Eppure quello del "biologico" e del "naturale" è un business in crescita. Forse il solo. Quelle di prodotti naturali sono forse le uniche categorie di negozi che si vedono fiorire, a fronte di tante altre che la crisi sta mettendo in ginocchio. E su questo mi vengono spontanee due osservazioni. La prima è l'impressione (che però non riesco a focalizzare, aiutatemi voi) in base alla quale nel ragionamento c'è di mezzo un ossimoro intrinseco, ovvero: può un "business" essere (davvero) "naturale"? La seconda invece è: "perché" questo business è in crescita? La terza (sì lo so, avevo detto due, ma nel frattempo me n'è venuta in mente un'altra) è: ha senso che (o che senso ha che) questo business sia in crescita? Ebbene, se la prima domanda - come dicevo - la lascio a voi, alla seconda mi verrebbe da rispondere: perché la gente cerca di tutelare la propria salute mangiando cose (che ritiene in qualche modo) più sane. Ma il punto è un altro. Quando mai i prodotti "non naturali" hanno dimostrato la loro pericolosità al punto da deciderne l'abbandono? Okay okay, sappiamo che a volte sono salite alla ribalta delle sofisticazioni, anche gravi, tipo il tristemente celebre vino al metanolo o le recenti mozzarelle blu, senza contare tutto il problema legato agli OGM, ma chi può veramente dire in che misura possano nuocere i prodotti industriali in condizioni normali?
La mia idea è che invece la gente tenda ad avere una certa voglia di Natura, ma che ne cerchi una sorta di surrogato liofilizzato, ovvero comodo. In altre parole, se volessi dei prodotti (davvero) naturali, te li dovresti coltivare o dovresti comprarli direttamente da un produttore di fiducia. Per il resto, ovvero per tutto quanto esiste di (pre)confezionato anche cosiddetto naturale, che so pasta, biscotti, pane, eccetera, se volessi dei prodotti il più possibile naturali, dovresti farteli in autonomia a partire il più possibile dalle materie prime. E sotto questo aspetto mi pare evidente che questa prospettiva dovrebbe stravolgere completamente le modalità di gestione di una famiglia, in termini di impegni e (soprattutto) tempi dedicati a certe faccende piuttosto che ad altre. Insomma, anche in questo caso mi pare si finisca nei territori della (pura) filosofia, ovvero a discutere di quale dovrebbe essere il modo (più giusto) di vedere il mondo e il proprio stile di vita all'interno di esso.
Infine l'ultima domanda: il fatto che questo business sia in crescita cosa ci dice? Che la gente ha sempre più voglia di cose naturali? O che la gente ha sempre più paura delle cose artificiali? Stiamo dunque forse assistendo a una perdita progressiva di fiducia da parte del pubblico (anche) nelle capacità industriali di fornire prodotti alimentari che possano essere considerati sani (sani in senso lato)? E se invece anche al mercato degli alimenti naturali si debba applicare il modello base del business, ovvero che per essere tale e sostenersi ha sempre e comunque bisogno di creare nella platea di consumatori un bisogno più grande di quanto quel bisogno non sia in realtà?
/continua
In attesa del /continua: in giardino abbiamo alberi da frutta di generi diversi (nespole pere mele albicocche prugne pesche fichi, anche d'india, arance mandarini viti ecc., oltre a fragole lamponi ciliege ecc.; uno per tipo), li curiamo noi, e, a parte le passate di verderame alle viti, diamo loro solo acqua. Lasciamo che sia la natura a darci i suoi frutti; potiamo, sfogliamo, alleggeriamo i rami troppo carichi... niente altro.
RispondiEliminaAl tempo della raccolta, li troviamo per la maggior parte macchiati o parzialmente mangiucchiati, di volta in volta dai merli, dai passeri, dalle lucertole, dai topini e da chiss'altro animale. Con santa pazienza raccogliamo i frutti, eliminando quelli troppo malandati, sezionando gli altri per quanto recuperabile, e consumiamo senza alcun problema le parti buone. Riteniamo di mangiare frutta "biologica", forse sbagliando.
Riteniamo anche, forse anche qui a torto, che se è gradita a tanti animali può essere tranquillamente consumata anche da noi (anche se brucia un po' il pensiero che, in fondo, mangiamo i loro avanzi).
Supermercati: vaschette di frutta con cartello vistoso "biologica", bellissima, non una macchia, da mangiare con gli occhi; da pagare più di quella non biologica.
Mercato di ortofrutta: qui è l'abito che fa il monaco; contadini/e, vestiti come contadini/e, che per questo solo fatto si presumerebbe che trattino merce "non trattata", come si dice, essendo "ufficialmente" prodotta da loro stessi.
Come la nostra, pur non essendo noi contadini.
Ma anche qui, la frutta è bellissima, non una macchia, vellutata quando è il caso, lucida e brillante in altri...
Per pura coincidenza, il gusto della frutta biologica è identico a quello della industriale; un giretto nei pressi di questi campi mostra sacchi confezionati di prodotti per nutrire le piante; si notano spruzzatori in funzione manovrati verso queste piante, e chiaramente non spruzzano solo acqua.
Questo per dire che il "biologico", oggi, è come uno specchietto per le allodole, business per indirizzare a un consumo, con basi identiche all'industriale e forse da qui stesso proveniente: a prezzi maggiorati.
Ecco, il punto è proprio questo. Premesso che è vero che il biologico e l'industriale hanno lo stesso sapore, mentre quello quasi sempre ciò che ti coltivi nel tuo orto ha un sapore "diverso" (come mai? è solo un effetto psicologico?), per il resto hai azzeccato il punto rispetto alla corrispondenza tra business e biologico. E se magari qualche differenza c'è, mi viene da chiedermi se essa è in qualche modo determinante.
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