Punti di vista da un altro pianeta

lunedì 28 giugno 2010

Gratta e scapezzola

È un po' che da queste parti non si parla di tette. L'occasione di tornare sull'argomento che, lo so, a voi terrestri garba un sacco, è di questa nuova frontiera dell'editoria tattile della rivista di moda americana V Magazine, che in occasione dell'uscita del primo numero spagnolo, farà un'edizione speciale della copertina con la modella Adriana Lima a seno nudo, ma nascosto solo da una grande V, che sarà però "grattabile" per ammirare, a fronte del giochino di unghia, monetina o altro oggetto abrasivo (ho detto abrasivo!), la modella in tutto il suo splendore.

Ebbene, vorrei innanzitutto farvi notare che quelli sono solo capezzoli. Tutto questo pudore, vergogna, scandalo, prurito, voyerismo per un paio di semplici capezzoli, uguali a quelli di tutti quanti i mammiferi del vostro pianeta. Ce li avete tutti, uomini e donne. Ma anche scimmie, cani, gatti, elefanti, mucche, delfini, canguri, cavalli, maiali, orsi, bradipi, foche, devo andare avanti per tutte le circa 5400 specie? Eppure voi, maschietti umani, siete gli unici lì, a grattare, con la lingua di fuori. Proprio voi, l'unica specie del pianeta che si professa intelligente. Che si tratti di un caso, mi pare impossibile, benché la relazione ancora trascenda le mie capacità intellettive.

A questo punto, voglio prendermi l'onere, ma anche l'onore, di anticiparvi quella che sarà la prossima frontiera dell'editoria interattiva. Una copertina tutta da succhiare con capezzoli in rilievo in scala 1:1, identici a quelli della modella di turno! Basterà liberarli dall'apposita pellicola protettiva e sarete liberi di regredire infantilmente - sempre che ci sia da regredire - fino a consumarvi la lingua. A chi già storce il naso a riguardo, perché vedo che tra voi c'è qualcuno che fa le facce, e pensa che si tratti di un comportamento poco responsabile, posso assicurare che si tratterà di materiale garantito atossico, anallergico, in autentico lattice biologico, ecologico, na-tu-ra-le e rigorosamente marcato CE.

venerdì 25 giugno 2010

Tema di maturità: cerchi nel grano e celiachia

Devo ammettere che con P'wasrvx ci siamo fatti una grassa risata quando abbiamo visto la traccia dell'ambito tecnico-scientifico: "Siamo soli?" Nell'universo, s'intende. Allora abbiamo cominciato a sventolare tutt'e quattro le braccia e a gridare: «Siamo qui! Siamo qui!» Ma voi niente, tutti a guardare i mondiali. Quando poi ci è passata la ridarola, abbiamo riflettuto più compostamente e ammetto che la faccenda ci ha fatto anche girare un po' le antenne. Già, perché in mezzo a citazioni di grandi personalità della scienza e del pensiero come Immanuel Kant, Stephen J. Dick, Stephen Hawking e Paul Davies, che parlavano di temi alti, di scienza e di filosofia, c'era un documento a firma di Battaglia/Ferreri che trattava di UFO.

Al di là del fatto che noi parliamo da una posizione di osservazione ovviamente privilegiata, e quindi per certi versi non facciamo testo (salvo confermarvi una volta di più che, se ci sono degli UFO, state pur certi che non è roba nostra), è evidente che Maria Stella e i suoi collaboratori del Ministero non hanno la benché minima idea di che cosa significhi davvero il fenomeno degli oggetti volanti non identificati e come meriti di essere trattato. È infatti solo la mitologia e la credenza popolare, ormai peraltro capillarmente diffusa e radicata nelle culture moderne di tutto il mondo, che associa il fenomeno UFO agli extraterrestri, ovvero a eventuali visitatori provenienti da altri pianeti. E difatti i media, che in tutto ciò che è popolare nel senso più deteriore del termine, ci sguazzano come maialini nel fango, hanno tutti parlato di "tema sugli UFO", mancando tristemente (e anche un po' schifosamente) il bersaglio solo per fare notizia e contribuendo così, una volta di più, alla diffusione di un concetto culturale profondamente scorretto.

In realtà, dal punto di vista tecnico e scientifico, ovvero l'ambito nel quale la traccia ministeriale avrebbe dovuto attestarsi, il fenomeno UFO non c'entra un'emerita cippa (scusate il marzianismo) con la presenza di altre civiltà intelligenti nella galassia o nell'universo. È come associare chessò... il triangolo delle Bermuda ai costumi da bagno, o la nazionale di calcio a Umberto Bossi. In altre parole chiamasi UFO tutto ciò che vedi volare, ma che non sai che cosa è. Se voi lanciate un water dalla finestra e il vostro vicino di casa non capisce di che si tratta, ecco che quello è un Unidentified Flying Object, e tale resterà per lo meno finché il tizio non verrà vicino per vedere che cosa diavolo era. Insomma tutti i fenomeni "atmosferici" che, sulle prime non sono immediatamente riconoscibili, sono UFO. Detto questo, a fronte di indagini semplici o complesse, la maggioranza dei fenomeni UFO (come dicono Battaglia e Ferreri nella loro citazione, parlando del 98/98,5%) diventano fenomeni IFO, ovvero Identified Flying Object, dunque oggetti volanti identificati. E tra questi mai (e dico mai) è stato dimostrato che ci fossero di mezzo diavolerie di natura extraterrestre.

