Punti di vista da un altro pianeta

giovedì 11 ottobre 2012

Infinite Jest, ovvero sulla dipendenza (da David Foster Wallace) (1 di 2)

La lettura di David Foster Wallace è (sempre) un'esperienza la cui unicità, trova la misura in quella dello scrittore, ma a maggior ragione vale forse più il viceversa. Coloro che non l'hanno mai letto a questo punto potrebbero storcere il naso e pensare che un'affermazione del genere potrebbe essere frutto dell'adeguamento ingenuo a una moda imperante, della conversione ovina a un culto letterario, della volontà supina di adesione a una nicchia di appassionati come autorealizzazione identitaria. Mi spiace, ma con DFW non funziona così.

E se ne hai subito sentore leggendo i suoi saggi, che parlano di temi in qualche modo familiari e in qualche modo popolari (crociere, tennis, bovini, cinema, media ecc.), figurati che cosa può succedere nella narrativa quando DFW non è vincolato da steccati o da binari di alcun genere, ma può lasciare sciolte le briglie della sua creatività. E, rincarando la dose, se te ne accorgi subito leggendo i suoi racconti brevi, e non puoi fare a meno di notarlo nel suo (a mio avviso splendido) La scopa del sistema, figurati che cosa può succedere a valle di una lettura spaziosa, articolata e complessa come quella di Infinite Jest, che ho da poco terminato dopo oltre due mesi di lettura, un po' come un trekking lungo un percorso pieno di sorprese, non privo di difficoltà, ma anche gratificante di paesaggi unici e indimenticabili.

È sbagliato pensare, infatti, che IJ sia un classico page-turner. Chi cerca romanzi di questo genere, di quelli tutti in discesa, è meglio che lasci perdere. IJ è (anche) una fatica, in primis fisica. Il libro infatti, nell'edizione Einaudi (io ho la IV del 2008), pesa 1005 gr (per 1179 pagine di romanzo + 100 pagine di note che, malgrado il corpicino del loro carattere, non potete pensare di evitare: non sono accessorie e non di rado sono cruciali per la comprensione e aggiungono dettagli a volte fondamentali, spesso rilevanti, alla storia) e questo di certo non è una goduria per le spalle, quando te lo devi scorrazzare in giro in una borsa. È come portarsi dietro uno di quei piccoli ferri da stiro da viaggio. Per non parlare di quando devi tenerlo in mano per leggerlo, mettendo alla prova i tuoi polsi, benché questo possa anche farti bene come esercizio fisico (i tennisti, almeno loro, ringrazieranno e, va detto, non soltanto per questo). Una buona alternativa è dotarsi della versione e-book, benché ammetta che non sia legale (infatti non mi risulta che esista a oggi una versione elettronica "ufficiale" in commercio in lingua italiana, e va inoltre aggiunto che quella che ho trovato io, e che si trova in giro, ha pure qualche problema nella gestione delle note da un certo punto in avanti), ma a mia discolpa posso dire che ho anche la versione cartacea (v. foto in alto) e ho letto entrambi a seconda della convenienza delle situazioni. Quindi nei confronti dell'editore (e dei miei avambracci) la mia coscienza è a posto.

Ma la fatica che IJ richiede, è anche (soprattutto) intellettuale. Perché IJ è romanzo complesso e multiforme, fitto di personaggi, di storie, di intrecci, di situazioni che si sfiorano o si traguardano da lontano, di cose che scoprirai centinaia di pagine più avanti, di cose che capirai centinaia di pagina più avanti, è romanzo dove DFW non risparmia divagazioni, aneddoti, storie nelle storie, avanti-e-indietro temporali, ma dove DFW non ti spiega mai niente in maniera gratuita. Basti pensare che per illustrare una delle parti più complesse del libro, ovvero la surreale situazione geopolitica dell'ONAN (!) che fa da sfondo al romanzo, DFW escogita uno spettacolo di marionette. Così, se per cominciare a capirci qualcosa devi stringere i denti e arrivare più o meno a pagina duecento (praticamente un intero romanzo solo di introduzione), mi rendo conto che qualcuno possa alzare bandiera bianca ben prima.

Ed è forse proprio qui che escono allo scoperto gli Wallaciani, perché IJ funge da filtro, da setaccio: se decidi di andare avanti, significa che sei animato da motivazioni che possono sorgere soltanto dalla (pazzesca) autorevolezza dell'autore (e, va detto, tutta meritata), del suo pensiero e del suo stile, e dalla fiducia che il lettore vi deve per forza riporre. Per questo credo che prima di affrontare IJ sia necessario intavolare (e coagulare) un "rapporto" con lui, con il suo modo di ragionare e il suo modo di scrivere, partendo senza dubbio da qualche saggio e passando per la narrativa più breve. Se vi garba, vi prende, entrate in sintonia, proseguite, altrimenti significa che non fa per voi. Perché, se in qualche modo proviamo a distillare (banalizzare?) la complessità della narrativa di DFW, un dato a mio avviso spicca su tutti gli altri, ed è una notazione a ben vedere tutt'altro che banale perché finisce per influenzare l'intero impianto stilistico di DFW e l'aspetto primordiale in cui il suo lettore si imbatte. La estrema, assoluta, sorprendente, spietata non-linearità.

/continua (domani)

4 commenti:

  1. Io ho ordinato il libro proprio la settimana scorsa e ora sto aspettando che arrivi.
    Dopo aver letto La Scopa del Sistema mi è venuta voglia di provare dell'altro e questo libro continuava a saltarmi fuori da più parti per cui ho pensato fosse il caso di assecondare...il caso.
    E così sono entrata in libreria, il libro non era disponibile, ho chiesto di ordinarlo, mi hanno detto il prezzo, ho risposto -ci penso-, sono uscita dalla libreria e mi sono infilata nel negozio di fronte dove sono rimasta esattamente quindici secondi per poi uscire e rientrare in libreria dicendo: ho cambiato idea. E così l'ho ordinato!
    E se tanto ha potuto prima ancora di essere nelle mie mani non oso pensare a cosa farà quando sarà MIO!
    Ti aggiornerò. :-)
    SPB

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    1. Ottimo!
      Ma prova pure i racconti. Dentro c'è un Wallace, come dire, "distillato".
      Allora aspetterò le tue impressioni.
      A presto.

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  2. Ti dico solo questo. Da qualche giorno, leggendo Open di Agassi, mi è venuta voglia di rileggere I.J. per la quarta volta. Provo il bisogno vero e proprio di immergermi di nuovo in quel mondo e in quello stile, che ho sentito "miei" fin dalla prima lettura. Ma non aggiungo altro: lascio continuare te.

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    1. A proposito di tennis, da più parti sento magnificare questo "Open" di Agassi (che poi non l'avrà neanche scritto lui). Ma vale così tanto la pena?

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