Punti di vista da un altro pianeta

domenica 29 aprile 2012

Invaders from Mars #2

E anche il Piemonte è andato!


Qui mi si vede al Quartier Generale, mentre controllo la posizione degli altri marziani sul territorio.


Qui sopra invece cerco un appostamento in bagno, ma con troppa poca discrezione. Sono stato beccato!

Queste infatti sono le foto del marzianino che Minerva, la fortunata vincitrice del Concorso Vinci un Marziano di un paio di mesi fa (e dunque del marzianino in questione, realizzato da Knitting Bear), mi ha mandato, scattate in zona Torino. In realtà lei me le ha spedite quasi subito, sono io che ho impiegato un po' nel pubblicarle. Mi scuso con lei, ma finalmente eccole qui. Ringraziandola ancora una volta per la simpatia e l'apporto che dà a questo pianeta con la sua presenza.

martedì 24 aprile 2012

Il vuoto in forma di romanzo

Se questo libro non mi fosse stato venduto corredato da una luccicante fascetta che sfoderava i fasti di una SETTIMA EDIZIONE, un autorevole piazzamento al Premio Strega 2011 come finalista e una vittoria al fantomatico Premio Merck Serono 2011, probabilmente questa recensione non l'avrei scritta. Non credo che avrei trovato che sarebbe valsa la pena spenderci del tempo. Spesso è molto meglio una spessa coperta di silenzio e indifferenza, piuttosto che accendere in qualche modo un riflettore su un'opera, ancorché di luce negativa. Invece no, perché trattandosi - secondo me, naturalmente - di uno dei più brutti libri che mi sia mai capitato di leggere da quando so leggere, anzi anche da quando guardavo solo le figure, mi sono sentito in dovere di parlarvene, come per mettervi in guardia. Forse ne avrete sentito parlare o l'avrete visto ammiccare da qualche scaffale (con la sua fascetta acchiappapolli). Si intitola L'energia del vuoto e l'autore è Bruno Arpaia. Ma lasciatemi fare un paio di passetti indietro.

Il primo. Non lo dico a mia discolpa. Io delle fascette dei libri me ne strasbatto le antenne. Non le cerco, né le evito come la peste. Per me non esistono. Il punto, nel caso in questione, è che era già un po' di tempo che volevo - ebbene sì - leggere questo libro. È stata la mia passione per la fisica a intrigarmi, dato l'argomento del libro. Nelle intenzioni dell'autore dovrebbe trattarsi infatti - il condizionale è d'obbligo - di una specie di science-thriller ambientato nell'ambito della fisica, laddove la vicenda ruota intorno a un intrigo che si svolge al CERN di Ginevra in occasione della messa in funzione dell'LHC (Large Hadron Collider), l'autentico acceleratore di particelle acceso dopo qualche peripezia, due anni e mezzo fa. Per intendersi, lo ricorderete, quello per il quale i media (e non solo) fecero un gran clamore parlando di creazione di buchi neri, Terra che veniva inghiottita e altre idiozie assortite. Insomma, il tema mi incuriosiva, così alla fine l'ho preso. Nonostante la fascetta.

Il secondo. Prima di questo libro non avevo mai letto niente di Arpaia in vita mia (e non leggerò mai più niente di suo in futuro, a meno che qualcuno non decida di pagarmi - e profumatamente - per farlo), per cui tutto quello che dico su di lui come scrittore si riferisce solo allo scempio che ha fatto con questo libro, benché se uno riesce a scrivere una simile bruttura, è difficile pensare che in altre occasioni possa avere scritto - o potrà farlo - dei capolavori. Tuttavia mi piacerebbe, se qualcuno l'ha fatto, che mi dicesse la sua in merito. Ma veniamo al punto. Se avete bisogno di un esempio letterario di come NON si scrive un libro eccolo, lo avete. Perché L'energia del vuoto è quanto di più mediocre si possa avere il coraggio di scrivere (e pubblicare) - in termini professionali, s'intende - sia dal punto di vista della struttura, che della trama, che dei personaggi, che dello stile. Niente di questo libro si salva. Niente di questo libro lo salva. Per quanto ci si possa sforzare con la condiscendenza, la correttezza grammaticale non è sufficiente.

