Punti di vista da un altro pianeta

lunedì 10 ottobre 2011

PdL: psico-analisi di una campagna

La nuova, fiammante campagna di adesioni al Popolo della Libertà deve registrare due notazioni d'obbligo, anzi tre, anzi quattro. La prima, esplicita e palese, riguarda l'assenza - per la prima volta da diciassette anni a questa parte - del nome di Berlusconi nel simbolo. E questo è un segnale importante di come lo stesso fondatore del movimento (non chiamatemelo "partito") evidentemente considera la "vendibilità" della sua immagine presso gli utenti più o meno finali, e della direzione finalmente diversa (?) verso cui il partito sta guardando in vista delle prossime elezioni politiche, quando mai saranno.

La seconda, assai più sottile, riguarda la forma degli slogan: tutte domande. Il PdL non aveva mai sollevato quesiti al popolo, non sembrava interessato a voler far ragionare il suo elettorato, piuttosto a servigli dei dogmi preconfezionati senza possibilità di fare ipotesi o di poter deragliare da binari solidamente imbullonati lungo una strada concettuale già tracciata. Questo implica un approccio diverso al destinatario del messaggio, in quanto, contrariamente all'affermazione, la domanda - ancorché retorica - presuppone istintivamente che il destinatario fornisca una risposta e quindi partecipi in maniera attiva all'assimilazione del messaggio/domanda la cui fruizione dunque si completa non solo con la lettura del messaggio in sé, ma anche attraverso l'elaborazione consapevole della sua risposta.


La terza, strettamente collegata alla seconda, è che - come prevedibile - non si tratta di domande normali, essendo domande puramente tautologiche, ovvero quesiti in cui la risposta è già contenuta nella domanda. In altre parole si tratta di false domande cui la risposta è - di fatto - concettualmente obbligata, o intrinsecamente rispetto all'idea che la domanda esprime, oppure rispetto a come la domanda risuona nell'interlocutore. Per esempio "Ami davvero il tuo paese?" Ovviamente tutti coloro che vogliono sentirsi buoni cittadini, o anche solo per amor di carta d'identità, risponderanno "Sì". Tendendo dunque a stabilire una correlazione tra la domanda e la risposta, analogamente questo processo tende a instaurare una connessione tra il mittente e il destinatario, rispetto a una sostanziale unità di intenti che vuole in questo modo configurarsi su un piano subliminale, ovvero assai più profondo e meno visibile.
Ma c'è un'altra cosa.

Le domande che campeggiano sui cartelloni infatti sono cinque, tre delle quali invero assai fiacche e prive di una qualche originalità ("Vuoi difendere la tua libertà?", "Ami davvero il tuo paese?" e "Vuoi dare più forza all'Italia?"). Le ultime due però sono diverse perché non attengono strettamente al piano politico o sociale come le altre, che si rivolgono direttamente al rapporto del cittadino con la sua nazione, o parlano al cittadino del valore cui socialmente egli dovrebbe tenere di più, ovvero la libertà. La quarta infatti recita semplicemente: "Non vuoi arrenderti alle difficoltà?" E trovo che sia anch'essa un po' bolsa. Mentre l'ultima, la più spettacolare, chiede: "Sai distinguere il vero dal falso?" Ed è proprio su questa in particolare che mi voglio soffermare. Qui non si trova alcun riferimento diretto o indiretto alla politica, dunque, né all'economia o alla società. Nessuna citazione dei temi più classici di una campagna politica: lavoro, istruzione, pensioni, giovani, occupazione, sanità, sviluppo, sicurezza, né alcun riferimento a tipici valori politici o sociali. Invece viene tirato in ballo solo il concetto di vero e di falso. Non vi pare strano?


