionia della Corea del Nord a essere riuscito a scappare (nel 2005). Il suo crimine, che l'ha costretto a vivere fin dalla nascita dentro il Campo 14 (un campo grande come Los Angeles) è stato avere uno zio che negli anni Cinquanta fuggì in Corea del Sud. E durante i 23 anni dentro il campo ha dovuto subire una vita di schiavitù, privazioni, percosse e pesanti condizionamenti psicologici che l'hanno portato a tradire - senza provare alcun senso di colpa - la madre e il fratello, mandandoli all'impiccagione (cui lui fu costretto ad assistere, ma durante la quale non provò alcun dolore nei loro confronti, bensì solo rabbia).

Quella raccontata in questo libro è la storia di Shin una storia necessaria non solo per capire che cosa è la Corea del Nord, ma anche per comprendere a che cosa può arrivare l'animo umano, sia nelle vittime, che nei carnefici e che sono ben sintetizzate nelle Regole del Campo che vengono applicate alla lettera e che tutti quanti all'interno del campo sono costretti a memorizzare e a recitarle ogni volta che viene richiesto dalle guardie.

1. Non provare a scappare
chiunque venga sorpreso a tentare una fuga verrà fucilato all’istante.
Ogni testimone che non denunci un tentativo di fuga verrà fucilato all’istante.
Chiunque assista a un tentativo di fuga deve avvisare immediatamente una guardia.
È vietato formare gruppi di due o più persone per escogitare un piano o provare a scappare.

2. È vietato formare gruppi di più di due prigionieri
chiunque venga sorpreso in compagnia di uno o più prigionieri senza il permesso di una guardia verrà fucilato all’istante.
Chiunque si introduca nel villaggio delle guardie o danneggi la proprietà pubblica verrà fucilato all’istante.
È vietato superare in uno stesso gruppo il numero di prigionieri stabilito dalla guardia al comando.
Fuori dal lavoro, i prigionieri non possono formare alcun tipo di gruppo senza permesso.
Durante la notte tre o più prigionieri non possono spostarsi insieme senza l’autorizzazione della guardia al comando.

3. Non rubare
chiunque venga sorpreso a rubare o in possesso di armi verrà fucilato all’istante.
Chiunque non denunci o aiuti un prigioniero che abbia rubato o possieda armi verrà fucilato all’istante.
Chiunque venga sorpreso a rubare o a nascondere cibo verrà fucilato all’istante.
Chiunque danneggi di proposito il materiale utilizzato nel campo verrà fucilato all’istante.+

4. Agli ordini delle guardie bisogna obbedire incondizionatamente
chiunque si comporti in modo astioso nei confronti di una guardia o la aggredisca fisicamente verrà fucilato all’istante.
Chiunque non dimostri di attenersi totalmente alle istruzioni delle guardie verrà fucilato all’istante.
Non è permesso rispondere o lamentarsi con le guardie.
Di fronte alle guardie bisogna inchinarsi in segno di rispetto.

5. Chiunque avvisti un fuggitivo o una figura sospetta è tenuto a denunciarlo immediatamente
Chiunque offra copertura o protegga un fuggitivo verrà fucilato all’istante.
Chiunque conservi o nasconda gli averi di un fuggitivo, cospiri con lui oppure ometta di denunciarlo verrà fucilato all’istante.

6. I prigionieri devono tenersi sotto controllo a vicenda e denunciare immediatamente qualsiasi comportamento sospetto
ogni prigioniero è tenuto a controllare gli altri ed essere sempre vigile.
Bisogna controllare da vicino le parole e la condotta degli altri prigionieri. Se qualcosa desta sospetti, è necessario avvisare immediatamente una guardia.
I prigionieri devono partecipare con convinzione agli incontri di lotta ideologica e censurare sé e gli altri.

7. Ogni prigioniero deve portare a termine tutto il lavoro che gli viene assegnato quotidianamente
se i prigionieri trascurano il lavoro quotidiano o non riescono a raggiungere la quota di produzione desiderata, si penserà che nutrano del risentimento e per questo verranno fucilati all’istante.
Ogni prigioniero è unicamente responsabile della propria quota di produzione.
Raggiungere la propria quota di produzione equivale a purgarsi dei propri peccati e ricompensare lo stato per la clemenza mostrata.
La quota di produzione stabilita da una guardia non può essere discussa.

