All'uscita del video incriminato, infatti, Varoufakis ha subito (doverosamente) smentito, ma gli esperti hanno confermato che non si trattava di un falso. Poi però un programma televisivo tedesco ha dichiarato di aver creato il video manipolato, aggiungendo il "dito medio" a immagini che non lo contenevano, ammettendo così che il video in realtà un falso lo era (e hanno anche mostrato un video dove dimostravano il falso, v. sotto). Dopodiché, in una sorta di triplo gioco degno di una storia di spionaggio, lo stesso giornalista ha smentito la propria precedente versione (avallato anche dalla rivista Bild), dicendo che la trasmissione era satirica e il video originale era davvero quello con il dito.
Ma il punto, naturalmente, non è il dito. Di Varoufakis, di quello che dice, di quello che pensa e dei gesti che fa (o non fa) non ci importa un fico secco. Il punto è che il caso Varoufakis, con le sue incertezze, i suoi voltafaccia, le sue menzogne e le sue ritrattazioni, ci sbatte in faccia con inquietante esattezza non solo l'impossibilità ormai completa della determinazione di una qualche verità , ma anche le nuove terribili possibilità di manipolazione (e moltiplicazione) di essa.
Il caso Varoufakis ci dimostra in quale misura viviamo una potenziale e preoccupante riscrittura mediatica della realtà che va ben oltre la photoshopizzazione delle chiappe di qualche modella, ma è capace di revisionare aspetti del reale dei quali non saremo in grado di accorgerci, come in una delle migliori (o - date le circostanze - peggiori) visioni di Philip K. Dick. Ma non temete, se non saremo in grado di accorgercene, non farà alcuna differenza per noi.
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