Resta dunque una percentuale (molto) minima, intorno all'1,5/2%, dei fenomeni UFO che rimane non spiegata anche a fronte di indagini approfondite, ma - attenzione - questo non implica che si tratti di visitatori di altri mondi. Mi pare che ne avessimo già accennato qualche tempo fa nel post su scetticismo e creduloneria. Quindi, tornando alla traccia, introducendo la citazione sugli UFO peraltro inutile rispetto alla descrizione dei confini del tema, Maria Stella & C. non solo hanno sviato l'attenzione su un fenomeno che non c'entra col contesto della presenza di altre eventuali civiltà intelligenti nell'universo, ma così facendo hanno svilito l'intera traccia, banalizzando un concetto alto e importante come quello del ruolo dell'umanità nell'economia del cosmo che la ospita e facendo fortemente sospettare che dal punto di vista scientifico e culturale il team di cervelli che ha ideato le tracce, abbia preso la maturità a puntate coi programmi di Roberto Giacobbo.

[Nella foto un autoscatto di quell'esibizionista di P'wasrvx in un momento di particolare ispirazione]

mercoledì 23 giugno 2010

De maturitate italianorum

Ieri sera ho fatto un esperimento. Dopo il tramonto ho invitato un amico per bere qualcosa e, visto che la visione era favorevole, l'ho lasciato per alcuni minuti alla terrazza del telescopio puntato verso di voi, dicendo che dovevo andare in bagno. Va detto che il buon vecchio P'wasrvx sa della Terra, dei terrestri e perfino dell'esistenza di qualcosa chiamata Italia. E sa delle mie "fisse" per voi. Ma per lui il vostro paese non è molto di più di quello che è per un allevatore di vacche del Wyoming. Ebbene, quando sono tornato, l'ho sorpreso all'oculare. Non aveva potuto resistere. Naturalmente. Lo speravo. E quando mi ha sentito tornare, si è tirato su con un certo imbarazzo. Allora ho subito notato le sue antenne girare in maniera asincrona. Nel linguaggio del nostro corpo significa "perplessità". «Qualcosa di nuovo?» gli ho chiesto allora con nonchalance. E lui, con tre occhi così: «Ma in Italia hanno bisogno di un esame per sentirsi maturi?!»
Bingooooo!
Esperimento riuscito.

In effetti discutendone poi con lui, nella sua ingenuità il buon vecchio P'wasrvx ha centrato il punto. La dizione "esame di maturità" preluderebbe a un test di natura psicologico-comportamentale. Invece si tratta di una prova scolastica, tesa a verificare preparazione, livelli di apprendimento, assimilazione di concetti, utilizzo di strumenti espressivi, logici e matematici e capacità di associazione e ragionamento. Tutti aspetti che a ben vedere con il concetto di maturità non hanno alcunché a che fare. Eppure la parola maturità fa ufficialmente parte del lessico italiano anche a titolo di sinonimo del più propriamente detto Esame di Stato che si deve sostenere al termine della scuola secondaria superiore. Ciononostante che io sappia, questo succede solo con l'italiano. Se così non è, vi pregherei di segnalarmelo.

Ma se questo è vero, allora perché solo in Italia c'è bisogno di fare sentire i giovani "ufficialmente e pubblicamente maturi" come in una sorta di moderno rito di iniziazione mediaticamente enfatizzato e retoricizzato, ancorché in un contesto che non prova tanto la maturità, quanto piuttosto, se vogliamo, i nervi e la gestione dello stress (preparazione a parte)? La maturità è qualcosa di molto più complesso e articolato e legato alla sfera della personalità individuale. La mia sensazione a riguardo è che ci sia di mezzo qualcosa legato alla peculiarità della società italiana e a come i giovani vengono tradizionalmente considerati e trattati dagli adulti, per cui a un certo punto si è sentito il bisogno di un surrogato ufficiale che sugellasse il passaggio del giovane all'età adulta, per lo meno a livello psicologico. Tuttavia, se questo è vero, allora l'esame di "maturità" contribuisce a costituire l'alibi per qualcosa che la famiglia e la società non sanno o non vogliono dare. Ma che cosa? Forse la tradizionale incapacità familiare e sociale di svincolare i giovani dai legami parentali? Oppure c'è qualche retaggio di tipo storico che mi sta sfuggendo? Voi che ne pensate? È tutta fuffa o c'è qualcosa dietro?

P.S. Poi il buon vecchio P'wasrvx, che non gliene scappa una, ha avuto qualcosa da ridire anche sulle tracce dei temi, ma per questo vi do appuntamento al prossimo post.

lunedì 21 giugno 2010

Per un mondo deavverbizzato

La televisione ha dei profondi influssi sugli individui da questa parte del video, adulti e bambini. Questo è già stato provato da numerosi studi, ci sono numerosi saggi che ne parlano e ne ho già accennato su queste pagine. Eppure, a ben vedere, l'influsso della televisione vale anche dall'altra parte del video. È da un po' infatti che sono giunto a questa conclusione, e sono sempre più convinto che la sola presenza delle telecamere sortisca strani effetti collaterali anche sui cervelli di coloro che si trovano loro davanti. Ma forse sono due facce di una stessa medaglia.

Provate per esempio a guardare un'intervista qualsiasi, che sia un talk-show, un telegiornale o una trasmissione sportiva, e sentirete dalla bocca dell'intervistato di turno o, comunque di colui che replica o commenta, cadere una pioggia torrenziale di «assolutamente», con la straordinaria variante «assolutamente sì!». Insomma, la fiera dell'avverbio come sottoscrittore di verità incontrovertibili. Di qualsiasi argomento si parli, serio o frivolo, che sia il fondoschiena ritoccato di Belèn o la legge sulle intercettazioni, è sempre e comunque assolutamente ... [scrivete qui l'aggettivo che preferite].