8. Fuori dal luogo di lavoro non è ammessa interazione tra persone di sesso diverso per motivi personali
in caso di contatto fisico di tipo sessuale non preventivamente approvato, i responsabili verranno fucilati all’istante.
Fuori dal luogo di lavoro, prigionieri di sesso diverso possono comunicare solo se autorizzati.
È vietato introdursi nei bagni destinati all’altro sesso se non autorizzati.
Senza una ragione speciale, due persone di sesso opposto non possono tenersi per mano o dormire una di fianco all’altra.
I prigionieri possono recarsi negli alloggiamenti per membri del sesso opposto solo se autorizzati.

9. I prigionieri devono pentirsi sinceramente dei propri errori
chi non ammette i propri crimini e anzi li nega o li interpreta in maniera deviante verrà fucilato all’istante.
È necessario riflettere profondamente sui crimini commessi contro il proprio paese e la propria società, e sforzarsi di purgarsene.
Solo dopo aver riconosciuto i propri peccati e averci riflettuto a lungo un prigioniero può ricominciare da capo.

10. I prigionieri che violano le regole e i regolamenti del campo verranno fucilati all’istante
ogni prigioniero deve vedere in ogni guardia un maestro, e attenendosi alle dieci regole del campo piegarsi al duro lavoro e alla disciplina per potersi ripulire degli errori passati.

Fuga dal campo 14, di Harold Blaine (2014, Codice Edizioni) - 290 pagg. - 16,90€

[Immagine della penisola coreana presa dallo spazio. La Corea del Nord si distingue solo come un'impressionante zona di buio frapposta tra la Corea del Sud e la Cina. L'unica area illuminata è - di fatto - quella della capitale Pyongyang]

mercoledì 18 marzo 2015

Si stava peggio, quando si stava meglio (un'elegia del futuro)

Mi sono rotto le palle (e a frammenti piccoli piccoli) di continuare a sentir scandire il ritornello di come andavano meglio le cose prima. Non se ne può più di sentire persone che, eternamente deluse dal (loro) presente, non fanno che guardarsi indietro e magnificano sempre e comunque i Tempi Andati che, per quanto difficili, per quanto complicati, per quanto questo, per quanto quell'altro, erano sempre e comunque migliori di Adesso. Un terribile paradigma prospettico, questo, che viene applicato incondizionatamente, senza conoscere, senza riflettere, senza informarsi. Il default dell'opinione, l'apologia dell'ottusità.

La prima attribuzione, per eccellenza, è alla società in generale. Ma non di rado lo si sente rivolto anche alla politica, ai giovani, ai rapporti tra le persone, alla scuola, ai preti, al cinema, allo sport, alla musica, alla morale, all'economia, alla letteratura. Per costoro (e sono tanti, tantissimi, un esercito di tetri rompiballe) moltissimi aspetti del presente sono visti in funzione di una perdita di qualcosa del passato. In altre parole per loro la corsa verso il futuro è una decadenza continua e inarrestabile, a dispetto di un'evoluzione tecnologica, medica, alimentare, immobiliare o quellochevoletevoi, che di fatto, dunque, non serve in alcun modo a rendere migliore la vita dell'uomo, inesorabilmente così destinata – nel suo complesso – a essere peggiore.

Invece, la perenne contemplazione del passato, e il crogiolarsi in maniera un po' autocompiacente in esso, non è soltanto il risultato della nostalgia di un tempo considerato migliore solo perché quello era il tempo di una giovinezza che consentiva di sperare in un futuro in un modo che adesso l'anagrafe e l'esperienza non rendono più possibile, ma è anche una dimostrazione che costoro fanno continuamente a se stessi. Perché convincersi di un passato che contiene in sé una situazione desiderabile, migliore del presente, significa semplicemente convincersi che, in generale, qualcosa di meglio può esistere. Anche se offuscato dalla fallacità della memoria o distorto dalla labilità del ricordo, il passato migliore sta comunque lì a dimostrare che, come è già esistito (in passato), allora potrà esistere di nuovo (in futuro). In altre parole significa rivolgere la propria speranza verso qualcosa di (ritenuto) tangibile, perché ci siamo già passati attraverso. E abbracciare la speranza nei confronti di un ritorno a uno stato già vissuto, dunque possibile, è molto più facile (e quindi più potentemente consolatoria) che immaginarsi qualcosa magari di migliore e di diverso (oppure anche niente), ma avvolto nelle nebbie incerte dell'ipoteticità.

