Punti di vista da un altro pianeta

venerdì 30 settembre 2011

mercoledì 28 settembre 2011

Due puntini sulle "i" dei neutrini

Già di norma non si può dire che i media generalisti eccellano nell'accuratezza delle notizie, ma quando parlano di scienza bisogna proprio andarci piano a mandare giù tutto quello che sbrodolano. Del resto capita una volta ogni sessanta o settant'anni, ovvero meno di una volta nella vita professionale di un giornalista, che una notizia di fisica teorica finisca in prima pagina. Quindi per certi versi li si può anche scusare. Ebbene è accaduto venerdì scorso, con la faccenda dei neutrini ultraluminali e, avendone lette e sentite di ogni genere (Gelmini a parte), mi sento trascinato per le antenne nel voler dare qualche breve precisazione a riguardo, pur restando sempre in territorio "divulgativo" (per cui se qualche fisico passasse di qua e volesse precisare ulteriormente o smentire qualche inesattezza che avessi detto, è invitato a farlo). Abbiate pazienza, noi marziani siamo fatti così.

Dunque partiamo dalla faccenda della velocità della luce (d'ora in avanti chiamata "c"). Secondo la Teoria della Relatività Speciale di Einstein (1905), c è una velocità limite, ovvero insuperabile. Le equazioni (e la sperimentazione, almeno fino a prima dell'annunciio della scorsa settimana) attestano che a mano a mano che un oggetto accelera e la sua velocità "tende a c", la sua massa aumenta e tendere a diventare infinita, e il suo tempo - rispetto ad altri osservatori in quiete - rallenta fino a tendere ad arrestarsi. Per chi mastica un po' di matematica superiore sa che proprio il verbo "tendere" è qualcosa di legato al concetto di "limite", ovvero di una situazione cui ci si può avvicinare per sempre, ma che non si raggiunge mai. Come una singolarità, insomma.

Il fatto che la velocità della luce sia massima è confermato anche dal fatto che i fotoni, le particelle responsabili della radiazione elettromagnetica, ovvero della luce (che sia visibile o meno dipende dalla lunghezza d'onda) hanno massa nulla e questo fa sì che non siano soggette alla dilatazione relativistica della massa che impedirebbe loro di giungere al limite massimo di velocità.

Se anche i neutrini fossero stati privi di massa, come si credeva fino a poco tempo fa, la scoperta avrebbe anche potuto rientrare nello schema di Einstein, spostando la velocità limite dalla velocità della luce alla velocità dei neutrini, anche se si sarebbe dovuto spiegare perché il fotone si spostasse leggermente più piano. Ma pare che il neutrino possieda comunque una pur piccola massa, che dunque - se le misure dell'esperimento Opera fossero confermate dalla comunità internazionale - non sarebbe soggetta agli effetti relativistici. E questo sarebbe il primo fallimento sperimentale della relatività di Einstein da quasi cento anni a questa parte!

La Teoria della Relatività non dice altro a tale riguardo (in realtà dice molto altro su molte altre cose): la velocità della luce è considerata una sorta di spartiacque. Quello che sta di qua non può passare di là. Quindi il concetto espresso dai giornali di "superata" la velocità della luce non è appropriato. Non si deve pensare che ci sia stato lo sfondamento di un muro dovuto a un accelerazione progressiva, come il superamento della velocità del suono da parte degli aerei, bensì la creazione di particelle che già viaggiavano a quella velocità. D'altro canto sempre la teoria di Einstein non esclude a priori l'esistenza di qualcosa che sta di là, ovvero che va più veloce della luce, che però - in tal caso - in linea teorica non potrebbe passare di qua. O forse sì?

Quel che è certo è che, se confermati, questi risultati darebbero un ulteriore indizio che l'Universo è assai più complesso e misterioso di quello che si creda (o ci si illuda di credere), e che contrariamente a quello che forse pensava, l'uomo (ma anche il marziano) è ben lontano da avere compreso non solo l'essenza della sua Natura, ma anche individuato gli impalpabili contorni della sua ombra.

domenica 25 settembre 2011

Tunnel Gelmini, tutta la verità

Tecnicamente, la dichiarazione di ieri del Ministro Gelmini a proposito del fantomatico tunnel neutrinico sulla rotta Ginevra-Assergi non è una gaffe, come un po' dovunque è stata definita. Non è una sbadataggine, non è una distrazione, non è dire "Ci vediamo domani" a un cieco. D'altronde non può essere nemmeno una menzogna manipolatoria, ovvero una frase buttata lì per gonfiare il petto e strizzare l'occhio agli elettori, dicendo: "Ma guarda quanto siamo bravi noi!"