Lo stile. Ingenuo come quello di un dilettante alle prime armi (e di quelli anche scarsamente dotati), infarcito di espressioni colloquiali che non si leggono neanche su Topolino, con dei dialoghi di una banalità imbarazzante e pagine e pagine di inutili “convenevoli” tra i personaggi. Dal canto loro i personaggi sono stereotipi con un tratteggio psicologico degno della sensibilità di una pietra pomice. Ma se questo, in un libro che nasce per essere "di genere", potrebbe anche passare un po' in secondo piano, è difficile non notare i personaggi femminili appiattiti su un registro fastidiosamente maschilista. La struttura è confusa, con diversi momenti della vicenda il cui racconto viene di volta in volta intervallato, ma che non essendo contemporanei finiscono per rendere al lettore disagevole la comprensione di ciò che sta accadendo almeno fino a pagina 150 (e le pagine totali sono 263).

La trama è di una povertà disarmante. Per una prima abbondante metà, il libro si divide tra un evidente intento divulgativo, che avrebbe potuto anche starci purché fosse stato calato con convinzione e (solo) un pizzico di creatività nella struttura della vicenda, invece di essere appiccicato in maniera fastidiosamente posticcia grazie al personaggio di una giornalista (superfica e facilmente arrapabile, vedi maschilismo di cui sopra) che deve scrivere un pezzo sull'LHC, e le vicende di un gruppo di fisici del CERN con allegato scialbissimo drammino familiare (lei, la fisica, che lavora troppo e loro, il marito e il figlio, che per questo si scazzano) alle prese con l'accensione dell'acceleratore. Ho avuto l'idea che, da questo punto di vista, Arpaia abbia avuto l'ambizione di fare con la fisica teorica un'operazione simile a quella che Jostein Gaarder fece a suo tempo con la filosofia ne Il mondo di Sofia, ma quanto a risultati siamo distanti milioni di anni luce. Poi, fino a ben oltre la metà del volume, di intrigo non c'è traccia, tranne una coppia padre-figlio (quelli scazzati di cui sopra) in fuga non si sa bene da chi o da cosa (ma anche qui con dei siparietti di una pochezza davvero tragicomica), ma che a dispetto dello scazzo, continuano a chiedersi che fine ha fatto la moglie/mamma. Anche il dramma conclusivo, quello più grosso, quello che dovrebbe sparare la storia verso il finale e dovrebbe (lasciate che lo dica, qui, una volta sola, perché stavolta è proprio il caso) togliere il fiato, è costruito su un nulla di un'implausibilità infantile. Infine il finale vero e proprio, totalmente inconsistente, se non per farti salire sulle spalle la carogna di aver buttato nel cesso 16,50€, concederti la drammatica rivelazione che Dan Brown è un autentico gigante della letteratura contemporanea e dimostrarti che, circa la non esistenza di un'entità chiamata “vuoto”, la fisica moderna si sta sbagliando di grosso.

L'estratto inutile, ovvero per spiegare che cosa intendo per "convenevoli" (siamo solo a pagina 13 - nella seconda scena dei due fuggiaschi, padre e figlio - Pietro e Nico. Nico è all'oscuro di quanto sta succedendo). Il libro cola in abbondanza scene inutili e dilettantesche di questo tenore come salsa da un Big Mac:
"Quando apre gli occhi, il sole è già qualche centimetro sopra la collina e Nico lo sta scuotendo per una spalla.
«Papà sei sveglio?»
«Sì, Nico, sì, sveglissimo.»
Le sette meno venti. Il «riposino» è durato quattro ore. Come fuggiasco a una vera mezzasega.
«Papà, ma dove siamo?»
«In Francia, più o meno a metà strada da Marsiglia.»
«E mamma?»
«Te lo già detto: ci raggiunge dopo, in Spagna.» Pietro sbadiglia, socchiude la portiera e scende per guardarsi intorno. Tutto tranquillo, la provinciale vuota, il vecchio tiglio sopra la testa, la ghiaia dello spiazzo, il bar ancora chiuso, i campi incolti, un casolare in pietra sopra la collina, la luce del mattino che pennella l'aria di venature vivide e sanguigne. Quella tranquillità, quel lento battito delle cose intorno, per qualche istante, gli fanno immaginare di non aver mentito: forse quel viaggio è veramente solo una vacanza, forse quell'ultimo anno e mezzo è stato solamente un brutto sogno, forse dopo Marsiglia, Emilia prenderà un volo per Madrid e andranno tutti insieme al mare a Cadaqués o in giro per l'Andalusia.
«Papà chiamiamo mamma?»
E invece no. Non è per niente un sogno.
«Mi è morto il cellulare, Nico. E poi è ancora presto... Se non sta lavorando, mamma starà dormendo. Magari la chiamiamo dopo.»
Decisamente no, non è una vacanza. Emilia non prenderà quel volo. E bisogna rimettersi per strada. Subito.
«Ora fai la pipì e partiamo.»
«Ma ho fame...»
«Facciamo colazione dopo. Al primo bar aperto giuro che ci fermiamo.»
[breve descrizione delle strade e dei luoghi che i due attraversano e che vi risparmio - Arpaia invece no - fino all'arrivo a un bar aperto]
«Buongiorno. Ci dà un caffè di acqua purificata, un caffellatte e un paio di croissant?»
Nico mangia in silenzio, andando su e giù con una mano in tasca e la console stretta sotto l'ascella. Nemmeno Pietro dice una parola, ma inizia a borbottare appena fuori.
«Che ladri... Cinque euro e trenta per un caffè di pura. A Ginevra lo fanno a quattro franchi.»"
L'estratto utile (pag. 135, dall'articolo che la giornalista scrive sull'LHC e che Arpaia ci riporta per intero, inutilmente tranne che per questa frase che, date le circostanze, è totalmente condivisibile):
"Un qualunque teorico (nel senso di fisico teorico, ndr), oggi, ha forse molta più immaginazione di parecchi narratori in circolazione."
Di Arpaia senza dubbio.

