Punti di vista da un altro pianeta

lunedì 24 dicembre 2012

Il senso degli auguri

Per favore, vi supplico, lasciatemi perdere il Buon Natale, che il Natale non ha nessun senso, e ho il dubbio che ne abbia mai avuto uno. E comunque ce l’ha per chi crede alla faccenda della mangiatoia e a tutto quanto il resto, o – almeno – fa finta, illudendosi così di ingraziarsi i favori del Cielo con una semplice e facile (e gratuita) ipocrisia di periodo annuale. Gli altri sono solo una volgare setta di adoratori di ravioli, di lasagne, di brasato, di tacchino in gelatina, panettoni e frutta secca assortita.

Se dunque proprio dobbiamo farci degli auguri, allora facciamoceli di buone feste (giusto perché il periodo è tale per cui le cose spiacevoli possono assumere contorni maggiormente affilati), ma – meglio ancora – di Buon Anno, che benché non serva a un’emerita mazza, almeno ci consola e rinfocola un poco le nostre speranze per il futuro, che la speranza per il futuro è il motore del nostro agire e (solo) il nostro agire fa’ sì che le nostre speranze provino in qualche modo a tramutarsi in realtà, che poi non è altro che il paradigma intorno al quale ruota tutto il nostro (provare a) vivere.

Ed è questo quello che auguro a tutti voi.

giovedì 20 dicembre 2012

Apocalypse Tomorrow! (repetita iuvant)

Manca ormai pochissimo. Dunque ve lo ripeto, prima che sia troppo tardi (nel caso in cui qualcuno se lo fosse perso a suo tempo): in tutta questa faccenda i Maya sono solo delle comparse incidentali! Dunque non è nemmeno, che so, come Nostradamus, che pur qualcosa con la pretesa della profezia aveva scritto e, anche se ognuno può vederci dentro quello che vuole, il fatto che ci sia almeno qualcosa dentro cui vedere, legittima per lo meno l'esercizio arbitrario alla superstizione escatologica. Ma i Maya, loro, poverini, non hanno scritto niente. Nessuna profezia. Nessuna iscrizione. Nessuna tavoletta incisa che, magari con un intento equivalente a una bella toccata di palle, paventavava qualche sciagura globale sotto forma di qualche dio piumato sputafuoco che veniva sulla Terra a fare piazza pulita. Niente di tutto questo. La profezia Maya è una via di mezzo tra la (superstiziosa) leggenda metropolitana e la (remunerativa) invenzione mediatica.

Tutto il clamore nato intorno alla faccenda del 21 dicembre 2012 scaturisce più semplicemente (prosaicamente?) dal complesso sistema calendariale Maya chiamato Lungo Computo o Conto Lungo. Provo a spiegare in breve. I Maya contavano i giorni in maniera cumulativa, a partire (arbitrariamente, grazie a uno studio di Goodman, Martines e Thompson che ne hanno stabilito la corrispondenza col calendario Gregoriano, con tutte le incertezze del caso) dalla data "mitica" dell'11 agosto 3114 a.C., con l'applicazione successiva di cinque cicli di ampiezza crescente, basati per lo più su un sistema numerico a base 20. In altre parole l'elemento base era il Kin (giorno), 20 Kin erano un Uinal (mese), 18 Uinal erano un Tun (anno), 20 Tun erano un Katun (vent'anni), 20 Katun erano un Baktun (400 anni). Una data Maya dunque poteva essere scritta come segue: 0.0.1.2.5 che nella fattispecie significa: 5 Kin + 2 Uinal (2x20 Kin) + 1 Tun (18 x 20 Kin) = 405 Kin a partire dalla data di inizio. Come vedete ognuno dei valori della data è ciclico rispetto al precedente e in effetti i Maya avevano un forte senso della ricorrenza dei fenomeni dell'universo. Infatti è ciclico anche il Baktun che, sebbene non se ne sappia il motivo, i Maya ritenevano potesse raggiungere il massimo valore di 13, dopodiché il calendario si sarebbe azzerato e il Lungo Computo sarebbe ricominciato daccapo. Tenuto conto di quest'ultima considerazione, un ciclo completo, ovvero un Lungo Computo, doveva durare: 13 x 20 x 20 x 18 x 20 = 1.872.000 giorni. Tenuto conto delle peculiarità calendariali, ovvero degli anni bisestili eccetera, contando dall'agosto 3114 a.C. si finisce per cadere giusto intorno al dicembre 2012 d.C. Il fatto che venga indicato proprio il giorno 21 è solo perché si tratta del giorno del solstizio di inverno che, astronomicamente, indica la fine di un periodo e l'inizio di un altro, dunque se si deve scegliere un giorno, tanto vale scegliere quello "speciale" più vicino.