Naturalmente tra vent'anni gli stessi (se ancora ci saranno) diranno con la classica lacrimuccia quanto si stava bene oggi.

lunedì 16 marzo 2015

L'Isis, l'orrore e il Moncler

La sensazione comune è che si sia al cospetto del peggior orrore della Storia, almeno quella dell'ultimo secolo, almeno dai tempi di Auschwitz. Mettere di fronte al crudo spettacolo di roghi e decapitazioni ha fatto piombare l'occidente in un'atmosfera antica, non necessariamente medioevale, comunque un tempo di ghigliottine e vergini di Norimberga, caccie alle streghe e tori di Falaride.

La realtà è un po' diversa. Perché la sola, vera, specialità dell'orrore targato Isis, l'unico aspetto che lo differenzia dagli altri orrori della Storia in cui l'uomo ha dimostrato di sguazzare così bene, è la sua mediaticità, la sua presunzione, se vogliamo, la sua assoluta mancanza di pudore per la morte e il dolore.

L'Isis invece la morte e il dolore te li sbatte sotto il naso, in tutta la loro puzza insopportabile di merda, piscio, vomito, sangue, terra, sudore e marciume, anche per te, sprofondato al calduccio nel tuo divano che ancora profuma della Ferilli, di fronte al tuo maxischermo OLED comprato in trentasei comode rate mensili (ma tranquillo, pagherai da giugno) e il tuo Moncler fiammante eretto ad armatura contro quei vili attacchi alla tua Civiltà.

Invece l'orrore dell'Isis è (semplicemente) l'orrore della guerra. Una guerra atipica, se vuoi, non convenzionale, d'accordo, che non risparmia civili inermi compresi donne e bambini, va bene, una guerra che ha regole diverse da quelle cui ti hanno raccontato a scuola, te lo concedo, ma pur sempre una guerra in piena regola. E quello che l'Isis ci mostra non è niente più dell'orrore che scaturisce dalla natura umana nel momento in cui un uomo lotta all'ultimo sangue contro un altro uomo.

Credi che in Vietnam, Corea o Afghanistan, o in occasioni di eccidi come quello di Srebrenica (giusto per citarne uno vicino a noi nel tempo e nello spazio) l'orrore sia stato minore? Credi che il napalm servisse per accenderci i barbecue? Solo ci è stata fatta la cortesia di non mostrarcelo. Sì, certo, ne abbiamo letto a riguardo, ma la cronaca è racconto e il racconto è comunque una forma di narrativa con le sue iperboli e la sua possibilità di non credere, almeno non fino in fondo. Non è come essere lì, non è come vedere ciò che accade. Così, come un libro, quell'orrore abbiamo potuto metterlo nello scaffale delle cose brutte, okay, ma che in fondo non ci riguardano. Per intendersi, quel ripiano lassù in cima, bello in alto.

Invece l'Isis non ci risparmia niente. L'Isis ci mostra la guerra per quello che è. Spettacolarizzata, certo (i suoi video hanno comunque aspetti coreografici non trascurabili), ma comunque senza i filtri del pudore, del perbenismo, dell'ipocrisia. L'Isis vuole dirci che un giorno toccherà a noi, perché non si fermeranno finché non avranno raggiunto Roma, Parigi, Berlino, Londra. L'Isis vuole farci tremare il buco del culo. E invece, mostrandoci senza alcuna pietà l'orrore della guerra, l'Isis ci mette semplicemente in contatto con la realtà, ci fa conoscere quell'orrore dal quale - a meno che non abbiamo incontrato la guerra direttamente - ci siamo sempre volentieri sottratti o ci hanno sempre tenuti al riparo. Guardare l'orrore negli occhi significa invece conoscere la guerra come non l'abbiamo mai conosciuta, imparare a non nascondere la testa sotto la sabbia, e in questo modo sviluppare gli anticorpi morali (ma non solo) per affrontarla.

Insomma, alla fine è come se l'Isis ci stesse facendo un favore, insegnandoci che un Moncler non basterà a proteggerci. Nemmeno l'ultimo modello.

mercoledì 11 marzo 2015

Il grande marziano incontra Nicola Pezzoli

Se volete venire a trovarci, sabato prossimo 14 marzo alle ore 18, Nicola Pezzoli e il sottoscritto saremo presso la Libreria Falso Demetrio a Genova, Via San Bernardo 67r, a parlare di libri, scrittura e altre svariate amenità.

martedì 10 marzo 2015

Il nuovo romanzo di Nicola Pezzoli (ovvero siamo tutti Corradino!)

