Oggi perfino la Bellucci capirebbe che quella frase è ancora valida (difatti è scappata a vivere oltralpe). Così, mentre il Presidente Napolitano si sbatte a inaugurare le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'impresa di Garibaldi, come festeggiamenti di un matrimonio dove un testimone è l'amante della sposa (o viceversa, a voi la scelta), non serve essere Bossi per chiedersi che cosa stiamo celebrando, perché lo stiamo celebrando e se ha senso celebrarlo. Che cosa commemoriamo quando l'unico sentimento di unità nazionale che proviamo è quello di fronte all'icona canonizzata di Cannavaro che alza la Coppa? Che cosa glorifichiamo quando l'unica sensazione di coesione ce l'abbiamo sfogliando la Guida TV? Che cosa abbiamo da festeggiare se l'unico vago presagio di unità nazionale ci viene suscitato come un fremito sordo e lontano da un terremoto notturno di 5,9 gradi della scala Richter, dal rombo di una rossa di Maranello e dai calendari della Bellucci (sempre lei) ormai scaduti, ma ancora nostalgicamente appesi nelle motrici dei TIR in viaggio tra Merano e Lampedusa come vecchie bandiere risorgimentali?
Tra individui il sentimento di "unità" scaturisce e si radica sul concetto di "condivisione", perché dunque nel caso di una società intera non dovrebbe valere un principio analogo? Parlo della condivisione di esperienze che hanno segnato un popolo intero e da cui un popolo intero ha saputo risollevarsi, parlo della condivisione di leggi in cui tutti si riconoscono e che dovrebbero sentire il dovere di rispettare, parlo della condivisione di basilari valori sociali, morali e culturali che tutti dovrebbero sentire propri, parlo della condivisione della salvaguardia di un territorio meraviglioso, parlo della sensazione di appartenenza a qualcosa di più grande e di cui si sente di poter andare fieri e che ha a che fare con i concetti di orgoglio e identità. Invece cos'è che ci contraddistingue? Una prima risposta la trovate in Lazio-Inter di domenica scorsa. Le altre le lascio a voi.
E' proprio vero, ormai solo nello sport e nel guinness dei primati l'Italia ha valore.
RispondiEliminaIeri sera ho sentito l'inizio del concerto in onore del Presidente Napolitano. L'orchestra del Carlo Felice di Genova ha iniziato con l'inno di Mameli e mi è venuto il magone, non per la commozione o l'emozione dell'orgoglio nazionale, ma per la tristezza, perchè non ho trovato nessuna ragione per essere fiera di appartenere a questa nazione.
RispondiEliminaChe tristezza.
io non riesco a far mio il concetto di lealtà ad una nazione. da appartenente alla minoranza slovena in terra italiana, non mi sento nè pienamente italiana, nè pienamente slovena. non è una bella sensazione. quando sento l'inno italiano o vedo sventolare una bandiera, non provo nulla. ma quando vedo calderoli, superato il disgusto, recupero il mio sentirmi "aldifuori" (o, se vogliamo usare un termine odioso ma molto alla moda, "extracomunitaria") e lo indosso con orgoglio.
RispondiEliminaSono argomenti superdelicati, nel senso che se ti esprimi “contro” rischi di passare per uno che la pensa come il Trota (ammesso che il Trota “pensi”), se non peggio. Personalmente questo tipo di celebrazioni mi parrebbero stucchevole retorica ammuffita persino se mi “sentissi” italiano, mentre invece la penso come Gaber: “Io non mi sento italiano (ma per fortuna o purtroppo lo sono)”. Tutto contribuisce a non farmici sentire, da quella brutta mamelata d’inno al comune sentire della maggioranza di quelli che tecnicamente sarebbero miei connazionali (succederà pure all’estero, ma non credo vi siano paesi come l’Italia in cui una così stragrande maggioranza si riconosce nei pagliacci della tv, nelle autorità religioidi, nei poster delle fighe e nelle stramaledette moto e macchine da corsa, ed è disposta a seguire belando e mettendo mano al portafogli qualsiasi merdosissima moda… figurati che a me non frega niente neppure di cannavaro che alza la coppa, non perché sia il classico intellettuale che schifa il calcio, ma perché il mio cuore batte solo ed esclusivamente per l’F.C. Internazionale, che più è piena di cosiddetti stranieri – che spesso parlano italiano meglio di milioni di italiani – più mi fa felicemente identificare nei suoi colori… per non parlare, ovviamente, di chi ci ha governato e ci governa, omiciattoli in cui è impossibile identificarsi, e di cui invece è obbligatorio vergognarsi… per non parlare di quanto questo paese sia DAVVERO mafioso e feudale, inutile offendersi quando lo dicono all’estero, perché è esattamente così… per non parlare del fatto che è l’unico paese al mondo ad accettare come normale una tragica, mostruosa espressione come Fuga dei Cervelli: l’Intelligenza da ‘ste parti dà FASTIDIO!) A ‘sto punto mi rendo conto che ci vorrebbe un commento anche più lungo del post, ma per fortuna tua e degli altri tuoi lettori oggi il tempo mi è ultratiranno… :D
RispondiEliminaAggiungo un solo pensiero: per me l’unica cosa bella che davvero accomuna gli italiani è la Lingua più meravigliosa del mondo. Ma tra analfabetismo programmato, geroglifici delle generazioni stronzette, rigurgito dialettale, becerume televisivo e angloide commercial-finanziario stiamo allegramente sputando in faccia pure a quella.