A tutto questo si devono aggiungere due notazioni. Una è quella legata al calcolo delle corrispondenze dei calendari che, dovendo mettere insieme un calendario Maya di migliaia di anni fa con quello gregoriano, in vigore da solo qualche secolo, non si tratta di un'operazione puramente logico-matematica, dunque esatta, ma anche di natura interpretativa e pertanto facilmente passibile di errori. L'altra, invero l'unica che parla di qualcosa che dovrebbe accadere al termine del tredicesimo Baktun, è quella rilevata in un ritrovamento archeologico in Chiapas, il cosiddetto Monumento 6 di Tortuguero, una stele da cui è stata tradotta la seguente iscrizione:
«Alla fine del 13° Baktun, il 4 Ahau 3 K'anki'n 13.0.0.0.0
[qualcosa]
avviene quando Bolon Yokte discende».
Manco a dirlo, come nei migliori film, il glifo che dovrebbe indicare che cosa avviene pare sia troppo rovinato per essere interpretato. Tutto quello che si può dire, si riferisce pertanto a questo fantomatico Bolon Yokte, che però, da quello che si sa, pare fosse una figura mitologica jolly, legata alla guerra e al mondo sotterraneo, ma anche alla creazione, un'ambivalenza meravigliosa capace dunque di solleticare sia l'immaginazione dei catastrofisti, che quella dei guru new age.

Quello che è certo, dunque, è che i Maya non hanno mai parlato di fine del mondo, di collisioni planetarie, di salti quantici cosmici, di cataclismi globali o di altre antipatiche diavolerie portasfiga. Magari l'avessero fatto. Almeno avreste l'alibi per credere davvero a qualcosa, ancorché stravagante e strampalato. Così invece ci fate solo la figura dei fessi. Come al solito.

Non mi resta dunque che augurarvi che Bolon Yokte vi sia propizio. Per tutto ciò che può essere di sua competenza, s'intende. Al resto pensateci da soli, che è meglio.

[Credits: i dati di natura archeologica sono tratti da I Maya e il 2012 - Un'indagine scientifica di Sabrina Mugnos, Macro Edizioni]

mercoledì 19 dicembre 2012

A proposito di coloro che pensano che un'orgia prima della fine del mondo sia quello che ci vuole

Non è semplice rendersi conto di quanto sia bello assistere a una fine del mondo. Di quanto sia interessante. Di quanto sia emozionante. Di quanto sia affascinante. Di quanto sia (tutto sommato) perfino comodo. Di quanto sia infine unico ed esclusivo. Un autentico onore, anzi un privilegio che nemmeno gli eletti dell'American Express Gold possono vantare: essere tra coloro che assisteranno a uno spettacolo unico e irripetibile (e gratuito), addirittura meglio di un (qualunque) politico italiano che si ritira a vita privata.

Dunque perché perdere tempo a cercare in giro buchi come struzzi dalla testa troppo grossa? Perché sbattersi a costruire bunker in giardino o ammassare provviste a lunga scadenza in profonde grotte appenniniche? Che senso ha cercare scampo a qualcosa che per definizione è la fine di tutto, e dunque dalla quale non può esserci scampo? Perché diamine anche in queste circostanze estreme voi umani affrontate le cose nel modo sbagliato (peggiore), e invece non vi godete gli Ultimi Giorni concedendovi le cose migliori che la vita vi offre e poi amen?

Mangiare frittelle ripiene, abbracciare il primo che passa, scopare come ricci che scopano come umani che scopano come ricci, giocare alla Xbox, fumare due pacchetti di Camel al giorno, dichiarare il vostro amore a qualcuno (in ginocchio), cucinare le lasagne al forno, non giocare alla Xbox, dichiarare su Facebook di essere gay (se siete gay), andare a vedere sorgere il sole in cima al monte (o spiaggia) più vicino a voi (se ne avete uno), farvi riempire di fusa dal vostro gatto, andare dal prete a confessarvi dei vostri peccati e mentire, offrire perdono a una persona di cui non vi importa niente, farvi una partita a Pinnacola (o a King) [aggiungete pure quello che più vi garba].