venerdì 20 aprile 2012

Sei domande a Il grande marziano (e una a voi)

D'accordo, è probabile che a Paperopoli ci sarà un Paperblog, ma a dispetto delle apparenze in questo caso i pennuti non c'entrano. C'entra invece un aggregatore di blog, Paperblog appunto, che sicuramente si è imposto nell'ultimo biennio come uno dei siti di aggregazione di blog italiani più evoluto dal punto di vista grafico e più interessante e dinamico sotto l'aspetto della scelta dei contenuti (difatti è anche l'unico cui, almeno per ora, Il grande marziano ha pensato potesse valere la pena iscriversi). E se parlo di biennio, non lo dico a caso, visto che proprio oggi Paperblog compie due anni di attività, compleanno che il sito ha deciso di celebrare concedendo l'onore di un'intervista a tre dei suoi oltre quattromila blog iscritti e Il grande marziano è uno di questi. Ringraziando dunque lo staff di Paperblog per l'onore e (dunque) l'apprezzamento dimostrato, e augurando loro cento di questi giorni, sono lieto di proporvi qui di seguito l'intervista completa, più una domanda finale che sono io a rivolgere a voi.

1. Chi è Il grande marziano? Raccontaci di te
Non di rado capita che qualcuno mi chieda come mi chiamo o qualcosa in più su chi è in realtà Il grande marziano. E la mia risposta è sempre la stessa: nel bene e nel male, nel bello e nel brutto, io sono i miei contenuti. Sono infatti convinto che generalità anagrafiche o note biografiche non possano aggiungere niente di significativo ai concetti e alle idee che vengono espressi nel blog, e la cui forza e valore è quello che deve emergere (possibilmente) a prescindere dal loro autore (del resto se uno è sconosciuto, cambia qualcosa sapere che si chiama "Mario Rossi", piuttosto che "Il grande marziano"?). Sotto questo aspetto Il grande marziano nasce infatti prima di ogni altra cosa come un progetto culturale, o per lo meno - senza presunzioni - un umile tentativo di esso. Per questo non ho mai voluto caratterizzare la pagina individualmente, perché non sono in cerca di consenso e approvazione personali. Poi non c'è dubbio che consenso e approvazione siano gratificazioni importanti, quando arrivano, ma nel caso preferisco che restino entro i confini di ciò che scrivo.

2. Parlaci del tuo blog: a chi ti rivolgi e su quali argomenti ami dibattere?
Il grande marziano nasce per rivolgersi potenzialmente a tutti. Da questo punto di vista può essere considerato un blog generalista, tanto che la cloud delle tematiche risulta da sempre molto variegata. Non sono dunque gli argomenti a essere privilegiati (difatti si passa dall'attualità, al cinema, al costume, alla letteratura, al gossip, alla musica, all'astronomia, alla filosofia, alla politica ecc.), quanto piuttosto il punto di vista con cui essi vengono affrontati di volta in volta. Un po' come cercar di mostrare un paesaggio da una prospettiva inedita, obliqua, oppure di mettere davanti alle lenti degli occhiali un filtro insolito, per far risaltare particolari che altrimenti resterebbero indistinti sullo sfondo. Cosa che diventa ancora più importante in un mondo altamente mediatizzato dove il bombardamento informativo è talmente incessante e indiscriminato, da rendere fin troppo facile cedere alla tentazione di prendere supinamente per valido (tutto) ciò che ci viene propinato. Insomma, come recita l'epigrafe che dà la missione del blog, Il grande marziano nasce "Per rimanere vigili, tenere alta l'attenzione e non smettere di allenare la mente all'indipendenza." Il tutto senza mai trascurare la scrittura e lo stile, nella loro essenza di veicolo supremo di comunicazione delle idee.