Eppure chi ha un po' di dimestichezza con la parola scritta, sa che l'avverbio è quanto di più deleterio esista nell'economia della descrizione di un'azione. Va usato con la massima parsimonia. È facile che la sua sola presenza, per non parlare del suo abuso, denoti debolezza (incertezza o insicurezza) nella comunicazione del concetto della frase e il più delle volte risulta non solo superfluo, ma addirittura controproducente. Perché allora questa grande diversità nel parlato mediatico?

Perché la televisione, e con essa chi vi parla, non può permettersi di dire qualcosa di meno della verità. Perché la televisione, lei, è perfetta e sovrumana e non deve mostrare di avere insicurezze nei concetti che esprime, come le modelle non possono permettersi di mettere in mostra qualcosa di meno di cosce vellutate come pesche appena colte. Perché i dubbi la screditano e le sue incertezze diventano le incertezze dei suoi sponsor. E bisogna fare qualsiasi cosa affinché il dubbio, che pur sempre c'è perché è nella natura delle cose del mondo, non emerga mai. Perché l'uomo ha bisogno di verità e certezze e se c'è qualcuno o qualcosa che gliene può dare a piene mani, e così confortarlo e rassicurarlo, perché non approfittarne?

Del resto il dubbio costa fatica. Il dubbio costringe a pensare. E la televisione, materna e protettiva, non vuole che voi vi diate la pena di sudare e finiate per farvi venire il cervello a buccia d'arancia. Così lasciate che la vostra estetista della mente vi faccia il suo bel trattamento quotidiano a base di "assolutamente". E vedrete quest'estate come vi sentirete a vostro agio in costume da bagno!

venerdì 18 giugno 2010

Inchinandomi

Noi che resistiamo.
Noi che combattiamo.
Noi che rispettiamo.
Ma non abbiamo paura di criticare con civiltà, ma con fermezza e, all'occorrenza, con durezza.
Noi che non abbiamo paura delle nostre idee.
Noi che coltiviamo l'autonomia delle nostre opinioni.
Noi che crediamo che un mondo migliore sia (comunque) possibile.
Noi che non manchiamo di sollevare i pugni contro l'ingiustizia.
Noi che pensiamo che la cultura possa cambiare il mondo.
Noi che ci illudiamo che la letteratura possa salvare il mondo.
Noi, da oggi, siamo tutti un po' più soli.

Alla co(o)rte degli azzurri

L'orchestra ha suonato la sigla della mondovisione e la liturgia mondiale del pallone è ricominciata, puntuale come la messa delle 11. Dunque ecco ripartiti i sacri riti (fischi, cartellini, moduli e formazioni), le necessarie litanie (ripetete con me: Montolivo segna per noi, Gilardino segna per noi, Di Natale segna per noi, Buffon para per noi, S. Cannavaro marca per noi, ecc.), le immancabili icone (Lippi, Rivera, Galeazzi, Mazzocchi, Bagni, ecc.) e gli altari imbanditi (conferenze stampa, giornali, televisioni, ecc.). Da quassù vedo bandiere sventolare ovunque come candele di una processione globale, a esprimere il vostro desiderio di sentirvi parte di qualcosa di più grande, di percepire un'identità comune che amplifichi il vostro sentimento, di succhiare dal biberon televisivo emozioni confezionate su misura, emozioni comode, liofilizzate, sotto vuoto, quattro sballi in padella, che altrimenti non sareste capaci di provare per i fatti vostri, se non al prezzo di grandi sacrifici (o di grandi "dosi").

Fin quassù mi arriva (perfino!) il suono delle vuvuzelas, che solo un bambino pazzo uscito dal Signore delle Mosche può aver concepito un simile perverso aggeggio, per trasformare gli stadi in immensi vespai a cielo aperto. Che magari non ti pungono, d'accordo, ma sta' sicuro che ti stracciano le palle, quello sì. Nel frattempo però si gioca, e ognuno resta come sospeso in un limbo, in attesa del momento cruciale, la partita della propria nazionale, all'attimo di vedere i propri beniamini, proprio quegli stessi che sono appiccicati con le calamitine sul tuo frigo, ma in carne e ossa, senza frigo sulla schiena insomma, che giocare sarebbe un po' un casino, soprattutto se sei appena stato alla COOP e hai fatto il pieno di bibite, birre, cartoni di latte, uova, formaggi, un arrosto di maiale e due etti di prosciutto cotto (del migliore, per favore, quello della pubblicità, ché gli altri fanschifo) ecc., comunque eccoli lì, schierati in fila, sull'attenti, pronti al gesto atletico di una vita sui tacchetti, allenati per la prodezza in mondovisione, preparati al sacrificio muscolare definitivo e persino alla doppia ammonizione. Insomma eccoli lì, qualcuno (i sentimentali) la mano sul cuore, altri (gli scaramantici) sulle palle. E l'inno comincia.