L'idiozia, perché di questo si tratta, scritta evidentemente da qualcuno dello staff del ministro, è troppo grossa ed evidente per essere una delle cose di cui sopra. Non serve certo un esperto di fisica nucleare, un ingegnere civile, o un geologo del CNR per dire che un tunnel del genere non solo non esiste, ma non può esistere, perché farebbe impallidire la TAV, il tunnel sotto la manica, le Piramidi, la Grande Muraglia, il ponte sullo Stretto di Messina e perfino la Salerno-Reggio Calabria. Altro che Grandi Opere! A nessuno, ma proprio a nessuno (in buona fede, ovvero da sobrio) verrebbe mai in mente di affermare una cosa del genere.

Eppure, sembra impossibile, ma è stato scritto davvero. E perfino in forma "ufficiale" a nome di un Ministro della Repubblica. Ebbene, tralasciando la possibilità che Mariastella abbia nel suo staff un sabotatore che si diverte a farle fare figure di merda davanti al paese (e non solo), quello che resta è che lo staff del Ministero sia contrassegnato da un incomparabile livello di incompetenza (peraltro già dimostrato di recente in occasione della faccenda della grattachecca), probabilmente più o meno lo stesso livello di incompetenza del Governo, un (bassissimo) livello figlio del Porcellum, e dei suoi nepotismi, clientelismi e, ultimo ma tutt'altro che ultimo in ordine di importanza, bocchinismi.

Un livello abbassato ulteriormente dalla dichiarazione successiva di Mariastella, che invece di limitarsi a scusarsi pubblicamente per la fesseria atomica e, non aggiungendo altro, andare a fare il mazzo al suo staff, come avrebbe fatto qualsiasi capo responsabile e autorevole degno di questo nome, si è affrettata a sminuire, ha parlato di "polemica ridicola" e che era "ovvio" che si trattava del Tunnel (ovvero l'acceleratore di particelle) del CERN in cui i neutrini vengono creati e "sparati" verso il Gran Sasso. A me non pare così ovvio, per lo meno a fronte di cotanta palese inettitudine. E se poi ci deve proprio essere del ridicolo, è solo quello di cui si è trovata ricoperta lei.

Per il resto non trovo alcun motivo di ironia in questa faccenda. L'ironia è fuori luogo perché fa il gioco del potere, contribuendo a smorzare la percezione della gravità della situazione, liquidandola (solo) come una stupidaggine surreale, ancorché l'ennesima. È una stupidaggine, certo, ma dà un'ulteriore prova di misura, la cui unità per misurarla è proprio quella del livello subatomico, confermando l'unico tunnel che esiste è quello (senza fine?) in cui si è infilato il Paese. Se vi piace, chiamatelo pure Tunnel Gelmini.

sabato 24 settembre 2011

La macchina del fango arriva su Marte

Prendetelo come un doveroso Comunicato Stampa. Libero ha confermato, una volta di più, la sua naturale tendenza alla menzogna e alla denigrazione più spudorata. Mi riferisco al titolo di prima pagina con cui il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro è uscito in edicola ieri, parlando del Ministro Tremonti come di "Un marziano nel PdL". Ebbene, lasciate che vi dia la conferma uno che in materia ne sa senza dubbio più di Belpietro: qui Tremonti non s'è mai visto.

Inoltre, visto il tono palesemente denigratorio dell'articolo, ovvero che l'assenza di Tremonti alla votazione per il salvataggio dell'ex-braccio destro Milanese viene dipinta come un vergognoso tradimento nei confronti dell'intero partito, questo automaticamente rende l'attributo di "marziano" non solo l'indicazione di netta divisione (perfino di natura razziale!) rispetto al resto dei componenti del partito, ma anche il sinonimo di un individuo altamente sleale e inaffidabile. Un fedifrago figlio di puttana, insomma. E converrete con me che questo non è proprio giocare pulito nei confronti di noi (pacifici) marziani.

Tuttavia, chi, come voi, conosce un marziano (ancorché per interposto blog), sa che invece in realtà è proprio tutto il contrario e, in ultima analisi, l'essenza marziana di Tremonti viene forse - e sottolineo forse - tradotta da quell'unico e ultimo baluardo di decenza (o solo di responsabilità) all'interno di quell'accozzaglia di abusi di potere e di irresponsabili ed egoistiche meschinità. Nel caso, questo potrebbe significare che forse, mai come questa volta, Libero si è avvicinato (per sbaglio) alla verità.

venerdì 23 settembre 2011

«Da grande farò la escort!»