3. Quanto tempo dedichi al blog e che tipo di rapporto intrattieni con i tuoi lettori?
Il tempo è variabile, trattandosi comunque - come è normale che accada - di tempo ritagliato ad altre attività della vita quotidiana. E quindi è spesso la vita quotidiana a dettare i tempi del blog e non il viceversa. Tuttavia, come tutti i blogger sanno bene, è necessaria una certa dose di disciplina e di costanza per portare avanti con un discreto successo per oltre due anni un progetto di questo tipo, anche perché un blog vive della qualità dei contenuti, ma anche della relativa frequenza di aggiornamento degli stessi. Più prosaicamente, alla fine in media è difficile dedicare meno di un'ora al giorno, tra nuovi post e risposte ai lettori. E qui veniamo alla seconda parte della vostra domanda. Benché il blog nasca innanzitutto come esercizio e stimolo personali, sapere che ci sono i Lettori, ovvero che esiste qualcuno, al di là del video, sopra altre tastiere, che legge e ha voglia di interagire con me, è un incentivo importante al proseguimento di questo lavoro. Per questo, fin dal principio mi sono dato la regola di rispondere sempre a tutti coloro che commentano, perché considero un'importante forma di rispetto concedere un po' del proprio tempo a chi ha voluto concederlo a te, leggendoti e commentandoti. In secondo luogo, se da queste risposte nascono discussioni (anche accese, seppur raramente), scambi di battute, stimoli per nuove idee, è il massimo. La vitalità del blog sta anche (ma forse, in fin dei conti, soprattutto) in questo.

4. Quali sono i blog che segui con maggiore interesse?
Devo ammettere che da un anno a questa parte vicissitudini personali hanno drasticamente ridotto all'osso la quantità del tempo libero che posso dedicare alla lettura (e al commento) di altri blog. Quindi per forza di cose devo scremare con le cose che mi interessano o mi colpiscono maggiormente, o gli autori che per stili e tematiche riescono a stimolarmi più intensamente. Ma non credo valga la pena di fare qui ora una classifica. Il mio blogroll parla per me.

5. Qual è, a tuo avviso, lo stato di salute della blogosfera italiana e quale futuro si prospetta per i blog?
Forse a questa domanda sapreste rispondere meglio voi di me. Difficile poter dire, infatti, da una posizione tutto sommato periferica qual è quella di un piccolo blogger come me, qual è lo stato di un'entità così ampia, variegata e dai confini fluttuanti come la blogosfera italiana che conta migliaia di blog (quante migliaia?, venti, trenta?, di più?). L'impressione che ho è che stia troppo bene. In altre parole, la possibilità oggi di poter aprire blog gratuitamente su piattaforme che consentono grafiche evolute e accattivanti, insieme con la diffusione sempre più spinta della connettività mobile, rende il fenomeno blog affetto da un'inflazione simile a un'indigestione continua. E questo da un lato rende sempre più difficile per i blog trovare visibilità dentro il maelström della rete e dall'altro rende sempre meno facile trovare contenuti degni di essere letti. Un po' come accade con la diffusione delle piattaforme di autopubblicazione come lulu.com o Ilmiolibro.it. La popolarizzazione della scrittura non fa bene alla scrittura stessa.

6. In occasione del secondo anniversario di Paperblog facciamo il punto della situazione. Cosa ne pensi del nostro progetto? Quali erano le tue aspettative prima di aderirvi, e quali conclusioni puoi trarne oggi?
Come ho già avuto modo di accennare nel post di ieri e nell'introduzione qui sopra, in generale l'aggregatore di blog ha le potenzialità per diventare, nel medio periodo, uno strumento sempre più prezioso per orientarsi all'interno di una blogosfera che bisognerebbe forse chiamare sempre di più blogogiungla. Dal punto di vista concettuale, è dunque un servizio che da questo punto di vista può acquistare sempre più senso. E se Paperblog è l'unico aggregatore cui mi sono iscritto, è perché fin da subito ho visto che poteva avere qualcosa di più o di meglio degli altri. Le due parole che userei a riguardo sono strutturazione ed eleganza. Quindi funzionalità ed estetica. Poi c'è quello che davvero conta, che è la scelta dei contenuti. Ma se dico che siete sulla strada giusta potrebbe sembrare che lo faccio perché avete scelto me. Quindi lascerò a ciascuno decidere venendovi a trovare e valutando sul campo il vostro lavoro. Quanto infine alle aspettative, confesso che quando mi iscrissi non ne avevo alcuna. Per me l'aggregatore di blog era un oggetto un po' misterioso, dunque era difficile per me fare previsioni su quelli che avrebbero potuto essere i riscontri o i vantaggi di farne parte. Dunque l'iscrizione fu una diretta conseguenza del paradigma: alla-peggio-non-mi-darà-alcun-vantaggio-quindi-tanto-vale-provare. Ma se oggi le statistiche mi dicono che i lettori de Il grande marziano su Paperblog sono mediamente il doppio (!) di quelli che si collegano direttamente sulla piattaforma di Blogger, qualcosa vorrà pur dire in termini di conclusioni che devo trarne.