Cioè a quel punto c'è ovviamente chi si aspetta l'attacco di Va' pensiero, altri più giovani pensano ci starebbe bene qualcosa di Jovanotti prima maniera, tipo Sei come la mia moto o L'ombelico del mondo. Le ragazze sui trenta voterebbero per un Baglioni qualsiasi. E, da alcuni sondaggi, pare che le signore di una certa età sognerebbero Volare di Modugno. Invece no. Invece c'è il solito poropò-poropò-poropòpòpòpòpò della premiata ditta Mameli/Novaro, una specie di Jalisse ante litteram, che dopo quel successone della metà del l'800, non se li filò più nessuno. Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta... Che poi è un pezzo come un altro e tanto vale tenerselo così com'è, che se non fa tendenza, per lo meno fa tradizione. Dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa... Comunque le fanfare ci danno dentro e le telecamere lì, a contare le carie dei giocatori che cantano e guaialoro se non lo fanno. Che schiava di Roma... E tutti seguono il labiale e si incazzano pure se la regia vira sul pubblico. Iddio la creò... Si vogliono vedere i giocatori che cantano, perché coi loro conti in banca rappresentano la patria, rappresentano tutti i nostri mutui messi insieme, e tutto sembra andare bene finché a un certo punto, tutti, inequivocabilmente tutti, proprio sul rettilineo finale, sbandano:
Stringiamoci a corte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
Allora, okay che "corte" fa rima con "morte" e la rima, si sa, è l'anima della poesia. Ma non è che gli strenui e coraggiosi difensori della patria, tutti scudi, spade, muscoli gonfi e pesanti armature vanno insieme a stringersi nel palazzo del Re a ballare il minuetto al suono del clavicembalo. Plin plin plin. E riverenza, e scivola a sinistra, e scivola a destra e avanti, e indietro, e giravolta, evviaaa... Plin plin plin. Insomma, in questo periodo di Zaia e La Russa, di Cota e di Alemanno c'è qualcuno che, per favore, si prende la briga e va a dire a quei miliardari in mutandoni che la "o" la devono mettere al posto giusto e il verso corretto è:
Stringiamci a coorte
spiegandogli magari che la "coorte" è tecnicamente la decima parte di una legione romana e che per estensione poetica nella fattispecie indica un gruppo numeroso di combattenti in armi schierato e unito contro il nemico, in una specie di 4-4-2 imperiale? In alternativa fategli avere un bel set di crinoline azzurre, che per lo meno in conferenza stampa ci faranno la loro porca figura.

giovedì 17 giugno 2010

Quando si dice la fidelizzazione

Caro terrestre,
non è il caso che ti spaventi, non c'è da avere paura. È vero, Il grande marziano ha allargato i suoi orizzonti cosmici e da ieri ha invaso anche il pianeta Facebook. Ma lo ha fatto per te, per il tuo comfort e il tuo benessere. Per mettere a tua disposizione un altro modo, facilmente condivisibile, pratico e conveniente, direttamente a casa tua, ecosostenibile, completamente gratuito, alla moda, omeopatico, antirughe, con un solo clic, a energia solare, gustoso, anallergico, tutto-intorno-a-te, idratante, in esclusiva, sotto vuoto, liscio come seta, riciclabile, bifuel, olistico, sexy, non testato su animali, in 48 comode e piccole rate mensili* (prima rata a partire da giugno 2110), di seguire gli aggiornamenti in tempo reale dell'unico blog proveniente dal Pianeta Rosso.

Ma le novità non si fermano qui. Perché, se questo punto di vista extraterrestre ti interessa, ti garba o anche lo disapprovi, ma ti sta almeno un po' simpatico, non essere timido, dimostralo, partecipa, sii protagonista e clicca [Mi Piace] / [Condividi] / [Invita] / [Insisti] / [Convinci] / [Costringi] / [Obbliga] / [Minaccia] / [Ricatta] i tuoi amici e gli amici dei tuoi amici, dicendo loro di condividere, invitare ecc. a loro volta i loro amici e gli amici dei loro amici, anche se non sono proprio amici, anche se non hai idea di chi cazzo siano, ma è così maledettamente fico averne sempre di più ecc. ecc. ecc.. Potrai così richiedere la Mars Card, raccogliere i fantastici Punti Marte, entrare a far parte dell'esclusivo Mars Club, e sentirti marziano anche tu. Cosa aspetti?!
Be cool, be martian!

[* TAGM 99,9%, TAENM 152%]

martedì 15 giugno 2010

Citazio' citazio'

Visto che non lo avevo ancora fatto...
avrei voluto scrivere qualcosa sulla legge bavaglio,
avrei voluto dire qualcosa sul ddl intercettazioni,
avrei voluto esprimere la mia opinione sulla situazione attuale,
avrei voluto mettere giù qualcosa d'intelligente sulla mancanza di opposizione,
avrei voluto fare qualche riflessione originale sullo stato del potere.
E lo avrei anche fatto, lo giuro. Magari non sarei riuscito in toto nel mio intento, ma almeno ci avrei provato.

Poi però è arrivato un Umberto Eco espresso, proprio qui, tra capo e collo, di quelli che non ti aspetti, e - zac! - mi ha tolto ogni velleità. Già, perché in quattro e quattr'otto ha messo giù per filo e per segno tutto quello che avrei voluto dire io. Cioè non so se avrei detto proprio tutto, e probabilmente non l'avrei detto in quel modo (voglio dire lui è quell'Eco là, mica un'eco qualunque unque unque...), però porcaccialamiseriaccia, ha detto tutto ciò che c'era da dire, e l'ha fatto nella maniera migliore.

