Punti di vista da un altro pianeta

martedì 5 giugno 2012

Cosmopolis, ovvero se il mondo è a forma di limousine

Cosmopolis è denso. Cosmopolis è complesso. Cosmopolis è profondo. Ma Cosmopolis non è un film. L'ultima opera di David Cronenberg tratta dall'omonimo romanzo di Don DeLillo è infatti qualcosa di singolare, di sui generis, di non facilmente catalogabile, come probabilmente è il libro di DeLillo. Conoscendo DeLillo, infatti, pur non avendo letto il libro da cui questo film è tratto, posso credere senza sforzo alcuno che questa sia una trasposizione eccellente, che forse solo Cronenberg, tra i registi contemporanei l'unico a essere sempre stato attratto dall'analisi profonda, visionaria, non di rado grottesca delle mutazioni sociali globali contemporanee (basti ricordare titoli come Videodrome, eXistenZ, Crash, Il pasto nudo) e di come queste riverberano dentro l'essere umano facendolo mutare - normalmente in peggio-, poteva essere in grado di realizzare. A ogni fotogramma del film, si respirano infatti i modi, i temi e le atmosfere di DeLillo, sempre in bilico tra surrealismo e realtà, tra paradosso e satira, tra accusa e disperazione, sofisticato e mai banale, per un occidente in bilico sull'orlo di un abisso, intento a guardare giù, e vagheggiando con lo sguardo il nero vellutato della catastrofe incombente.

L'unico vero neo di Cosmopolis è però quello di non essere un film, come probabilmente l'unico neo del romanzo di DeLillo (ma qui azzardo e dovrebbe intervenire qualcuno che l'ha letto) è quello di non essere un romanzo. L'aspetto narrativo di Cosmopolis, rappresentato dalla surreale giornata in limousine di Eric Packer, giovanissimo e straricchissimo (oltre ogni immaginazione) superspeculatore della finanza, che desidera attraversare la città in una giornata molto difficile solo per andare ad "aggiustarsi il taglio", è infatti solo un pretesto per costruire una critica feroce sulle insensatezze, i paradossi e le vacuità di una società occidentale che ha perso ogni misura rispetto alla realtà, concentrando i suoi sforzi nell'accumulare ricchezza come unico obiettivo dell'esistenza, piegando a questo scopo ogni risvolto morale e perdendo di conseguenza ogni valore sia dell'avere che dell'essere. Bastano pochi minuti di immagini e di dialoghi per rendersi conto di ritrovarsi quindi di fronte a un'opera di filosofia e sociologia, magari un pamphlet, quindi - dal punto di vista audiovisivo - più un'inchiesta, un documentario o un reportage, che un vero e proprio film, inteso questo nella sua accezione prima di ogni altra di una storia che viene raccontata e che, anche solo per questo, ha una sua dignità di per sé.

La giornata di Packer che ci racconta Cronenberg lungo l'arco della pellicola, si snoda infatti come una serie di "quadri" (invero del tutto svincolati l'uno dall'altro, cosa che contribuisce in massima parte al surrealismo della messinscena) di personaggi che di volta in volta salgono sulla iperlimousine e interagiscono dialetticamente con il protagonista (il quale a sua volta di tanto in tanto scende e si incontra con la bella moglie poetessa alla quale peraltro chiede sempre e solo di fare sesso), mentre una minaccia dai contorni non identificati incombe sulla città-mondo e sul protagonista-capitalismo, facendosi sempre più spessa, pesante e presente, fino al drammatico confronto finale (applausi a Paul Giamatti). Dunque sono i dialoghi - e non le azioni - a fare da perno a questa vicenda e che emergono da questa sorta di viaggio iniziatico inverso, a ritroso nell'esistenza di Packer (l'incontro col barbiere è per lui una specie di ritorno all'infanzia), che fungono da specchio e, nel confronto con i disordini che stanno accadendo fuori e di cui la limousine porta sempre più i segni, conducono il protagonista a scavare nelle tematiche di una vita parossistica che cerca di sfuggire al nichilismo glaciale trasfigurato nella riuscita maschera di Pattinson, attraverso il possesso esclusivo di cose grandiose ancorché inutili (la Cappella Rothko), nell'illudersi di poter battere lo scorrere del tempo accarezzando così, di fatto, un'illusione di immortalità e quindi di divinità (il check-up medico quotidiano, che ha un acme che non rivelo, ma che è senza dubbio la scena migliore del film), di fare coincidere il piacere supremo con il sesso nell'incapacità di costruire un qualsiasi altro tipo di relazione (il rapporto con la moglie).

Così, se da un lato Cosmopolis riesce pienamente nel suo intento di feroce e originale (a tratti geniale) satira del capitalismo ultraliberista contemporaneo, complici anche le ottime interpretazioni di Pattinson, Binoche, Morton, Giamatti ecc., e da questo punto di vista non pare un'eresia considerarlo un piccolo capolavoro, dall'altro il suo limite, sempre che di limite si tratti (del resto c'è chi i nei se li disegna, no?), è quello secondo il quale l'opera di Cronenberg manca di un qualsiasi impianto narrativo degno di questo nome, potendo essere letta esclusivamente in chiave simbolica e questo la rende potenzialmente portatrice di sbadigli per coloro che vorrebbero prima di tutto (e legittimamente) assistere a un'opera cinematografica che non tradisca il suo obiettivo primario di raccontare una storia.