La mia domanda a voi: cosa ne pensate degli aggregatori di blog come Paperblog? Li ritenete strumenti utili? Quali caratteristiche pensate che debbano avere per risultare tali?

[Credits: la foto del marzianino è di Riccardo Argiolas, il marzianino è opera di Knitting Bear]

giovedì 19 aprile 2012

Da Gutenberg a Paperblog

Una volta esistevano (solo) penna, calamaio e candele e a ben vedere erano bei tempi. Non tanto rispetto alla diffusione della cultura a tutti gli strati della popolazione, naturalmente, quanto piuttosto per il fatto che, premesso che scrivere era roba che sapevano fare in pochi, farlo (nel senso di chi scriveva per scrivere) aveva qualcosa di eroico anche solo dal punto di vista fisico, e questo aveva il grande (grandissimo) pregio di rendere l'attività autorestrittiva. Vale a dire che, tra coloro che potevano/sapevano farlo, solo quelli fortemente motivati, riuscivano a sostenere tutte le difficoltà legate al gesto.

Poi, sul finire del XIX secolo, arrivò la macchina per scrivere (nelle sue innumerevoli varianti evolutive) e la scrittura acquistò connotati meccanici, dando un senso di onnipotenza intellettuale in quelle parole frustate e quel din! che benediceva la fine di ogni riga e quindi il progresso del lavoro con una piacevole tonalità argentina. Inutile dire che la diffusione della macchina contribuì alla "popolarizzazione" della scrittura e alla moltiplicazione delle velleità legate a essa. Tuttavia scrivere restava comunque un'attività irta di ostacoli, in assenza di bianchetti e altri sofisticati metodi di correzione, schiava di carta e nastri, portatrice di calli ai polpastrelli, esclusiva ed essenziale, dunque priva di qualunque possibilità alternativa (cos'altro si poteva fare con una macchina per scrivere, se non scrivere?) o estetica che non fosse insita nella scrittura stessa. E questo, lasciate che ve lo dica, era assai salutare per la letteratura stessa.

Quindi giunse il personal computer e il word processor con la loro diffusione capillare. E se una volta scrivere a mano era davvero faticoso, o se possedere una macchina per scrivere non era cosa alla portata di tutti, ora con un personal computer chiunque poteva sbizzarrirsi con super programmi di scrittura gratuiti, che oltre alla facilità del gesto, univano la possibilità di aggiungere lati estetici che Gutenberg si poteva solo sognare. Tutto iniziò verso la fine degli anni '80 e questo, nell'arco di un ventennio, decretò l'estinzione degli scrittori, perché tutti quanti vollero diventare tali, con tutto quello che questo significa.

Ma se uno può pensare che la storia sia finita qui, si sbaglia, perché alla fine degli anni '90, ecco l'evoluzione successiva. Tramite l'affermazione di Internet, allo "scrittore" venne concessa un'ulteriore arma, quella più pericolosa e definitiva: la possibilità di autopubblicarsi. Così a partire dai primi anni 2000 cominciarono a entrare in campo i blog, prima lentamente, poi con nuove piattaforme via via più sofisticate, sempre più velocemente, e tutti gli scrittori, ovvero tutti quelli convinti di essere tali, non furono più costretti a tenere le loro produzioni dentro i cassetti, ma poterono presentare al mondo ciò che scrivevano, ovvero tutto ciò che passa loro per la testa.

Ma se il mercato viene inondato da decine di migliaia di scrittori, di tutti i generi, le estrazioni e - soprattutto - le capacità (perché ormai creare meravigliose scatole vuote è facilissimo, non altrettanto riempirle di contenuti degni di questo nome), si rende necessario orientare in qualche modo la scelta all'interno di un panorama (culturale?) talmente vasto e variegato per temi e, soprattutto, capacità, che è facilissimo smarrirsi o scoraggiarsi. Ecco dunque nascere l'esigenza di un nuova tipologia di siti che offrano questo tipo di (nuovo e non facile) servizio, scegliere ciò che di meglio la cosiddetta blogosfera offre quotidianamente: l'aggregatore di blog. Ma di questo ne parliamo domani.