Ebbene, anche questa, come le altre, anzi ancor più delle altre, è una domanda la cui risposta è obbligatoria. Chi non distingue il vero dal falso, significa che è uno che si fa infinocchiare e chi mai ammetterebbe candidamente di essere uno che si fa abbindolare? La curiosità è che ci si vede provenire una domanda sulla verità e la falsità delle cose da parte di un movimento (non chiamatemelo "partito") che ha al vertice un personaggio che apertamente, senza mai alcun ritegno, ha sempre fatto proprio della confusione tra il vero e il falso la sua cifra comunicativa. Vista sotto questa lente, la domanda assume dunque i contorni di una pericolosissima arma a doppio taglio. Per la serie: ma come, proprio tu mi vieni a chiedere questo?! Tu e i tuoi lacchè a gettone, bugiardi matricolati, che non fate altro da diciassette anni che dire una cosa e subito dopo il suo contrario e non fate altro che praticare lo sport di pronunciar menzogne, anche (soprattutto) quando sono facilmente verificabili, dunque smentibili? A me verrebbe da rispondere: certo che so distinguere il vero dal falso, e proprio per questo non mi ci iscriverò mai al tuo cazzo di movimento! Quindi c'è qualcosa che non torna. Possibile che chi ha concepito la frase non abbia pensato alla possibilità di una reazione del genere? Siamo dalle parti del Tunnel Gelmini, o c'è qualcosa sotto?

È evidente che qui l'effetto marketing si gioca davvero sul filo di un rasoio molto sottile e affilato, perché in questo caso il messaggio è ancora più subdolo e fa il doppio gioco tipico del venditore più astuto. Io, che ti sto facendo la domanda, so che tu sei di quelli come si deve, di quelli che non si fanno prendere per il naso, anzi voglio proprio solleticare la tua autostima di soggetto furbo e intelligente. Per questo so che tu penserai che nessuno, mosso dall'intenzione di fregarti, avrebbe il coraggio di porti una simile domanda. Nessuno che volesse abbindolarti sul serio vorrebbe metterti, lui per primo, la pulce nell'orecchio. Dunque la tua retroazione a un simile messaggio sarà quella di tendere a credere alla veridicità della fonte che lo esprime e quindi di schierarti dalla sua parte. Questo se le tue resistenze interne non sono molto forti, naturalmente. Altrimenti scatterà, inevitabile, la pernacchia. Per questo, la frase in sé suona quasi come un'ardita scommessa, o come l'estremo tentativo di salvare una diga che sta mostrando giorno dopo giorno sempre più falle. La sensazione però è che di dita per tappare tutti i buchi stavolta non ce ne siano abbastanza.

14 commenti:

  1. Un aspetto sconcertante di questi manifesti è che sembrano facilissimi da manipolare per scriverci delle frecciate tremende senza nemmeno impegnarsi troppo con la grafica. Mi fa pensare che sia un effetto voluto da chi ha ideato la campagna per amplificarne l'impatto (purché se ne parli...)

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  2. Beh, non si sono superati ma due risate me le hanno fatte fare, via. d'altronde non è un partito - nè un movimento - normale, non lo è mai stato, sappiamo tutti cosa ci fanno lì lo psiconano e i suoi moschettieri, per i quali una denuncia vale più di una qualifica professionale.
    staremo a vedere. dovranno soccombere - politicamente - prima o poi. o forse faranno prima a soccombere in senso letterale, visto che hanno l'età dei miei nonni...
    poi deh, chi ancora li vota ormai ha un cervello da zombie rimbambito che non penso possa essere scalfito da manifesti. con piacevole shock ho visto nel tempo persone da sempre silviofedelissime cambiare partito. se si va al voto, è defunto.

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  3. Le parole stanno diventando superflue... i fatti parlano da soli ...

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  4. @knitting bear: è vero, è proprio così. Sono davvero facili da "personalizzare", come ormai succede sempre. Spulciando in rete si trova già anche il banner intonso pronto all'uso (www.polisblog.it/galleria/la-nuova-campagna-adesioni-pdl-le-cartoline-e-il-vero-e-il-falso/6). Però non sono convinto che sia una buona idea per loro...

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  5. @La Leggivendola: i tempi di "Un presidente operaio" sono effettivamente molto distanti e - come dicevo - il fatto che abbiano eliminato il nome del fondatore dal simbolo, è ben più di una semplice scelta grafica. Diciamo che nel momento in cui non possono più basare il loro marketing sul prodotto-Berlusconi, sembrano parecchio in affanno, forse perché si trovano in una situazione nuova anche per loro, forse perché dietro Berlusconi c'è il nulla, forse entrambe le cose.