Insomma, non è un'abdicazione, la mia. Ma solo un inchino a chi è più grande di me. Il suo articolo si intitola Noi contro la legge ed è apparso sul sito dell'Espresso venerdì scorso. Non lo riporto per questioni di copyright. Prendetevi cinque minuti e leggetevelo direttamente a questo link, non può che farvi bene.

lunedì 14 giugno 2010

Controspot

Ogni tanto accade. Sono come invasioni silenziose. Un giorno niente. Il giorno dopo, bum, la città ne è piena. Nessuno sa di preciso che cosa mai succeda durante la notte, perché testimoni che assistono alla conquista capillare dei punti strategici non ce ne sono mai, un po' come per i cerchi nel grano o gli elettori di Berlusconi. Eppure all'alba del giorno dopo ogni angolo è tappezzato con nuovi manifesti pubblicitari pronti a succhiarti la mente come si fa con le chele dei granchi. Ebbene, ultimamente (li ho visti col telescopio) è il caso di questi:


Il nome non mi diceva niente. Allora ho fatto una breve ricerca su Internet e ho scoperto che si tratta della campagna pubblicitaria di un marchio genovese di alimenti per animali domestici, campagna firmata nientePOPÃ’dimeno che da Oliviero Toscani.

Questo che segue è il comunicato con cui il fotografo descrive il senso della sua campagna:
«Gli animali sono molto più pazienti con noi di quanto noi siamo con loro e, se vedessimo il mondo attraverso i loro occhi, forse vedremmo un mondo migliore. Creando un'immagine per questo nuovo progetto ho cercato di pensare soprattutto agli animali e alla filosofia di Almo Nature che cerca di essere come i cani e i gatti che nutre.
Oliviero Toscani»


Ora, vabbè l'immagine, vabbè l'arte, vabbè la modernità, vabbè l'originalità, vabbè il messaggio, vabbè l'impatto, vabbè tutto quello che volete (che cosa volete?), ma a quanto ne so io dei vostri animali domestici, ci sono anche cani e gatti brutti e vecchi e spelacchiati e strabici e storti e... imperfetti. E non per questo non sono degni dell'amore di cui parla l'amico Oliviero. Per cui, tirando le somme, a me sembra il solito modo astuto per far vedere il solito paio di belle.
Tette.

sabato 12 giugno 2010

Autosondaggio (artistico/logistico/estetico/filosofico/ergonomico/emotivo)

Visti i nuovi strumenti messi a disposizione da Blogger, come avrete notato (ma l'avete notato?!) ho aggiornato un po' la grafica del blog, adottando uno sfondo ad hoc del mitico Kees Veenenbos, artista che realizza dei rendering spaziali, in particolare di Marte, davvero straordinari, e che me ne ha gentilmente concesso l'uso. È chiaro però che da un lato c'è l'estetica e la piacevolezza dell'occhio, ma dall'altro ci sono la fruibilità, il comfort e tutto quanto il resto. So per esempio che alcuni non amano il testo chiaro su sfondo scuro, ché - dicono - gli si tatua sulla retina e non va più via nemmeno sfregando col sapone di marsiglia. Ma ci possono anche essere altri fattori grafici che incidono sul vostro gradimento, che magari dipendono dai colori, dai tipi di carattere, dal layout, e che sono condizionati anche dalla grandezza degli schermi utilizzati o dai dispositivi (PC?, netbook?, iPhone?, iPad? ecc.).

Dunque chiedo umilmente le vostre opinioni di terrestri. Che ne pensate del nuovo look de Il grande marziano? Lo vedete bene? Avete delle osservazioni o dei commenti da fare? Sentitevi liberi di criticare, consigliare, approvare, cazziare, sottolineare, obiettare, evidenziare, chiedere, suggerire, mazzolare...

Grazie in anticipo.

venerdì 11 giugno 2010

Le vie del web sono infinite

So che questo tipo di post lo fanno in molti, anche con una certa regolarità, e non voglio essere tacciato di plagio o di mancanza di originalità, quindi perdonatemi, ma questa volta non posso esimermi dal condividere con voi la faccenda. È troppo esilarante. Insomma, chi per il suo sito ha un abbonamento tipo Shinystat sa di poter vedere quali parole chiave vengono utilizzate sui motori di ricerca per raggiungere il suo sito. E in effetti è uno sport piuttosto divertente andare ogni tanto a sbirciare, perché spesso si trovano le cose più impensate e divertenti, senza contare i connotati da studio antropologico mica da ridere che ci sono dietro.

Comunque, ogni tanto anch'io do un'occhiata a che razza di parole chiave hanno portato gli utenti a Il grande marziano. Naturalmente compare spesso nelle ricerche la parola "sesso" o "porno", a dispetto del fatto che nel blog in effetti ricorrano pochissimo. Per contro sorprende che un post del 24 marzo (la parodia della puntata di Ulisse sui gemelli a cura di Alberto Angela) ancora a giugno continui a macinare ricercatori e dunque estimatori, segno che Alberto Angela tira (quasi) come Rocco Siffredi.

Ma l'8 giugno dev'esserci stata qualche congiunzione astrale particolarmente favorevole di cui non sono stato informato, perché prima è capitato che qualcuno su Google abbia digitato:
"porni italiani che dinno parolaccie durante il sesso"
(letterale, giuro!)
e anche
"pornopople"
(prego?!)
e sia atterrato chissà come su Il grande marziano.