/continua

lunedì 16 aprile 2012

Tecniche di respirazione per recensori di libri asmatici

Mi rivolgo a voi, recensori più o meno improvvisati, di libri più o meno famosi, di autori più o meno affermati. Se volete continuare a scrivere le vostre recensioni, vi prego (Vi-Prego!), smettetela di metterci dentro la classica, solita (quasi) immancabile frase: "una storia che toglie il fiato", "una scrittura mozzafiato", "un libro che vi leverà il respiro", "un volume che si legge d'un fiato" in tutte le ulteriori varianti respiratorie che siete in grado di concepire. Non se ne può più di leggere questa (cazzo di) cosa, come se aggiungere questa caratteristica polmonare fosse sufficiente a far correre i (malcapitati) lettori a perdifiato a comprare il libro in questione, o come se la mancanza di essa penalizzasse in maniera inevitabile e irreversibile la recensione in sé, rendendola di fatto poco utile come una maschera senza boccaglio. Senza contare che questo succede con contorni assai più disdicevoli e deprecabili nel caso di sedicenti scrittori che si autodefiniscono tali e non mancano (MAI) di tratteggiare secondo tali qualità bronchiali la loro (imperdibile) opera.

Ora, la volete capire che non funziona così?! La volete capire che 'sta cosa è davvero insopportabile?! La volete capire che se sentite il bisogno di dire questo, i casi sono due: o non siete capaci di scrivere recensioni, o il libro non è degno di ricevere una recensione?! Se poi voi siete anche l'autore del libro che state presentando (e sul web la cosa succede fin troppo spesso) la cosa assume connotati davvero imbarazzanti e anche un po’ inquietanti, sia dal punto di vista letterario che da quello umano. Quindi, fate un favore, fatelo a me, certo, ma anche e soprattutto a voi stessi: smettetela! A me non frega un accidente del tempo che ci metto a leggere un libro. Voglio immergermi nella sua storia. Voglio che mi porti dove non sono mai stato. Voglio che mi faccia ridere. Voglio che mi susciti nuove idee. Voglio che mi cambi la vita. Voglio un sacco di cose, da un libro, spesso cose che non so nemmeno di volere finché non le ho lette (e quelle in genere sono le migliori). Ma voglio re-spi-ra-re.

sabato 14 aprile 2012

Salvate l'orsetto Makoon

Già i canadesi mi stavano parecchio sulle palle per la faccenda della mattanza dei cuccioli di foca, adesso viene fuori 'sta faccenda di Makoon, che riprendo dal blog di Knitting Bear e che mi ha davvero fatto andare fuori dai gangheri, per l'ottusità umana che dimostra una volta di più. Copio e incollo qui sotto il suo appello.
Per un umano non lo farei mai, ovviamente.

"Makoon è un orsetto piccolissimo, che è stato trovato solo per strada da una famiglia canadese. Il governo del Manitoba ha deciso di liberarlo in giugno, ma questa è una pessima soluzione, perché allora sarà ancora troppo piccolo per avere la possibilità di sopravvivere. L'associazione Bear with us è disposta a prendersi cura dell'orso e a liberarlo nei boschi da cui proviene nel luglio del 2013, quando avrà 18 mesi e sarà in grado di occuparsi di se stesso. Mi date una mano a scatenare una pioggia di email per far sapere alle istituzioni del Manitoba che a molte persone interessa del suo futuro?

Bastano pochi secondi per inviare un'email al premier della provincia di Manitoba in Canada. Il testo è qui sotto e basta copiarlo e incollarlo in un messaggio di posta elettronica da firmare col proprio nome.

To the Premier of Manitoba Canada
April 13, 2012
Regarding Makoon the black bear cub.

Mr Premier,

We ask you to do the right thing regarding this five pound bear cub. Your government plans to return Makoon to the wild this coming June at a very young age of 5 to 6 months. Releasing Makoon this summer is a mistake if your government actually wants Makoon to have a chance at survival in the wild. Black bear cubs stay with their mother for 18 to 19 months for very good reason. Bears are very intelligent. They have the ability to perform basic reason and abstract thought. Bear cubs learn what to eat and when to eat it by following the mother bear for the first 18 months or so of their lives. Expert bear cub rehabilitators return orphan cubs to the wild at the age of 18 months for very good reason. The cubs need to have have eaten wild sourced foods so they know what foods to source out when returned to the wild. By releasing the bear cubs at the age of 18 months with the right protocol throughout the rehab process it is unlikely the bear will cause conflict with people post release. Makoon should be sent to a bear cub rehabilitation centre ASAP so he can be returned to the wild at the correct age with a real chance at survival. We understand Manitoba does not have a bear rehab facility. There are several reputable bear rehab centres in the country. One is Bear With Us: (www.bearwithus.org) in Ontario. Bear With Us has offered to take Makoon, care for him and return him to the wilds of Manitoba July of 2013. Please do the right thing for this bear cub.

signed,


L'indirizzo lo trovate qui.