Quando prendi in mano Chiudi gli occhi e guarda, ci sono due cose che ti si aggrappano subito alle funi dell'attenzione. La prima è la splendida copertina (come sempre lo sono quelle di Neo Edizioni). I colori roventi dell'estate, la fantasia di un orecchio che ascolta il mare dentro una conchiglia, un bambino dall'espressione lieve e spensierata. La seconda è l'epigrafe in francese che scopri subito all'apertura del volume e che recita:

Quand nous ne sommes plus
des enfants, nous sommes déjà morts.

Constantin Brancusi

e per la quale non credo ci sia bisogno di traduzione. Ebbene, questi due indizi sono sufficienti a tratteggiare esaurientemente i contorni di questo nuovo romanzo di Nicola Pezzoli che, come nel precedente bellissimo Quattro soli a motore, vede protagonista il "mitico" Corradino, alle prese con un altro momento della sua crescita, (forse) quello definitivo, quello che segna (forse) il passaggio finale dall'infanzia all'età adulta, se mai ci può essere un unico passaggio a scandire questa evoluzione personale.

Siamo sempre d'estate, in base a quel tipico panorama letterario e invero un po' paradossale per cui i ragazzini crescono solo quando le scuole sono chiuse. Ma questa volta è la prima vacanza estiva di Corradino al Mare (non un mare qualunque, quello con la emme maiuscola) a fungere da catalizzatore della sua crescita, con una serie di primi incontri unici, e in questo senso avventurosi, che a loro modo contribuiranno a cambiarlo per sempre, forse dandogli qualcosa, ma forse anche togliendoglielo. Perché, come in ogni cosa, anche ogni maturazione ha il suo prezzo: si acquista qualcosa, ma al prezzo di qualcos'altro.

Nel momento in cui si sta vivendo quella fase della propria vita, si è convinti di conquistare qualcosa di prezioso, addirittura di essere dei miracolati o comunque dei prescelti, toccati da una grazia tutta particolare, come se fosse successo solo a noi, nel bene e nel male, il tutto nell'inconsapevolezza della crescita che si sta subendo, dell'onda che ci sta travolgendo. Dunque è solo a posteriori che possiamo riconoscere anche il prezzo che abbiamo pagato, quello che finisce per essere il corrispettivo del valore della nostalgia che ci è rimasta per quell'epoca unica e irripetibile della nostra vita.

Pezzoli costruisce così questo piccolo nuovo romanzo animandolo innanzitutto di quella grazia, di quella sensibilità e di quello stupore infantili, che a tratti commuovono, a tratti fanno sorridere, sempre lievi anche quando sono amari, sempre soffici anche quando fanno male, perché è così che normalmente si vivono le cose a quell'età. Dopodiché, come in uno shaker, Pezzoli pezzolizza la sua materia con l'umorismo e, non di rado, con quella franchezza del disincanto dell'adulto al confine col cinismo (ma che resta sempre un piccolo passo indietro rispetto al cinismo vero e proprio, ed è questa la sua abilità) che costituiscono la cifra stilistica più cristallina della sua narrativa.

Quello che ne viene fuori è una storia dolce, amara, dolorosa e divertente, non immune a quelle piccole impertinenti sconcerie di un bambino che sta per diventare adolescente (ah, il pìrulo!) e che ci restituisce quello sguardo lì, che avevamo tutti noi a quell'età (Corradino ha 12 anni), ma che asciuga la nostra nostalgia col sorriso dell'ironia. L'unico autentico difetto del libro, è che è troppo maledettamente corto! Ma del resto non lo sono forse sempre, le vacanze al Mare?

L'incipit:

Il gatto reputa di cagarsi addosso quando è troppo tardi per tornare indietro, e tragicamente presto per arrivare a destinazione.
Trauma da automobile, piccola Ciopy, ma quanto a trasporti felini su gomma è la prima volta anche per noi , e a lasciarti digiuna non ci abbiamo pensato. Dall'espressione del casellante è chiaro che all'abbassarsi del finestrino ha usmato l'afrore ma non ne individua la fonte Con quella faccia da piciorla ammaestrato sarà dura intuirla. Sarebbe il caso di indicargli la gabbietta con la micia imboscata giù al buio fra il sedile anteriore e il cruscotto, di modo che quello, mentre conta le lire da dare alla mamma, la smetta di fissare con disgusto il sedie di dietro della 127, la smetta di guardare
me.

