Naturalmente questo varia in base alle proprie attitudini e alle proprie esperienze, ma esiste una "felicità sociale", intesa come una "felicità media" statisticamente intesa. In altre parole: la maggioranza degli individui pensa che la felicità consiste in [xxxyyyzzz]. Qualsiasi cosa vi vada di scrivere tra le parentesi, poche sono innate, molte invece sono acquisite, anche se il più delle volte non ci se ne accorge. Forse, meglio, più che "acquisite", si dovrebbe dire, nella maggioranza dei casi, "manipolate". Difatti, pur contando le proprie personali inclinazioni dettate dalla personalità di ognuno, per il resto è la società a programmare le felicità, stabilirle e legittimarle nella forza ambivalente della condivisione e della competizione popolare. E lo può fare tanto meglio, quanto più ha a disposizione mezzi invasivi e ripetitivi, che mettono in campo messaggi lusinghieri e seducenti. Il tutto fin dalle più tenere età, quelle in cui le tavolette di creta sono ancora belle morbide, vellutate, perfette per essere incise.
Dunque quali sono i modelli di felicità che i giovani - ma non solo - sviluppano e fanno propri oggi? Quella felicità intesa come insieme di ambizioni e aspirazioni che costruiscono il concetto di soddisfazione e di realizzazione di sé? Quali sono i canali che veicolano i parametri della felicità e i modelli che ne attestano i valori? Mila Spicola si chiedeva qualche giorno fa sull'Unità: «Come lo spiego in classe a un 14enne che non è bello essere Ruby...» Non è forse questa la ragione (ultima, ovvero la prima) del fallimento della politica di cui parlavamo nel post precedente, perché è anche la ragione del fallimento di una società intera, e pertanto quello su cui - prima di ogni altra cosa - bisognerebbe cominciare ad agire?
la capacità di decidere in assoluta autonomia e libertà cos'è la felicità è tra i tratti che distinguono i superuomini dai "caporali". non credo si possa insegnare cos'è la felicità, al limite si può insegnare cosa non è!
RispondiEliminaal tempo stesso insegnare come è possibile costruire una personalità in grado di stabilire cosa rende felici, fatto sempre soggettivo, e cosa no: interessarsi alla cultura in tutte le sue forme. l'importante come diceva illo è non essere bruti.
su questo tema ce ne sarebbero di cose da esternare ma io dico solo...la felicità è fatta di piccoli gesti che riempono il cuore poi sta a noi accontentarci
RispondiEliminaciao e tanta felicità a tutti
Quanto è vero quello che scrivi. E se è vero anche che la felicità non si insegna io ogni giorno cerco di trasmettere ai miei figli un modello di felicità che differisce radicalmente dal ciarpame quotidiano della società e dei media. Vorrei insegnare loro la felicità della semplicità. Forse è scontato. Un sorriso marziano :)
RispondiEliminaL'indice di felicità tra i diseredati delle favelas brasiliane è decisamente più alto di quello degli abitanti di Roma o Milano.
RispondiEliminaChe dire dunque?
Credo che la felicità sia legata alla possibilità di godere di relazioni umane appaganti, vere.
Inoltre credo che la felicità sia anche leggerezza e che il possesso di mille cose inutili, ci appesantisca impedendoci di raggiungerla.
Mario Angelino
E' un argomento tosto, Marziano.
RispondiEliminaAnche perchè, con tutti i rischi che comporta, credo che la felicità si esprima anche nella libertà di scegliere cosa ci rende felici, fermo restando che sarebbe bello essere felici non a scapito di altri.
Inoltre credo anche che si debba smettere di avere paura di ammettere quando si è felici, perchè già quello ci porta via un pò di quella stessa felicità.
@robydick: io invece credo si possa insegnare che cos'è la felicità. Il fatto che sia quello che fa continuamente la televisione ne è una prova evidente. Sarà semmai la personalità a rendere capaci gli individui di operare delle distinzioni, di mettere dei filtri, di alzare delle barriere in grado di difenderli dai miraggi...
RispondiElimina@Gabe: sarebbe bello che la maggioranza la pensasse come dici tu, ma purtroppo così non è. Forse si illudono che sia così. Ma basta farsi un giro in un qualsiasi centro commerciale la domenica pomeriggio per esserne tristemente smentiti.