Margherita Hack. Se leggi il cognome non sembra ma è italiana. Ecco, una come lei mi rende un'italiana orgogliosa di esserlo. Anche se non sempre sembra.
RispondiElimina@tutti: credo che l'orgoglio di appartenenza a una nazione non dipenda tanto dai singoli personaggi di cui andare fieri o di cui vergognarsi, ma più che altro dal Senso della Storia di quella Nazione. E l'Italia, per forza di cose, come nazione un Senso della Storia non ce l'ha. Eppoi c'è il fattore individualismo estremo che contraddistingue gli italiani, mentre il senso di appartenenza nazionale presuppone un minimo livello di solidarietà e di rispetto reciproco. Ma se almeno quello non lo vediamo nella "classe" che ci governa e che dovrebbe essere d'esempio, cosa si può pretendere dal popolo?
RispondiEliminaSempre poi che questa cosa dell'unità e dell'appartenenza, all'inizio di un terzo millennio fortemente globalizzato e condizionato da profondi movimenti immigratori, abbia ancora davvero un qualche significato (e io non sono il Trota).
PS Comunque, @Zio, dovete ringraziare Milito. Lui sì che è un marziano. ;-)
Marziano, il fatto è che credo si tenda a sentirsi terrestri su marte, europei nel mondo, italiani in europa, piemontesi in italia, torinesi in piemonte, condominio "x" in Torino, e via dicendo, fino ad arrivare a quello che credo di esser davvero in quello che sembro ai più. Tutto cò per dire che le differenze generali che ci sono tra un torinese e un barese (culturali, di linqua (dialetto), sociali) sono all'incirca quelle che ci sono, in generale, tra un italiano e un kazako. Il punto, però, non sono le differenze che, vivaddio, esistono ma come tali diversità vengono percepite e "usate": per molti sono una barriera, un limite diffile da superare. Per molti altri, per fortuna, una ricchezza e solo un altro modo di vedere lo stesso mondo.
RispondiElimina@bagnetto verde: lascia che ti assicuri che qui su Marte perfino i Terrestri si sentono Marziani. :)
RispondiEliminaPerò quello che dici è vero. E' come una gerarchia o livelli di differenze e di condivisioni: dall'appartamento (famiglia), al condominio, al quartiere, alla città ecc., come cerchi concentrici sempre più grandi.
In questo caso tuttavia non sono (solo) le differenze, che pur ci sono a tutte le scale, a contare, bensì ciò che - eventualmente - ci accomuna. Dovrebbe sussistere un equilibrio sociale di entrambi (perché c'è del buono in tutt'e due gli aspetti), ma in Italia questo rapporto è fortemente squilibrato a favore delle differenze, ovvero delle contrapposizioni (Guelfi/Ghibellini, Nord/Sud, Ricchi/Poveri, Laici/Cattolici, Romanisti/Laziali, Comunisti/Fascisti, ecc. ecc.).
Capisco ciò che intendi: sarebbe come dire che qui ci sono gli agnolotti al plin, a bari le orecchiette e quello che dovrebbe accomunarci è la farina dello stesso sacco! :-)
RispondiElimina"sensazione di appartenenza a qualcosa di più grande e di cui si sente di poter andare fieri e che ha a che fare con i concetti di orgoglio e identità": parli di un suv ultimo grido?
RispondiElimina@Bagnetto: sì, qualcosa del genere, come un retrogusto...
RispondiElimina@metropoleggendo: purtroppo il grido non è mai ultimo, ce n'è sempre un altro dopo.
Niente male questa. :-D
Hai maledettamente ragioone. Infatti ieri Sabina Guzzanti, presentando il suo docu-film DRAQUILA.L'ITALIA CHE TREMA, ha scritto che l'episodio dei 'tifosi' laziali che esultano per goal segnati contro la propria squadra equivale a quello che siamo diventati noi italiani. Cioè molti esultano (o non si rammaricano) per le disgrazie altrui. Se chiudono centinaia di fabbriche, nessuno s'interessa del disagio di migliaia di famiglie. Non siamo mai stati uniti.
RispondiElimina@Matteo: grazie! :-) In effetti non mi capita molto spesso di avere "maledettamente" ragione. In effetti in genere ho solo ragione. ;)
RispondiEliminaP.S. Sempre restare in ambito calcistico, direi che siamo pronti a darci dei bei calcioni da dietro, altroché.