Non parliamo dunque neanche di cercare di mitigare il peso tombale sulle coscienze di un Europa che forse ancora si sente ferita e in colpa per i milioni di vittime della Seconda Guerra Mondiale che non ha saputo evitare o (almeno) limitare. Né ci riferiamo all'esercizio mediatico della retorica (di nuovo lei) e della presunzione dei politici di usare a loro uso e consumo il Giorno della Memoria per mostrare a tutti quanto sono bravi e saggi mentre gridano dentro le selve di microfoni il loro: "Mai più", come una triste vetrina in liquidazione.
Del resto chiunque alla domanda "a che cosa serve?" risponderà che ricordare quella terribile esperienza storica serve per tenere alta la guardia delle nostre coscienze e fare in modo che in futuro una cosa del genere non accada più (il 'mai' è pleonastico e lo lascio ai politici), perché per queste cose serve l'empatia e non basta la simpatia. Ma come? Come si fa a fare in modo che non accada più, se sei un operaio in cassa integrazione che non arriva a fine mese? Se sei una studentessa disoccupata che sbarca il lunario facendo volantinaggio? Se sei un impiegato qualunque, un co.co.co., una maestra di scuola, un dentista, un fruttivendolo, un idraulico, un conducente di autobus o un semplice blogger? Come si fa a fare in modo che non accada più, se non conti un cazzo?
Ebbene, almeno due modi per farlo ci sono (ma se ne trovate altri, aggiungeteli voi): [1] quando ti trovi di fronte a una scheda elettorale, evita sempre con la massima cura di apporre croci a favore di chiunque predichi l'intolleranza e si dimostri contro i concetti di solidarietà sociale e accoglienza; [2] coltiva in ogni gesto della tua vita la cultura della tolleranza e del rispetto verso gli altri a 360°, magari anche della gentilezza, e questo significa nei confronti di tutti, ovvero anche e soprattutto di coloro che in qualche modo possono essere oggetto di discriminazioni, anche quelle (solo apparentemente) più innocue, anche quelle veniali, che non ti sembrano tali. Non mi metto qui ad elencarle. Ognuno – se vuole – abbia l'umiltà e il coraggio di guardarsi allo specchio e di trovarsele da sé, con franchezza, le piccole e grandi discriminazioni che ognuno esercita, tutti i giorni, con o senza consapevolezza: vi servirà di più che leggere un inutile elenco che in quanto tale non potrà mai essere esaustivo. Solo così, al genocidio prossimo venturo potremo evitare di sentirci dei complici. O, per lo meno, provarci.
Aggiungo un terzo punto che in realtà compendia e commenta i tuoi: imparare a riconoscere "la banalità del male", imparare la lezione di Hannah Harendt, non "confinare" il male nell'orrore per liberarsi dal male che può annidarsi in ciascuno di noi.
RispondiEliminaGrazie Antonio, vero. Siamo abituati a pensare al "male" come qualcosa di straordinario, forse perché siamo abituati a vederlo raccontato (dai giornali, in tv, nei film, nei libri), piuttosto che a viverlo. Eppure il male reale è molto più prosaico, banale, stupido, di quello che la sua narrazione ci fa pensare. E proprio per lo stesso motivo il male è molto più vicino (dentro) a noi, di quanto non possiamo pensare.
EliminaTo spiego io una piccola regola aurea per fare in modo che non accada più, questo né altri orrori. Quando stai per fare qualcosa a qualcuno (qualsiasi cosa) chiediti semplicemente: a me farebbe piacere se mi facessero quanto io sto per fare? E se la risposta è no...fermati.
RispondiEliminaNon esiste metro più umano e giusto per misurare la "bontà " di un'azione.
E se tutti ragionassero così...il mondo sarebbe un gran bel posto.
SPB
Seguendo questa (sacrosanta) regola un sacco di gente dovrebbe cominciare con lo smettere di cucinare. Il fatto che si continui a mangiare male, dimostra che questo mondo è (purtroppo) senza speranza.
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