Chiudi gli occhi e guarda, di Nicola Pezzoli (2015, Neo Edizioni), 129 pag., 12€.

domenica 8 marzo 2015

Lui e Lei, l'8 marzo

"Donne, prima di pretendere la mimosa, smettete di leggere romanzi in cui:
- Lui è più ricco e potente di lei,
- Lui un esperto sciupafemmine, lei è vergine,
- Lui conosce tutte le posizioni del kamasutra, lei non ha mai provato un orgasmo,
- Lui la guarda negli occhi, lei viene,
- Lui gliene fa di tutti i colori, lei subisce,
- Lui comanda, lei obbedisce,
- Lui si tiene il lavoro, lei molla tutto per seguirlo,
- Lui lavora, lei si fa mantenere,
- Lui la salva, lei si fa salvare.
L'emancipazione passa prima di tutto dal modo in cui le donne vedono se stesse."
(Alessandra Selmi)

venerdì 6 marzo 2015

Non è un paese per eroi (alla ricerca di Spock)

Inspiring è una parola inglese molto interessante. L'Oxford Dictionary definisce inspire, il verbo da cui è derivata, come: "Fill (someone) with the urge or ability to do or feel something, especially to do something creative" ovvero, letteralmente: "Riempire (qualcuno) con l'urgenza o l'abilità di fare o sentire qualcosa, specialmente di fare qualcosa di creativo". In italiano la traduzione esiste ed è tutto sommato analoga, ovvero "ispirante" o "che dà ispirazione", tuttavia nella nostra lingua il suo uso è praticamente assente. Al contrario, nei paesi anglofoni la locuzione è assai gettonata, a volte addirittura inflazionata. La ritroverete citata un po' ovunque, tutte le volte in cui – anche un po' iperbolicamente – si desidera comunicare questo sentimento di qualcosa o qualcuno che contribuisce a catalizzare l'altrui propensione alla creatività o, in generale, ad agire per raggiungere qualche tipo di ambizioso traguardo.

Riferita alle cose spesso la si ritrova in pubblicità, ma non di rado viene utilizzata riferita anche alle persone, quelle che sono, o sono state, di esempio in vari campi, quelle che in qualche modo hanno tracciato una via, illuminato una strada, fatto pensare a qualcuno di voler essere come loro, seguire le loro orme. E forse davvero non c'è una migliore applicazione della parole inspiring: persone in grado di far sognare altre persone, individui capaci di cambiare la vita di altri individui, influenze positive esercitate non di proposito, ma spesso involontariamente, se non addirittura indirettamente, attraverso esistenze ritenute universalmente straordinarie. Il loro esempio, i loro traguardi, il loro valore, le loro capacità di attraversare traguardi impensati, la loro forza di cambiare in qualche misura il mondo. Se ci si pensa bene, questo non è molto distante, in senso lato, dalla definizione di "eroi".

Ci riflettevo qualche giorno fa, a corollario della scomparsa di Leonard Nimoy. Si trattava di un (semplice) attore, ancorché famosissimo, non di un Premio Nobel per la Pace. Eppure, grazie anche all'identificazione con il suo personaggio, Nimoy è stata una persona inspiring e grazie al lavoro di una vita continuerà a esserlo con la sua eredità telecinematografica. E con lui altri. Spesso le inspiring people hanno questo potere, almeno finché il fermento della memoria collettiva lo concede. Il punto è che non mi sono venute in mente persone "ispiranti". Italiane, voglio dire. Così, il fatto che la lingua italiana non sia avvezza all'uso dell'equivalente di inspiring mi è parso derivare dalla tradizionale mancanza italiana di persone inspiring. L'alternativa è che esista, in Italia, una tradizionale incapacità nazionale (culturale?) di attribuire a persone un ruolo inspiring.

Se poi una lingua è capace di dire qualcosa sulla nazione che la usa, le parole, i loro significati e la loro (non) esistenza, possono rivelare qualcosa sul popolo che (non) le usa. Quel che è peggio, infatti, è che il concetto di inspiring non mi pare proprio utilizzato in generale, nemmeno nell'ambito più cinico della pubblicità, come se questa attività intellettuale non fosse contemplata dal bagaglio culturale o sociale della nazione. Come se per l'Italia (ovvero per gli italiani) il ruolo dell'Esempio fosse del tutto irrilevante e i Modelli, quelli capaci di infondere virtù, visioni, traguardi, orizzonti, gli ispiratori delle generazioni a venire, non hanno alcuna ragione d'essere. Il problema è che tutto questo ha anche (molto) a che vedere con l'idea che un popolo ha del proprio futuro, ovvero del fatto che non sappia nemmeno contemplarla la possibilità di immaginarlo, un futuro.