8 commenti:

  1. ohhhh finalmente una recensione interessante, in giro avevo solo trovato "brutto, inguardabile, senza senso...", non conoscendo il libro e quindi essendo totalmente ignorante, non capivo il perché di queste critiche negative

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    1. Cosa ti aspettavi dal Grande Marziano? Qualcosa di meno di una recensione interessante?! ;-) Scherzo, naturalmente. E' facile dire "brutto, inguardabile, senza senso". Ma non sempre è facile dire perché (e anche quando è facile spesso la gente non si adopera per motivare le proprie opinioni). Nella fattispecie Cosmopolis rende questa attività particolarmente ardua, perché non si può parlare di brutto film o di film senza senso. Però può senza dubbio non piacere o addirittura annoiare, più probabilmente la prima deriva dalla seconda. Del resto nella fila davanti a me c'era gente che russava...

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  2. Io esco da un anno di cineforum dove ho visto dei pacchi fotonici. Belli ma pesantissimi. Costruiti divinamente ma da ammazzare di fatica a volte ad arrivare in fondo. E verso l'ultimo e il penultimo film mi sono chiesta: perchè? Perchè non si può costruire qualcosa che parli a chi guarda, che stimoli riflessioni, che apra finestre, che muova qualcosa ma che CONTEMPORANEAMENTE diverta pure? O sia almeno piacevole, scorrevole, ameno? Di intrattenimento, in una parola?
    E guarda che di cose "pesanti" ne ho viste, quindi non è una critica a cuor leggero la mia.
    Ma io davvero mi chiedo questo. Siamo ormai arrivati così al punto che divertire non è più un obiettivo? Che la "leggerezza" è un male? Che solo se una cosa è pesante, paccosa, criptica, difficile, vale la pena di essere premiata esposta visitata osservata? Quanto può essere più forte e diretto un argomento importante trattato con la "leggerezza" che anche le cose difficili possono avere?
    Dove siamo tutti arrivati ormai?
    A me piace sorridere, ridere ma anche riflettere. E credo che si possano fare entrambe le cose contemporaneamente.
    Forse dobbiamo smetterla tutti di essere sempre così maledettamente seri. Il mondo gira lo stesso, a nostro dispetto. E un po' di leggerezza in più non guasta.
    SPB
    PS: comunque se mi capita il film me lo andrò a vedere comunque...giusto per aggiungere un "pacco" in più :-)) Dopotutto, dopo The Tree of Life (che io ho trovato semplicmente magistrale pur nella sua complessa paccosità!) nulla mi spaventa più. :-)

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    1. Non sono certo che sia come dici tu. Anzi addirittura credo che valga più il contrario. Nel senso che oggi il 99,9% cinema è concentrato sul divertimento puro, sul blockbuster a tutti i costi (a dispetto della morte - annunciata in questi giorni - dell'omonima catena di negozi di videonoleggio). E l'impegno, il film d'autore, quello che vuole dire qualcosa è relegato in una nicchia. E questo rispecchia i gusti degli spettatori, fatto salvo il solito discorso dell'uovo e la gallina, ovvero che non si sa se gli spettatori hanno questi gusti perché i media (cinema e TV) realizzano prodotti così o se i media producono queste cose per andare incontro ai gusti degli spettatori. Probabilmente è un processo di azione e reazione continua.

      La grande difficoltà, che in questo caso secondo me Cronenberg non è riuscito a superare (ma probabilmente non è stata colpa sua, bensì del testo da cui ha tratto il film), è quello di fare un'opera che possieda più strati. Quello superficiale è quello che ci "intrattiene", che ci diverte, che ci tiene svegli nella sala buia. Ma poi se uno ha voglia di approfondire, può scoprire che ce ne sono altri, di livelli, più complessi, nascosti, che si può (anche) approfondire. Ecco, fare un'opera che coniughi divertimento e impegno, intrattenimento e profondità, è molto difficile e non è un problema di questi tempi. E' sempre stato così. Del resto non mi vengono in mente molti film che possano a buon diritto appartenere a questa categoria. 2001 odissea nello spazio? Blade Runner?

      The tree of life non l'ho visto. Quindi dovrei rimediare? ;-)

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  3. Nn vedo l'ora di vederlo...appassionatissimo di Cronenberg...http://dino-freezone.blogspot.it/search/label/David%20Cronenberg

    Mi sono unito al tuo blog, se ti va segui anche il mio
    http://dino-freezone.blogspot.it/ Cinepolis

    Facciamouno scambio link? Ti aggiungo al mio blogroll, fallo anche te se ti piace mio blog. Ciao

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    1. Ciao Cinepolis, benvenuto!
      Allora aspetterò di leggere le tue impressioni in proposito.

      In realtà mi ero già unito al tuo tempo fa. Quanto al Blog Roll, ci sei. ;-)

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  4. Ho letto il libro, e posso dirti che le tue considerazioni sembrano su misura anche se invece ti riferisci al film (che invece non ho visto). Questo dovrebbe voler dire che Cronenberg ha trasposto fedelmente, del che mi compiaccio. E in verità leggendo il libro ho capito che si poteva prestare alla trasposizione cinematografica, purché a opera di un regista grande e visionario quanto lo è DeLillo come scrittore.
    La tua recensione è ottima, e non lo dico solo perché corrisponde in pieno alle sensazioni che ho provato io :-), ma anche perché illustra, chiarisce e avvince. Ed è scritta benissimo, con rigore e profondità.

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    1. Sì, senza dubbio l'aderenza delle mie considerazioni al libro di DeLillo è tutto merito di Cronenberg. D'altro canto io stesso che conosco un po' DeLillo, l'ho "sentito" molto presente dentro questo film (pur non conoscendo il suo libro), sia sotto l'aspetto della sceneggiatura, che delle inquadrature, che del montaggio, che dei toni ecc. A trecentosessanta gradi insomma. Quindi in un certo senso il cerchio è chiuso.
      Grazie davvero del lusinghiero apprezzamento. :-)

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