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  6. @Galatea: invece sono convinto che non si debba sottovalutare la forza delle parole in una società fortemente mediatizzata (e dunque manipolabile proprio dalle parole). Se si va a guardare a che cosa c'è voluto, in termini di "fatti" su "fatti", per far crollare Berlusconi nei sondaggi (e per farlo cancellare dal simbolo), questo la dice lunga sul ruolo delle parole.

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  7. Visti i fatti di Varese c'è da sperare che qualcuno (fascista, ovviamente, secondo la versione ufficiale) finalmente sta cominciando a capire come gira il mondo; o, meglio, quel mondo.
    Peraltro rimane il quesito: via berlusconI & compagnia bella, sull'altra sponda cosa succederà una volta finito lo spumante per l'eventuale vittoria?
    Se fosse possibile un esodo su Marte, ho l'impressione che qui resterebbero solo i capoccia delle due fazioni (questo sono, ormai) a scannarsi o festeggiare insieme la conquista del territorio; senza cittadini rompipalle, finalmente.

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  8. lucidissima analisi. L'ultimo manifesto è semplicemente geniale. Un applauso a chi lo ha ideato ahahahaahaah

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  9. @gattonero: una volta "via berlusconi" sarà comunque un'Italia diversa. Non ho detto migliore. Non ho detto peggiore. Solo diversa. E questo potrebbe già essere qualcosa di significativo. Anche se la vicinanza al fondo in cui l'Italia versa in questi giorni, mi fa sperare che sia più probabile riuscire a risalire un po', piuttosto che continuare a scavare. E almeno per questo motivo sarà interessante osservare dove questo paese vorrà andare.

    Su Marte ci sono già un sacco di richieste di asilo, cercheremo di soddisfarle tutte.

    @TuristadiMestiere: grazie dell'apprezzamento! :-) Sì, l'ultimo manifesto è bellissimo. Non l'ho ideato io, ma l'ho trovato nel sito indicato nella mia risposta a knitting bear.

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  10. quest'analisi andrebbe ripresa e divulgata prima che sia troppo tardi

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  11. L'ultimo è chiaramente un tarocco.

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  12. Penso di avere il mal bianco, ho perso la vista, quindi tiro dritto a testoni e sento odore di sovvenzionamenti. Non hanno calcolato che un "non vedente" non puo' aderire all'iscrizione quindi deve toccare solide realtà e non parvenze di sesazioni propagandistiche. In pratica in rete ci sono i "ciechi" che cercano il contatto, mentre i vedenti sono in strada. Quindi i "due mondi" separati dalla nascita non interferiscono ed ognuno non influenza l'altro. Ultimamente mi ribalza in testa un concetto, la rete mette a disposizione lo scibile e il non, però i fruitori sono sempre più immersi da non rendersi conto che la fuori non c'è tempo per il dialogo.
    La campagna sarà sul filo del rasoio, ma sicuramente come dici tu è ponderata e non casuale.

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  13. @Ubi Minor: nel mio piccolo faccio il possibile, qui e su Facebook. Il resto dovete farlo voi, miei cari marzianini adottivi! ;-)

    @Alberto: non c'è che dire: tu sai distinguere il vero dal falso!

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  14. @mark: credo ci siano almeno anche i miopi che non sanno di esserlo e strizzano gli occhi e gli astigmatici che allontanano il giornale, quelli che invece cambiano continuamente occhiali perché si stufano subito della montatura e quelli che ci vedono benissimo ma si mettono le lenti a contatto colorate, eccetera eccetera. Insomma le sfumature della realtà sono innumerevoli. Inoltre penso anche che i due mondi di cui parli non siano così separati, benché ci sia gente - e questo è un dato - che in rete non ci va, ovvero che nemmeno sa che cosa sia e che cosa ci sia dentro. Ma a pensare il mondo diviso in bianco e nero si prendono sempre delle cantonate. Come essere convinti che nella rete vi sia la salvezza. E' un errore. La rete è lo specchio del mondo: dentro c'è tutto, salvezza e dannazione. A suo maggior beneficio, rispetto alla realtà, c'è la sua connotazione pseudo-anarchica, che fa' si che in rete ci sia maggiore libertà di espressione e quindi maggiori possibilità di emancipazione. Ma l'emancipazione te la devi comunque guadagnare, andare a cercare, e non è così facile come può sembrare.

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