Come partire da una singola parola e trarre una visione dell'Italia drammaticamente (e anche un po' tragicamente) credibile.

mercoledì 4 marzo 2015

Il Principe Azzurro, dalla scarpetta alla frusta

Un uomo bello e ricco seduce una studentessa e la convince a fare delle zozzerie trasgressive: dal bondage, al sadomaso, ecc.. Poi però lei si innamora. Poi però lui esagera. E allora lei lo manda a cagare. Questa, in poche parole, potrebbe esse la sinossi di 50 sfumature di grigio, film o libro non importa. Ciò che importa è che a guardare la storia in controluce ci sono due aspetti in conflitto tra loro che colpiscono e che sembrano completamente (e inquietantemente) assenti dalle critiche, concentrate invece per lo più sulla risibilità degli aspetti erotici del film o sulla scadente qualità letteraria del libro.

Il primo è il meschino sottotesto maschilista e classista della trama. Insomma c'è 'sto tipo straricco sfondato che convince una studentessa di umili origini a sottoscrivere un contratto per essere dominata (sessualmente). Quindi in un'unica situazione sono riunite e vengono in qualche modo esaltate le due coppie archetipiche della dominazione: uomo>donna, ricco>povero. E questo, vogliate o no, è un messaggio che passa. La seconda è il prodigioso sottotesto femminista e immaginativo che riesce a mascherare l'aspetto precedente dalla sua valenza maschilista e classista, per riportarlo all'interno di confini di ambizione e desiderabilità. E anche questo messaggio passa. Il fatto che poi alla fine lei lo molli perché lui esagera (la frusta di brutto, costringendola a contare le frustate come nei migliori racconti di schiavitù) non redime comunque una situazione che, nei suoi paradigmi di base, viene comunque accettata con una firma e, in qualche modo, celebrata.

Tramite il personaggio di Christian Grey, E.L. James (NB una donna) traccia così le coordinate valoriali del Principe Azzurro del nuovo millennio: un uomo potente, facoltoso, trasgressivo, bello (ovviamente), ossessionato dall'esercizio del dominio, al quale la donna concede la propria sottomissione, ancorché con qualche distinguo che però non vale certo ad affrancarla e a rimetterla in una condizione di parità. Il personaggio di Anastasia Steele (forse Steele sta a evocare il freddo dell'acciaio di una donna che ha bisogno del calore di emozioni estreme per sciogliersi in godimento?) rappresenta il prototipo della donna che alla fine accetta volentieri di sottomettersi alle pratiche pervertite di lui, vuoi nell'illusione di poterlo salvare, vuoi nella realtà della sua carta di credito (e la ricchezza non è un aspetto incidentale della storia, ma non lo è – se andiamo a vedere – nemmeno in quella di Cenerentola), vuoi per entrambe, vuoi per quello che volete voi.

Se poi, in ultima analisi, si considera che pare che il pubblico-tipo di questo film/libro sia per oltre la stragrande maggioranza femminile e per giunta piuttosto giovane, è facile giungere alla conclusione che quella di 50 sfumature di grigio è la rappresentazione legittimata, o la legittimazione rappresentata, di quelli che sono i (nuovi) desideri delle giovani donne di questo momento storico. Se una volta si sognava con Cenerentola, adesso si sogna con Anastasia Steele e non ci sarà da sorprendersi se tra non molto le bambine per carnevale chiederanno di vestirsi di latex.

[Nota: Le illustrazioni sono di Michele Moricci. Ne potete vedere altre qui.]

lunedì 2 marzo 2015

Una meraviglia piena di stelle

Enra è un progetto giapponese di intrattenimento nel quale vengono fusi insieme grafica, danza, musica e abilità diverse in un'originale espressione artistica chiamata motion graphics performing arts, in grado di restituire straordinario esperienze visive, come questo Pleiades.

Nei territori dell'immaginario viene chiamato sense-of-wonder. Qui non serve immaginare niente. Godetevi la meraviglia.

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