Perché la paura di morire (e lo sconsiderato desiderio di aggrapparsi all'ultimo maleodorante respiro e a quello dopo e a quello dopo ancora) è solo un perverso sentimento di invidia nei confronti di coloro che restano vivi (ancora solo per un po') e possono (ancora solo per un po') fare una qualunque delle cose di cui sopra in barba a chi invece se n'è andato, specialmente se è finito sottoterra anzitempo. Per questo la fine del mondo è invece il modo migliore, più consolatorio, più spettacolare ed eccitante, di lasciare quest'universo. Tutti insieme.

L'unico (grave) difetto della fine del mondo è l'impossibilità di poterla raccontare in un post.

giovedì 13 dicembre 2012

A volte ritornano (quasi un avvertimento)

Normalmente si fanno strada tra le assi inchiodate delle bare, spingono le loro mani artigliate attraverso la terra smossa delle tombe, dopodiché sollevano le ginocchia secche sui bordi delle lapidi e cominciano ad aggirarsi in cerca di cibo cibo cibo, illuminati da una falce di luna (non necessariamente piena), barcollanti come burattini sgangherati, ma animati da una famelica ostinazione ultraterrena.

A volte però capita che si risollevino a sorpresa ancor prima di raggiungere le fosse. Ma non è che per questo, a dispetto delle apparenze, la loro carne appesa alle ossa sia meno in decomposizione o meno maleodorante, non è che siano meno egoisti, meno affamati di carne umana, o meno determinati ad affondare la loro bocca affilata e macilenta nel primo collo fresco disponibile.

Sono i più pericolosi, questi. Quelli che in qualche modo, nonostante la putrefazione incipiente e qualche verme che comincia timidamente a farsi strada tra le fibre accoglienti, riescono ancora a sorriderti, a simulare la loro normalità con l'aiuto della formaldeide. A loro non basta azzannarti. Perché sono degli esteti della morsicata e a loro piace che tu, il collo, glielo offra. Spontaneamente.

Ne hanno bisogno perché anche il loro orgoglio, la loro presunzione, la loro arroganza, la loro folle smania di potere e denaro sono insaziabili almeno tanto quanto il loro stomaco. Per questo fanno di tutto per accattivarsi le tue simpatie, cercare di farti abbassare la guardia e conquistare la tua fiducia (e il tuo collo).

Ma forse c'è di mezzo anche la paura. Il terrore che tu possa finirli. E dunque sanno di dover essere loro a finire te, prima che possa accadere il contrario. Qualcuno (anche per essi) lo chiama "istinto di sopravvivenza", forse l'unica cosa che è davvero loro rimasta. Ma non lo è forse anche il tuo?

sabato 8 dicembre 2012

martedì 4 dicembre 2012

Le Primarie conservatrici dei progressisti

Dunque alla fine ha vinto Bersani. Ha vinto la (tiepida) sinistra. Ma, a dispetto dei (doverosi) proclami sul rinnovamento, ha vinto anche la Vecchia Guardia. Hanno vinto D'Alema e la Bindi e Veltroni e tutta quella generazione lì. In altre parole, il popolo dei progressisti ha tradito se stesso, decidendo a grande maggioranza per il progresso minore, e molti di coloro che (forse) chiedevano rivoluzione e rottura, hanno invece finito per scegliere conservazione e continuità.

Ma è stata solo l'incapacità del Renzi-candidato a far frenare (o franare?) il cambiamento tanto atteso? La rottamazione? E' stato il suo aspetto troppo patinato, troppo americano, troppo "da destra", non tanto nei temi, quanto nelle atmosfere, nei modi di porsi agli elettori, nelle convention con troppi lustrini, più oppositivo che propositivo, nelle sue giacche sempre troppo blu scure? Renzi è stato così l'uomo sbagliato al momento sbagliato?

Oppure alla fine gli elettori hanno avuto paura di affrontare l'ignoto-Renzi, e hanno deciso di optare per un (tutto sommato) consolatorio-Bersani? Dunque, come spesso accade nella vita, l'individuo (nella fattispecie il votante-pagante) non è riuscito a superare la pesante inerzia del (vero) cambiamento e ha optato per ciò che lascia le cose il più simili possibili a come già sono? Il cambiamento minimo. Niente ribaltoni. Niente stravolgimenti. Una rivoluzione (troppo) dolce. Ovvero una non-rivoluzione.

Dunque, ditemi, al popolo della sinistra è mancato più il coraggio o più il candidato?

sabato 1 dicembre 2012

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