Poi lo stesso giorno, per giungere qui su Marte un anonimo utente, cui va tutto il mio plauso, ha digitato:
"berlusconi in tenuta da marziano"
PS Se non ci credete, guardate lo screenshot.

mercoledì 9 giugno 2010

Avevo una fabbrica e non lo sapevo

Non è che i segnali ci mettano poi molto ad arrivare su Marte alla velocità della luce, una ventina di minuti nella peggiore delle ipotesi. E quindi anche qui ci capita - ahinoi - di imbatterci nelle vostre pubblicità. Difatti sono alcuni giorni che ce n'è una che martella anche noi e ci ha colpito parecchio, per cui ne voglio parlare. È quella, per intendersi, della Fabbrica Italia, quella col bel bambino tenero tenero che deve addormentarsi in bracci'a'ppapà, che a uno gli viene da dire: ma che razza di pubblicità è questa? Ebbene, se avete avuto la pazienza di arrivare in fondo, avrete capito che è un modo elegante che la Fiat ha escogitato per dire agli italiani: «Vi prego dateci una mano: comprate automobili italiane». Forse non dice proprio così, ma il sottotesto è questo.

Ora, lasciate che vi esprima un paio di perplessità. La prima è relativa al fatto che la fabbrica appartenga davvero "a tutti noi" come dice lo slogan. Insomma, già questa mi sembra una bella presa per il culo, scusate la metafora. Voglio dire, è chiaro che la fabbrica non appartiene a tutti gli italiani. La fabbrica appartiene innanzitutto agli azionisti, ciascuno in ragione della quota in suo possesso. E qui mi direte: grazie tante, ovvio! In secondo luogo, la fabbrica può appartenere, almeno idealmente, a chi ci spilla sopra sangue e sudore, turni di giorno e turni di notte, catene di montaggio, infortuni, una vita intera per un pugno di lire al mese, e il rischio continuo che la testa voli via al primo refolo di vento, tra casse integrazioni e licenziamenti sempre in agguato come uno spettro dietro l'angolo.

La seconda perplessità è relativa al messaggio e al suo scopo. Cioè, tu, perché sei italiano, solo per il tuo status di cittadino, dovresti comprare un'automobile del gruppo Fiat, per sostenere questo "ambizioso" piano industriale, perché in un certo senso (quale?) il rilancio dell'Italia - e quindi di tutti gli italiani - passerebbe attraverso il rilancio della Fiat? È questo che vogliono dire? A parte il surrealismo protezionista del concetto in sé, ma dove mi va a finire il famoso libero mercato? E la concorrenza? E tutte le elementari considerazioni che ciascun consumatore legittimamente fa quando è in procinto di comprarsi un auto, tipo la comparazione dei prezzi, delle prestazioni, dell'estetica, dell'affidabilità, dei consumi, del service ecc.?

In altre parole, secondo gli illuminati manager Fiat (ma chi? Lapo?), gli italiani dovrebbero lasciar perdere tutto questo per il bene... di chi? della Fiat stessa? O in altre parole chiedono un'offerta agli italiani per salvare i loro concittadini operai, di cui peraltro - almeno a sentire i sindacati - non si sono fatti troppi problemi a tagliare le teste, Termini Imerese docet? Insomma, non risulta che storicamente ci sia stato un italiano ad aver chiesto per favore alla Famiglia Agnelli di costruire automobili e di diventarci ricchi. La Fiat è un'impresa privata e come tale se la deve cavare, facendo le sue scelte, prendendosi le sue responsabilità, eccetera eccetera. Il solo fatto di impiegare migliaia di persone non può contribuire a farla diventare una cosa pubblica. Quindi quello che mi viene da dire da quassù è "ar-ran-gia-te-vi!", fate dei buoni prodotti, belli e affidabili, siate competitivi coi prezzi, implementate strategie di marketing e di vendita accattivanti e vedrete che il mercato vi premierà. Ma non supplicate l'indulgenza e la condiscendenza dei consumatori. Altrimenti siate onesti fino in fondo e l'anno prossimo chiedete direttamente una firma sull'8x1000.

Tuttavia ripensandoci a mente più fredda, forse effettivamente hanno ragione. Le fabbriche appartengono davvero anche agli italiani, perché Marchionne & C. hanno finalmente riconosciuto tutte le agevolazioni che il Governo nel corso dei decenni ha concesso alla Fiat, aiuti che quindi provenivano dalle tasche dei contribuenti, i quali perciò è come se avessero comprato nel corso del tempo tanti piccoli pezzettini di Fiat. Certo che a 'sto punto allora bisognerebbe che fossero riconosciuti almeno anche dei dividendi, no? Se loro vogliono che gli italiani comprino automobili italiane, dovrebbero riservare agli italiani, quali comproprietari della Fabbrica, il classico trattamento riservato ai soci, ai padroni, ai dipendenti ecc. Chessò, tipo uno sconto del 40%. Vi pare troppo? Ma in fondo che cosa cavolo me ne frega a me? Tanto non potrei usufruirne.

lunedì 7 giugno 2010

Storia di un mostro rosa

C'è un'unica musica proveniente dal vostro pianeta che abbia mai avuto successo qui su Marte e - a dire il vero - anche in tutti gli altri territori abitati di questa galassia (delle altre non so). Quella dei Pink Floyd. Perché la musica dei Pink Floyd non è terrestre, ma non è neanche marziana o propria di un altro luogo. La musica dei Pink Floyd è di nessundove, perché proviene direttamente dal tessuto primordiale dell'universo. Non so voi, ma quando mi lascio avvolgere e trasportare dalla musica dei Pink Floyd, ho una percezione archetipica di esattezza e necessità, come se quelle note e quelle atmosfere fossero in realtà i corrispettivi sonori di vibrazioni o energie preesistenti in una qualche forma extradimensionale e i Pink Floyd abbiano fatto soltanto da medium per portarle alla luce e dare loro una forma fruibile. A volte si dice che questo è il vero scopo dell'Arte. Dite che sono un tantino troppo lisergico?