@Marie: in un mondo che ormai vive *per* le "cose", ciò non è affatto scontato. Un sorriso marziano a te: >:-)
@Mario Angelino: posso solo quotare tutto quello che hai detto. A dispetto della crescita e del capitalismo, la rivoluzione che la società (e quindi ciascun cittadino) deve intraprendere, è proprio questa. Se saprà farlo, la politica la seguirà a ruota. Altrimenti la crisi assumerà i contorni della catastrofe. Inutile dire che temo che non ce la farà. Ma sono anche convinto che chi avrà saputo intraprenderla per se stesso, riuscirà a fronteggiare meglio i tempi (assai duri) che verranno.
@MrJamesFord: la *libertà* di scelta in questo tipo di società purtroppo è qualcosa di quantomai labile. E questo vale anche (soprattutto?) per i parametri della felicità. In effetti penso che sarebbe un esercizio utile dire "sono felice" a fronte di qualcosa, per rendersi conto di ciò che rende davvero tali. Del resto può anche darsi che il cittadino di oggi sia consapevole che le tante piccole "soddisfazioni" (materiali) che insegue continuamente, non sono effettivamente "felicità", ma servono a mo' di surrogato per qualcosa che per egli ha perso significato in quanto ha sempre negato la reale possibilità di raggiungerla.
Credo che questo sia (volutamente) un post sulla falsa felicità, su modelli e aspettative di felicità indotti dalla telelobotomizzazione e inferiorizzazione mirata, destinati ovviamente a deludere e a produrre infelicità. Lo dimostra l'espressione "felici OGGI": la felicità, o la possibilità di avvicinarsi a essa, è una condizione interiore, riguarda la nostra coscienza e intelligenza, il nostro modo di essere, per cui, raggiungibile o irraggiungible che sia, possibile o impossibile, esistente o inesistente, è comunque qualcosa di immutabile nel tempo.
RispondiEliminaCi sarebbe molto altro da aggiungere, ma credo abbia già parlato assai bene robydick, per cui per una rara volta mi limito a "quotare", come si suol dire, il commento suo.
p.s.
APPELLO STANDARD (scusate la ripetitività: in questi giorni lo troverete uun po’ dovunque. E soprattutto: niente di personale, ovvio. E’ uno sfogo, ma molto molto sorridente! :D)
da oggi comincio a schierarmi a fianco di robydick nella sua giusta battaglia contro la VERIFICA PAROLE. Quanto avrà rotto 'sta cosa? Io l'ho tolta e non ho mai avuto problemi, pur avendo in certi giorni centinaia di visite e decine di commenti. Vi prego, o tutti voi che leggete questo messaggio, basta far sprecare minuti di vita agli amici con questa inutile, superflua formalità burocratica!!! Passate parola contro la verifica parole!!!! Io che per passione visito ogni giorno tanti blog e lascio tanti commenti, alla fine avrò accumulato MESI di vita a obbedire come un cretino a “digita Qkworkazzpftkqrammpfgf”, per non parlare di quei blog in cui la parola ha caratteri difficili da decifrare, al punto che la sbagli e ti senti scemo, per non parlare di quando, come in questo mio esempio, sono parole lunghissime, per non parlare di quando cambiano nel preciso istante in cui le digiti, e quindi poi le devi ri-digitare. Amici, se mi volete bene, toglietela da voi, e passate parola! Bastaaaaaaaa!!
@Zio Scriba: facendo seguito alla mia riposta a robydick, non credo che i criteri di felicità siano "immutabili nel tempo", come dici. E la dimostrazione ce l'abbiamo sotto gli occhi, nel modo in cui vive l'uomo occidentale da 30 anni a questa parte.
RispondiEliminaForse però è vero, come dicevo a MrJamesFord, che le soddisfazioni materiali che l'uomo d'oggi insegue come fari nella notte, non sono vere "felicità", ma costituiscono il surrogato di qualcosa che, dal canto suo, ha perso significato. Dunque forse si è smarrito il "senso" della felicità in generale e lo si è sostituito con qualcosa di simile. Una felicità "taroccata" insomma. Nel qual caso la rivoluzione starebbe nel riappropriarsi del senso originale. Se fosse così, il concetto non sarebbe molto diverso da quello che intendo io. Di sicuro per far questo bisogna innazitutto allenarsi a praticare il verbo "rinunciare".
PS Oh, non sapevo che si potesse togliere la verifica della parola. Hai ragione, Zio. Condivido il tuo appello. Dovrei averla eliminata.
nel mio caso specifico, ho una personale idea di quanto sia impossibile esser felici! Son continuamente e patologicamente insoddisfatta! Lo sarò a vita! Dovrebbero essere assicurate automaticamente e 'possibilmente' delle condizioni sociali che assicurino la felicità generale, ma già questa mi sembra un'utopia. Allora mi è sembrato di capire nel tempo che son più 'felice' a desiderarla… la felicità! Giro di parole… per dire che IO son più felice ad esser infelice ma a volerlo essere! sì, son complicata, maledizione! :)))))
RispondiEliminaora che hai levato il captcha son più felice! grz! XXXX:D
RispondiElimina@petrolio: la felicità non è comunque mai una condizione permanente, ma vive di "picchi", mentre l'insoddisfazione è necessaria all'azione e al progresso individuale, purché non diventi patologica e porti alla depressione.
