Punti di vista da un altro pianeta

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giovedì 26 maggio 2011

A scuola di qualunquismo (ovvero qualunquisti si diventa)

Qualche giorno fa è salita alla ribalta la vicenda dell'Istituto delle Suore Marcelline di Lecce in cui in occasione dell'organizzazione di uno spettacolo canoro sui 150 anni dell'Unità d'Italia con dei bambini delle elementari, le religiose hanno messo in scaletta, e dunque dato da imparare a memoria ai bambini, tra le altre canzoni, un'autentica hit d'annata: Faccetta nera.

Prevedibile la levata di scudi di alcuni genitori, non appena la storia è venuta a galla, con conseguente esplosione di polemiche assortite. Le suore si sono giustificate dicendo che nel programma hanno inserito anche l'Inno di Mameli, Il Garibaldi Innamorato di Sergio Caputo (nota canzone risorgimentale) e, come buon peso da par condicio di rigore, Bella ciao. Il tutto a pura e semplice testimonianza di quella che nel bene e nel male è stata la Storia d'Italia degli ultimi 150 anni.

Ebbene, in linea di massima penso che un approccio del genere sia giusto, perché non è corretto tenere nascoste certe parti della Storia d'Italia solo perché in qualche modo scomode, deplorevoli o disonorevoli. Eppure c'è qualcosa che comunque mi stona. Che siano forse i risvolti didattici dell'operazione? In altre parole, non si rischia in questo modo di trasmettere al bambino, ancora distante dalla maturità per comprendere davvero quello che determinati periodi storici hanno significato e comportato per la vita della gente, nell'impossibilità di operare una distinzione consapevole dei complessi aspetti storici e sociali della questione e delle relative sfumature (che forse poi non sono nemmeno tanto "sfumature") morali, una sostanziale percezione di parità?

Non si rischia quindi di costruire nella coscienza del bambino, che è altamente ricettivo e non possiede alcun tipo di strumento critico, un sottofondo di sostanziale equivalenza tra fascismo e resistenza, operazione che poi è molto simile a quella cui si sta assistendo da qualche anno in un certo tipo di sottile revisionismo (a volte nemmeno tanto sottile) che emerge a ogni occasione possibile, come per esempio ogni 25 aprile o nelle pesanti esternazioni del premier di qualche tempo fa circa la "sinistrosità" della scuola pubblica.

Al contrario c'è almeno un unico cazzo di messaggio di base che dev'essere insegnato, spiegato, trasmesso, diffuso, scritto, parlato, cantato, disegnato, mimato, sillabato, ripetuto, pubblicizzato, fatto entrare in tutte le zucche d'Italia e del mondo e che, a dispetto delle miserie umane da cui nessuno può senza dubbio dirsi al sicuro, deve risultare una buona volta ben chiaro a tutti, ed è questo:
Non. Sono. Tutti. Uguali.

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