Naturalmente in fondo è solo musica, e questa è (forse) solo mitologia. Ma che cos'è che ha contribuito a crearla? Una musica che non ha eguali e quando l'ascolti sembra comunque scritta ieri? Certo, quella senza dubbio. Il fascino di una generazione soggiogata, ma anche "risvegliata" dalle esperienze psichedeliche? Probabile che anche questo in qualche modo c'entri. Ma prima d'ogni altra cosa, c'è l'anima del mostro rosa e il suo legame indissolubile con la triste sorte di quel genio arcano di Syd Barrett, mente originaria e originale, tenera ed eccentrica, geniale e gentile, misteriosa e schizofrenica dei primissimi Pink Floyd, il Pazzo Diamante che fu sostituito da David Gilmour (nientemeno) quando l'LSD aveva fatto terra bruciata della sua mente, rendendolo inaffidabile come autore e improponibile come musicista in concerto.



Un rapporto, quello tra Syd e gli altri due amici, Waters e Gilmour, amorevole, ma anche difficile e tormentato, frutto di adorazione, ma anche di egoismi, di aiuto, come pure di prevaricazioni e dipendenza, di sicuro un legame mai davvero risolto, anche a distanza di molti anni dalla separazione, bensì lasciato come "appeso", destinato a ritornare come un'ossessione appiccicosa, come se ci fosse sempre stato qualcosa a tenerli legati insieme, loro tre, Syd, Roger e Dave , a dispetto di tutte le traumatiche divisioni, gli scontri e i dolori che li hanno lacerati nell'arco di quasi un ventennio. E in mezzo a questo album epici, come se la loro musica avesse sempre avuto un unico principio condiviso, un motore primo chiamato Syd.

Di tutto questo e di molto altro ancora parla Michele Mari nel suo Rosso Floyd. Un viaggio - lui la chiama giustamente istruttoria (ma John Grisham, giuro, non c'entra per niente) - alle radici di quella leggenda, per raccontarla e cercare di capirla, sviscerarla e trovare un colpevole, mescolando realtà e finzione, aneddoti e biografie, suggestioni e fantasie, costruita dando voce, uno per volta, cominciando proprio da quei Pink Anderson e Floyd Council che - ciascuno per metà - diedero il nome definitivo alla band, a tutti quelli che a vario titolo nel corso della storia hanno avuto a che fare più o meno direttamente con loro, chiamati dunque a testimoniare il loro punto di vista e il loro rapporto col mito. Dai protagonisti stessi, ai musicisti che hanno suonato con loro, anche una sola volta (e magari hanno perso l'occasione della vita), alle coriste, compresa la Clare Torry, il cui leggendario vocalizzo di The Great Gig in the Sky - il pezzo forse più famoso e riconoscibile di The Dark Side Of The Moon - fu da lei improvvisato ed eseguito in studio per la modica cifra di 30 sterline («Ãˆ stato bello, Clare, arrivederci e grazie.»), ai tecnici, ai familiari, ai produttori, fino ai registi come Alan Parker che lavorò con loro in The Wall e Stanley Kubrick, che invece con loro non lavorò mai, anche se avrebbe voluto, ma che in qualche modo di vendicò. Con una scrittura forte ed evocativa, Mari scava dentro le vite di quattro uomini per trovarci il baratro e il sublime, la carne e l'infinito, in un libro che un vero floydiano non dovrebbe perdersi, ma anche per chi vuole scoprire uno scrittore che io stesso - confesso - non conoscevo, ma che mi ha lasciato davvero con le spalle al Muro.

La citazione: «Syd è impazzito perché era sempre un passo più avanti, e non essere mai in sintonia con gli altri fa di te un naufrago su uno scoglio, o un astronauta perso nello spazio. Qualsiasi cosa facesse o pensasse era sempre all'avanguardia, sempre: a un certo punto si trovò così in là che intorno a lui non c'era più nulla, e in quel vuoto precipitò.»

Rosso Floyd, di Michele Mari (Einaudi)

giovedì 3 giugno 2010

Cavie marziane

A volte, lo confesso, mi fate tenerezza, voi terrestri. E questa è una di quelle volte. Insomma, non avete proprio niente di meglio da fare che prendere sei persone - tra cui anche un italiano - e rinchiuderle per 500 giorni dentro una scatolona al fine di simulare un viaggio dalle mie parti? Sì, capisco, l'intento dell'esperimento è quello di osservare le interazioni, i comportamenti e le reazioni di un ipotetico equipaggio di una finta-astronave a una vita da topolini, reclusi e isolati durante un viaggio lungo e duro quale sarebbe quello verso Marte. Eppure, vi confesso, davvero non ne capisco il senso. Al massimo mi viene da pensare che c'abbiate un po' l'ossessione di Marte, voi terrestri. Siete forse invidiosi di me?

Ebbene, nonostante ciò, questo è quello che inizia proprio oggi, nei dintorni di Mosca, e che va sotto il nome di Mars 500, un progetto nato da una collaborazione tra il Russian Institute for Biomedical Problems (IBMP), la Russian Federal Space Agency (Roscosmos) e la European Space Agency (ESA). Ora, premetto che non voglio certo affermare che tutto ciò non servirà a un accidente. Probabilmente potrete capire qualcosa della psicologia umana, della biologia, dell'adattamento, dei rapporti sociali e di molte altre cose, ma per il resto il mio umile parere è: roba buona giusto a spillar quattrini a favore della ricerca e dar così da mangiare a un po' di persone per un paio d'anni. Anche perché, inutile nasconderlo, questa simulazione va presa per quella che è, ovvero per quello che non è. Gravità a parte, infatti, questa situazione creata ad arte non potrà mai mettere in campo le reali condizioni psicologiche di una spedizione del genere.