RispondiEliminaQuanto alle condizioni sociali non credo siano capaci di assicurare la felicità, anche se ci si illude di crederlo. Casomai un certo grado di serenità, che però non è la stessa cosa. Come ha giustamente fatto rilevare Mario, sopra. La felicità è qualcosa che *deve* andare oltre lo stato sociale (anche se questo non significa rinunciare a battersi per condizioni migliori). Semplicemente sono aspetti che giocano su campi differenti. Si può essere felici e insoddisfatti o infelici e soddisfatti.
PS "Meno captcha per tutti!" Potrebbe diventare lo slogan vincente di una campagna elettorale rivoluzionaria. ;)
A volte penso che avere troppe "cose" freni la capacità di essere felici, o di accorgersi della felicità. Forse è per questo che ci sono popoli poveri più gioiosi di quelli pieni di risorse economiche. Per me oggi essere felice dipende dalla capacità di desiderare, dallo spendere il mio tempo in attività che mi appassionano, dal godermi la bellezza della natura, di sentimenti non ne parlo perchè è un argomento troppo personale, ma c'entrano anche loro. Non so se sia possibile insegnare la felicità, ma si può provare a trasmettere l'idea che essere Ruby è un po' una schifezza, così, tanto per cominciare.
RispondiElimina@knitting bear: condivido in pieno quello che dici, compreso il modo di cominciare. Si potrebbe imparare a essere felici dagli orsi...
RispondiEliminase un'insegnate si trova davanti alla questione d icome insegnare ad un'adolescente che non è bello essere ruby,
RispondiEliminasignifica avere ormai perso,
significa che in 14 anni di vita i genitori gli hanno insegnato tutt'altro,
significa che probabilmente solo dopo essere passati personalmente nel degrado, averlo provato sulla propria pelle (ovvero essere usati e poi getatti via come una vecchia ciabatta),
è possibile apprendere ciò che la famiglia non è stata in grado di insegnare.
@il Ratto: forse (nell'ultima frase) volevi dire "impossibile". Comunque personalmente credo che la speranza valga ancora. Pensare di avere ormai perso significa rinunciare a combattare e rinunciare a combattere è sempre una brutta faccenda.
RispondiEliminaLa felicità per una ragazzina è essere come Belen, per un ragazzino come Valentino. Magari una volta si sognava di diventare Presidente della Repubblica...
RispondiEliminaBisogna essere felici per quello che si ha, poichè c'è sempre chi sta peggio. La felicità non è materiale secondo me, anche se nella nostra fantomatica "civiltà" che di civile ha ben poco, se non hai soldi ed un lavoro fisso non puoi dirti felice perchè tutti ti etichettano.
Credo che la felicità sia un qualcosa di strettamente personale, ma riconducibile ad un denominatore comune: l'avere il controllo delle decisioni riguardanti la propria vita, nel bene e nel male. A questo si aggiunge ovviamente il necessario corollario, l'essere immuni dai condizionamenti esterni, comprese le etiche tte di cui parla inneres.
RispondiEliminaCos'è la felicità oggi? Mi piace questa tua domanda e il metterla in relazione con "il fallimento della politica". Ci ho ragionato in diversi post ma questo forse presenta qualche conclusione, anche se è un po' lungo.
RispondiEliminaPs - Zio Scriba ha ragione, quella storia della verifica della parola è una seccatura.
RispondiEliminaTra le parentesi metto Vivere...
RispondiEliminahttp://correntedipensiero.blogspot.com/2010/11/il-limite-della-felicita.html
La mia cana Zazie esprime felicità scodinzolando: quando usciamo per il suo giro di controllo del territorio scodinzola, quando rientriamo nel calduccio di casa scodinzola allo stesso modo. Vorrà dire qualcosa?
RispondiElimina@Inneres Auge: in un certo senso si è andati oltre la celebre domanda di Fromm: "avere o essere?" Perché nella visione odierna dell'"essere" si sono instaurate deviazioni che rendono questa modalità esistenziale deprecabile, anche perché sono modelli di "essere" comunque fortemente legati all'"avere". A tale proposito lo stesso Fromm dice che per decidere quale delle due modalità avrà il sopravvento per la maggioranza degli individui di una società è la "struttura sociale" con le sue norme e i suoi valori. E direi che quale modalità ha preso attualmente il sopravvento è sotto gli occhi di tutti.