Grazie!"

giovedì 12 aprile 2012

Letargo elettromeccanico

Fanno quasi tenerezza questi trabiccoli con le ruotine, che ogni tanto spedite quassù, come verso un Eldorado interplanetario, per cercare chissà cosa, l'acqua come un raro tesoro nascosto, quando peraltro tutti sanno che è il composto più comune dell'Universo, oppure indizi geologici sull'evoluzione del pianeta e del Sistema Solare nel corso delle ere, o ancora (magari) qualche segno anche indiretto che possa schiudere i segreti della vostra origine, che tanto vi stanno a cuore, insieme con l'ombra di una presenza di vita extraterrestre (ma noi - ovviamente - stiamo attenti a rimanere sempre alle spalle della telecamera).

E se il rover Spirit ormai da più di un anno ha dato forfait, dopo peraltro sei anni di glorioso servizio, ed è stato dichiarato ufficialmente defunto lo scorso maggio, il suo gemello Opportunity sta ancora cavalcando ostinatamente le onde brulle (ma bellissime) di sabbia ossidata, col suo passo lento e attento (poco più di 34 km percorsi in quasi otto anni terrestri e mezzo), sfidando non solo gli ostacoli fisici sul suo cammino, ma anche le intemperie e l'ostilità delle stagioni di queste parti. Ecco infatti iniziato il suo quinto inverno marziano nell'emisfero meridionale che terminerà tra poco meno di 150 giorni marziani (quindi intorno a fine settembre 2012) e, come un orso intorpidito dal freddo, si è dovuto mettere in una specie di condizione di stand-by. Il Sole, lontano e basso sull'orizzonte, in questa stagione non consente infatti un'ottimale ricarica delle batterie attraverso i pannelli solari. Senza contare che l'accumulo di sabbia sui medesimi, come si vede dall'immagine, ostacola non poco il processo di ricarica. Dunque il rover deve limitare i suoi consumi e la cosa migliore è fermarsi in un posto conveniente.

Eccolo dunque, Opportunity, a svernare quest'anno nella ridente località di Greeley Haven (un bel posticino, non c'è che dire). Ma niente confortevoli tane, né placide spiagge lacustri. Solo un ottimo stazionamento in termini di esposizione ai raggi solari per garantire la miglior ricarica possibile, un po' come un animale a sangue freddo che, immobile su una pietra, cerca di raccogliere tutto il tepore che la termodinamica gli consente. Nel frattempo, se le sue condizioni energetiche lo consentiranno, il rover continuerà a mandare immagini dell'ambiente circostante e a fare ricerche mineralogiche, col suo collo da struzzo, i suoi attrezzi da ipercoltellino svizzero e lo chassis da sofisticata macchinina radiocomandata, cosa che in effetti è. Fanno quasi tenerezza questi trabiccoli con le ruotine, che ogni tanto spedite quassù per cercare chissà cosa, come giocattoli all'inseguimento di un sogno scientifico, gingilli a caccia di un Graal biologico, balocchi per sperimentare per interposta meccanica la mitologia planetaria per eccellenza. E per questo è l'unico caso in cui riuscite a farmi quasi tenerezza anche voi. Quasi.

sabato 7 aprile 2012

giovedì 5 aprile 2012

Nei panni di un leghista

In casi come questi niente può consolarmi più di una bella, rinfrancante dissonanza cognitiva. Per la serie, ho creduto loro per vent'anni. Sono rimasto appeso alle loro parolacce, ai loro pugni alzati, al loro pane-al-pane, al verde delle loro bandiere, speranza autentica come un sapore di salsiccia cotta su una stufa a legna, la prima che io abbia mai visto, in cui io abbia mai creduto, con quella fragranza, intensa, forte, vera e selvaggia, magari anche un po' bruciacchiata come un vaffanculo gridato con voce roca. Mi sono fidato. Perché loro erano come me, venivano dal basso, dalla gente, erano portavoce genuini del cuore del popolo di cui faccio parte, quello di carne e sangue, sudore e terra, quello dei rastrelli e dei forconi, dei torni e dei pallet, pescatori di carpe e trote. Solo la voglia di fare sentire le proprie voci, il proprio dissenso, il proprio "Basta!". Niente sofisticazioni, come un buon vino doc delle mie terre.
E adesso?