Quello che forse ti sfugge è che quando tu sei su un'astronave in viaggio per tre, quattro, cinque, sei mesi (all'andata, più altrettanti al ritorno), tu, caro il mio astronauta, sei davvero solo. Fuori dagli oblò c'è davvero il vuoto. E tu lo sai. Mica c'è la grigia periferia moscovita. Nessuno ti viene a salvare, quando sei lassù. Nessuno preme il pulsante di emergenza. Non puoi mettere la freccia, fare inversione e tornare indietro, se qualcosa non va. E questo, sta' sicuro, fa la differenza. Fuori da quella sottile lamiera isolata della scatoletta che vi contiene come sardine, ci sono sul serio milioni e milioni di chilometri di nulla, milioni di chilometri prima del primo pronto soccorso, della prima spiaggia, del primo letto a due piazze, del primo pub, del primo cesso come si deve. Insomma, quello che vedi fuori è davvero il nero orlo sull'infinito. E basta un niente a trasformarlo in un abisso.

Il mio umile parere su tutta questa faccenda, è che per quanto vi sforziate di accarezzare certi sogni, nobili e alti (come, appunto, arrivare su Marte), non siete capaci di trovare abbastanza stimoli. L'esplorazione e la voglia di Ulisse di "inseguir virtute e canoscenza" non bastano, a voi umani, per catalizzare le energie che vi servono a fare certi salti. Vi serve l'economia. O almeno avete bisogno della politica. Senza quest'ultima e la relativa spinta della contrapposizione USA-URSS, sareste forse riusciti ad andare sulla Luna? La Luna, dico, che astronomicamente parlando è dietro l'angolo. Figuriamoci Marte, il cui sforzo richiesto è cento volte superiore. Quindi per favore, umano, se lo vuoi fare, se vuoi venirmi a trovare, non gingillarti e fa' sul serio. Progetta nuovi veicoli spaziali, manda gente nello spazio, quello vero, torna sulla Luna, installaci una base. Non trastullarti con le case delle bambole. Da parte mia ti prometto che quando arriverai ti farò trovare un piatto caldo di spaghetti marziani e una bella stanza scavata nella roccia delle Valles Marineris. Altrimenti abbi il coraggio di guardarti in faccia senza stare lì perdere tempo e a crogiolarti nell'illusione per una cosa che mai raggiungerai, perché, scusa la franchezza, ma non hai le palle per farla.

Credits: in alto Marte (ESA/Hubble); al centro la struttura di isolamento Mars 500 presso l'Institute of Biomedical Problems vicino a Mosca (ESA/IBMP); in basso i candidati a partecipare alla simulazione (ESA).

martedì 1 giugno 2010

Parole di manzo

I giornali si nutrono di parole. Le affettano, le cuociono (bollite, fritte, alla griglia), poi le mangiano, le digeriscono e infine le rilasciano nell'ambiente, spesso senza alcuna concezione ecologica, sempre sotto una forma diversa dall'originale. Per cui è curioso notare come d'un tratto certe nuove espressioni salgano alla ribalta grazie alla loro efficacia e alla forza del contesto in cui vengono usate. L'esempio tipico è quello di appiccicare il suffisso -opoli a qualsiasi tipo di intrallazzo tra affari e politica (tangentopoli, calciopoli, mensopoli, ecc.), praticamente l'omologo del -gate americano (watergate, sexgate, irangate, ecc.). Per cui presto o tardi ci ritroveremo anche una spettacolopoli, berlusconopoli, ciclismopoli, sanitopoli, giornalopoli, vaticanopoli, ecc. In questi ultimi giorni ho notato però un'altra locuzione che, potete giurarci, sta scalando la classifica dei modi di dire propri delle cronache. In effetti già un timido tentativo era stato fatto all'epoca del G8 del 2001, ma in quelle circostanze certi aspetti erano naturalmente da minimizzare, e quindi la "parola" fu presto messa in freezer in attesa di tempi migliori.

Ed eccola quindi ricomparire. Il contesto è diverso, ma la sua forza è immutata. E c'è da credere che stavolta avrà migliore fortuna perché utilizzata in un ambito prettamente metaforico, contrariamente alla situazione del G8 in cui la metafora, purtroppo, c'entrava poco o nulla. Insomma è spuntata in Italia la "macelleria sociale", cugina figurativa della "macelleria messicana". E già i linguisti prevedono per lei almeno un lustro di grandi successi. A tale proposito il governo si è già annodato il grembiule dietro la schiena e sta affilando le mannaie. Sindacati e opposizione hanno in mano il numerino per farsi servire. E i lavoratori dipendenti sono di là, nella stanza frigo, appesi a testa in giù come tanti quarti di bue. Le uniche speranze dunque si possono ormai riporre nella AssoCarni. L'Associazione Nazionale Macellai ha già infatti emesso un comunicato ufficiale in cui esprime profondo rincrescimento per la deriva lessicale, in quanto la nuova espressione è "altamente diffamatoria" nei confronti dei loro associati e della loro onesta, secolare e professionale attività rivolta al bene dei consumatori e che a causa di questa campagna denigratoria si sta già registrando un più che sensibile calo nelle vendite di bistecche. L'Associazione si è riservata dunque di intraprendere ogni azione legale utile a tutela dei propri iscritti. Quello che però forse ignorano, è che Tremonti è vegetariano.

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