RispondiElimina@web runner: ci sono una certa parte di aspetti dell'"essere felici" che sono senza dubbio personali. E sono quelli maggiormente legati all'istinto. Ma, come ho già avuto modo di dire a robydick e a Zio Scriba, sono profondamente convinto che nello stesso tempo la società imponga anche dei modelli di esistenza ai quali viene legato il concetto di felicità. Sono fattori che coesistono e non è detto che non si influenzino a vicenda. Avere il controllo sulle decisioni della propria vita, lo si può avere, ma difficilmente in toto. Circa poi essere immuni ai condizionamenti esterni, questa è illusione. Perché in fin dei conti sono sempre input esterni (famiglia, scuola, amici, colleghi, libri, televisione ecc.) che rendono gli individui quelli che sono. E non sono questi forse "condizionamenti"? Gli individui possono, semmai, decidere quali prendere e quali lasciare. Ma se vengono loro proposti solo modelli dell'"avere", difficilmente decideranno di seguire quelli dell'"essere".
@Antonio: molto interessante e articolato il tuo post - anzi, più che un post, direi un vero e proprio saggio! - (grazie della segnalazione), che invito tutti a prendersi un po' di tempo per leggere (in effetti è lunghetto, ma vale la pena, perché è molto in tema). Due tue osservazioni mi sono piaciute particolarmente.
RispondiEliminaLa prima è questa: "Il punto è proprio qui, per essere veramente individui occorre saper riconoscere cosa realmente ci caratterizza, se un’auto nuova o le relazioni sociali che instauriamo senza il ricorso a strumenti accessori." E direi che qui siamo in piena zona "avere o essere".
La seconda è questa: "Del resto, sempre da un punto di vista simbolico, il consumo non è legato alla vita bensì alla morte, alla continua uccisione dell’oggetto, che muore al nostro posto." Questa è davvero interessante. Come se nel consumismo l'uomo trovasse l'illusione dell'immortalità. Questo concetto mi ha suscitato l'immagine di un film in cui gli effetti speciali sono tutto e la storia niente. L'uomo è il protagonista. Gli effetti speciali sono i bisogni materiali, con i quali ci si illude che tutto sia possibile, mentre le relazioni umane sono la storia (e qui torniamo all'osservazione di Mario).
Nel complesso concordo fortemente con la visione di Paolo degli Espinosa quando dice che: "Nell’immediato, occorre partire da una minoranza, come si diceva, che già esiste e che potrebbe considerarsi pronta per un welfare eco-sociale. Bisogna però considerare anche altre due parti della società. In secondo luogo, infatti, c’è una maggioranza di individui con varia sensibilità, per certi aspetti critica verso il presente, ma con un grado parziale di consapevolezza e disponibilità personale. […] Esiste anche, in terzo luogo, una minoranza liberista-consumista che è tenacemente assertrice del modello in atto, considerandolo di ‘massima libertà’. In questa situazione, un risultato ‘universalista’ si potrà ottenere, con i tempi necessari, passando indispensabilmente attraverso uno sdoppiamento dei modelli di vita, delle scelte degli individui, dei settori produttivi e degli stessi stipendi. Tale sdoppiamento sarà una conseguenza delle opzioni dei diversi individui, attribuendo a tutti la possibilità di scegliere.”
Da questo punto di vista la politica di "decrescita felice" penso sia l'unica strada (vedi Serge Latouche, che mi pare tu non abbia citato nel tuo intervento - http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_per_la_decrescita_felice). E se dapprima sarà solo la prima minoranza citata da degli Espinosa, pronta ad attuarla, sarà poi il limite delle risorse mondiali a costringere tutti quanti ad abbracciarla, volenti o nolenti. E' solo questione di tempo. Solo che chi l'avrà abbracciata in tempi non sospetti, eviterà i grossi traumi di vedersela imposta dalle circostanze.
Concludo dicendo che non mi aspetto che ci sia un soggetto politico in grado di portare avanti queste istanze, perché il politico insegue sempre la maggioranza essendo questa sinonimo di consenso. Tutto è deputato alla sensibilità, all'intelligenza e alla cultura dei singoli individui della minoranza di cui sopra. Praticamente l'equivalente di un "si salvi chi può (o chi sa)". ;-)
@mark: essere felici perché si è "vivi" è un corto circuito logico, poiché la felicità si distingue dalla sua assenza ed essere infelici in questo caso sarebbe impossibile, in quanto significherebbe essere morti. ;-)
RispondiElimina@Tullix: significa che Zazie ha capito tutto.