Adesso, mi spiace, ma non ci credo. E no, cari miei. Non posso farlo. Adesso è ovvio che si tratta di un complotto, altrimenti perché l'avrebbero fatto proprio nel giorno della presentazione delle liste elettorali? Adesso non può essere. Adesso sono quelli di Roma, la Roma Ladrona, sempre lei, che si sentono assediati e tentano di screditarci costruendo accuse infamanti. Adesso stanno cercando di farci stare zitti, di accerchiarci, di ricattarci, di annientarci, perché facciamo paura, perché siamo scomodi, perché siamo gli unici che stanno tenendo duro, come solo noi sappiamo fare. Adesso le persone coinvolte (i nostri punti di riferimento), persone perbene, certamente sapranno spiegare, saranno capaci di fare luce sull'inganno di cui sono state vittime. Del resto come ci si può difendere dai giudici, nel momento in cui i giudici decidono di prenderti di mira, magari grazie all'intercessione di qualche potere occulto? Per questo farà benissimo a denunciare chi ha speso quei soldi per la ristrutturazione della sua casa. Del resto è normale che qualcuno paghi la ristrutturazione di casa tua (anzi, non una casa, una villa!) a tua insaputa! Figurarsi! Al punto che alla fine non c'è spazio nemmeno per un «Grazie, a buon rendere!» Quindi perché lui dovrebbe andarci di mezzo? No, non è possibile. E allora, gente, fate come me, rimboccatevi le maniche, mostrate i muscoli, ribellatevi, difendete la causa: non possiamo farci mettere i piedi in testa in questo modo, perché quelli di Roma stanno cercando di fregarci, di spazzarci via. Per questo è il momento di scavare la trincea, di fare testuggine, stare uniti e compatti di fronte all'avversità e vedrete che sapremo tirarci fuori anche da questa.
Del resto qual è l'alternativa?

L'alternativa sarebbe ammettere che per vent'anni sono stato un boccalone professionista, per vent'anni mi sono lasciato prendere per il culo in un modo che nemmeno Mr. B., per vent'anni mi sono anche impegnato come volontario perché ci credevo, alle feste, col fazzoletto verde annodato al collo, ho dato una mano, mi occupavo di versare il vin brulé nei bicchieri di carta, di girare le bistecche d'orso sulle griglie sfrigolanti, ma in quegli stessi vent'anni ho dato fiducia a persone che hanno finito per cedere alle lusinghe del potere e per essere inglobate in quel medesimo sistema che sostenevano (e sostengono) di odiare e combattere con tutte le loro forze. L'alternativa è ammettere il mio errore, darmi (almeno) dell'idiota, mandare giù il rospo del Po e voltare pagina.

Ma non lo farò. Perché le cose si sistemeranno, vedrete. Verrà fuori la responsabilità (unica) del marcione bastardo che si è preso gioco della fiducia altrui. E potete scommettere che non sarà come le altre volte, perché noi siamo diversi. So già che qualcuno (come al solito) lo chiamerà capro espiatorio, ma io non gli crederò.

domenica 1 aprile 2012

Wallflower (2010)



Ascoltate e basta. Anzi no. Se volete, cantate. Vi metto pure le parole. Lasciatevi andare...

6 x 6 - from wall to wall
Shutters on the windows, no light at all
Damp on the floor, you got damp in the bed
They're trying to get you crazy - get you out of your head

And they feed you scraps and they feed you lies
To lower your defences - no compromise
Nothing you can do, the day can be long
Your mind is working overtime, your body's not too strong
Hold on, hold on, hold on, hold on, hold on, hold on
They put you in a box so you can't get heard
Let your spirit stay unbroken, may you not be deterred

Hold on
You have gambled with your own life
And you face the night alone
While the builders of the cages
Sleep with bullets, bars and stone
They do not see your road to freedom
That you build with flesh and bone

They take you out and the light burns your eyes
To the talking room - it's no surprise
Loaded questions from clean white coats
Their eyes are all as hidden as their Hippocratic Oath
They tell you - how to behave, behave as their guest
You want to resist them, you do your best
They take you to your limits, they take you beyond
For all that they are doing there's no way to respond
Hold on, hold on
They put you in a box so you can't get heard
Let your spirit stay unbroken, may you not be deterred

Hold on
You have gambled with your own life
And you face the night alone
While the builders of the cages
Sleep with bullets, bars and stone
They do not see your road to freedom
That you build with flesh and bone

Though you may disappear, you're not forgotten here
And I will say to you, I will do what I can do

You may disappear, you're not forgotten here
And I will say to you, I will do what I can do
And I will do what I can do
And I will do what I can do

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