A prescindere dalla contingente attualità, la domanda é veramente difficile, come dimostra, mi pare, anche la serie di commenti che mi hanno preceduto. Tra questi, poi, ne spicca uno di particolari - visto l'allegato - competenza e completezza. Mi diventa difficile non dire banalità, a questo punto. Ma tento lo stesso. La felicità é soprattutto un obiettivo da raggiungere in sintonia con i valori di fondo cui s'impronta la personalità del singolo.
RispondiEliminala felicità è ondivaga per noi umani.
RispondiEliminaLa cana Zazie non è che ha capito tutto è che i suoi parametri di felicità, grazie a Tullix che è un padrone attento e amorevole,sono costanti.
I nostri no. E allora la felicità cerchiamo di ritagliarla quotidianamente in una distesa di infelicità diffusa e crescente, e ci ingegniamo anche arrampicandoci su specchi sempre più opachi.
Dalle tue parti,invece?
la felicità è benessere, stare bene,felici di svegliarsi ogni mattino.Ti risulta che sia così? Non qui sulla terra...
RispondiElimina@Adriano Maini: e qui la parola chiave è "valori". Anche perché spesso contano anche quelli non "di fondo" che finiscono per surrogare gli altri.
RispondiElimina@stellarossa: essere felici di svegliarsi ogni mattina è una finta felicità. Perché se non ce l'hai, non sei infelice, sei morto. ;)
Dalle nostre parti è una conquista continua, simile alla vostra, ma con il vantaggio che non facciamo uso di specchi.
@stellarossa: devo dire che anche i miei parametri di felicità sono piuttosto costanti, ma non riesco ugualmente a scodinzolare con continuità. Quindi secondo me Zazie ha comunque una marcia in più. ;-)
RispondiEliminadevo dire che anche i miei parametri di felicità sono piuttosto costanti, ma non riesco ugualmente a scodinzolare con continuità. Quindi secondo me Zazie ha comunque una marcia in più. ;-)
RispondiEliminaanche io, ci manca un padrone amorevole e attento?.Abbiamo bisogno degli altri, ci piaccia o no
No.. no. svegliarsi ogni mattina è un atto quotidiano per i più, chi non si sveglia perchè è morto sono in minoranza, sennò non si spiegherebbe tutto questo blog..blog..blog……:-)
@stellarossa: pensare che agli umani manchi un "padrone" (amorevole e attento), significa spostare l'intera faccenda sul sado-maso o sul sindacalismo. :D
RispondiEliminaPS Quella è una minoranza consolatoria. :-)
Hai fatto bene a citare Latouche, conosco il suo pensiero. Attenzione però a non spingerlo oltre l'obiettivo che il suo stesso autore ha inteso dargli. Da qualche parte lui ha scritto che la decrescita non è una teoria ecomonica ma una provocazione culturale, se provi a farti un giro in rete o in libreria troverai centinaia di link o decine di libri che parlano della 'teoria della decrescita'. Che poi "la misura viene da sola", come diceva mio nonno, mi pare evidente come il sole.
RispondiEliminaHai ragione a diffidare del 'soggetto politico' per i motivi che citi (consenso, maggioranza...) ma io sono un sognatore e penso ancora che il soggetto politico debba essere in grado di guardare avanti di decenni e non di giorni, penso ad un volano della storia non a dei mentecatti.
@Antonio: sono d'accordo nell'intendere la decrescita come provocazione culturale, nella misura in cui è un sistema che può nascere e svilupparsi dal "basso". Quanto al resto credo che sia giusto essere sognatori, perché solo i sognatori possono cambiare il mondo. O almeno provarci. Pur non dimenticando di darsi qualche pizzicotto ogni tanto. ;-)
RispondiEliminami correggo: padroni se si parla di cani,a noi servono punti di riferimento.
RispondiEliminaQuindi nulla nè di sado nè di maso. …amorevoli e attenti cioè esemplari nei comportamenti e affidabili come esempi.
Interessante la decrescita ma che sia felice,non dettata da contingenze feroci e imposte con ingiustizia..
buona giornata !
@stellarossa: non c'è bisogno che ti corregga. Quella sui "padroni" era, naturalmente, una battuta. ;-)
RispondiEliminaSulla faccenda della decrescita, la sensazione che ho è che ci toccherà *comunque*, a noi o a una delle prossime generazioni. Le opzioni in campo sono sostanzialmente due: o una scelta consapevole, che però deve cominciare ora, o le "contingenze feroci" di cui parli tu e che arriveranno senza ombra di dubbio.