Forse il marketing pubblicitario è la prima cartina al tornasole dei cambiamenti della società. Niente oggigiorno, infatti, riesce a tastare il polso del sentire comune con altrettanta acutezza e - soprattutto - dinamica rapidità, restituendone in tempo quasi reale messaggi che, proprio per il motivo per cui nascono, sono lo specchio di ciò verso cui sono rivolti. Nella fattispecie mi riferisco all'ultimissima campagna di un nuovo marchio di abbigliamento femminile, Fracomina, che sta tempestando le strade italiane in questi giorni con una serie di poster dai messaggi piuttosto interessanti, nel loro essere derivati direttamente dall'attualità italiana degli ultimi mesi, al punto da poter essere definiti prodotti di instant marketing, mutuando l'espressione dall'omologo editoriale instant book.

Il primo messaggio è il seguente: "Sono Monica, lavoro in politica e non vado a letto con nessuno". Il riferimento all'attualità è evidente e il messaggio lo è altrettanto. Si tratta di una ragazza determinata, ambiziosa che non accetta compromessi, che non si vende, che non fa della propria avvenenza una merce di scambio e che dunque è capace di realizzarsi e autodeterminarsi mediante le sue capacità (ma evidentemente non sessuali). Il fatto che dichiari di non andare a letto con nessuno può essere spiacevole per il fidanzato, ma si può assumere che i suoi impegni di lavoro siano tali da renderle impossibile qualsiasi coinvolgimento sessuale con chichessia. Contenta lei... Comunque, ancorché non particolarmente creativo, il messaggio ci sta.

Poi però, tra gli altri, si trova anche questo: "Sono Maddalena, faccio la escort e non sono una ragazza facile". E questo suona decisamente più ambiguo rispetto al messaggio che trasmette. Dunque innanzitutto la ragazza in questione rivendica evidentemente il diritto di esercitare il mestiere di escort. E qui, tra l'altro, si sente aleggiare l'eco delle parole rilasciate nella sua intervista da Terry De Nicolò. L'aggiunta poi, in termini praticamente antitetici, del fatto che non è "una ragazza facile", può fare pensare che o 1) chiede un sacco di soldi, per cui solo in pochi se la possono permettere, o 2) si assume il diritto di scegliere i suoi clienti, come peraltro le escort possono fare in quanto il loro mestiere non è dettato dalla disperazione o dalla coercizione, bensì frutto di una scelta consapevole e, spesso, opportunistica.

Un messaggio come questo possiede dunque una duplice valenza. Da un lato è pensabile si possa rivolgere a un pubblico che si identifica con il contenuto del messaggio, che dunque non ci vede nulla di disdicevole e che anzi lo condivide. E pertanto si può pensare che, statisticamente, il pubblicitario preveda che questo sia ormai un messaggio radicato nelle coscienze di coloro verso cui si orienta. Dall'altro è pensabile che il messaggio possa influenzare una più o meno vasta categoria di persone che finisca così per fare proprio il concetto del messaggio e che dunque lo assimili come cosa normale, facendolo corrispondere a una consuetudine che in questo modo abdica a ogni possibile eventuale aspetto morale collegato. È chiaro che, in ultima alternativa, il pubblicitario potrebbe affermare che non è il caso di fare tanto rumore per nulla e che si tratta solo di un messaggio provocatorio. Ma quale sarà secondo voi, il seme del messaggio che finirà per attecchire presso il (grande) pubblico?

mercoledì 21 settembre 2011

Gli extraterrestri ai tempi della crisi

Non voglio parlare di Super 8. Cioè, non tanto dei meriti o demeriti strettamente cinematografici o citazionistici, rispetto alla misura in cui J.J. Abrams ha voluto rendere omaggio al suo mentore (e produttore) Steven Spielberg e alla magia del cinema in generale. Se n'è sentito parlare un po' dappertutto e alcuni aspetti sono talmente evidenti da essere stati trasfigurati in luoghi quasi comuni (e questo - a mio avviso - non è stato un bene), come - e qui cominciano gli spoiler, quindi siete avvertiti - i ragazzini a metà strada tra degli Elliott e dei Goonies, le biciclette onnipresenti, la famiglia dell'amico (la madre è il clone della mamma di Elliott), i militari che non ci fanno mai una bella figura e, infine, l'extraterrestre bloccato sulla Terra che vuole (solo) tornare a casa. Quindi non voglio neanche dire se il film funziona, se è bello, se emoziona, tranne limitarmi a osservare (ma proprio perché non posso farne a meno) la straordinaria bravura di Elle Fanning che praticamente da sola tiene in piedi tutte le scene forti del film e che riesce a rivaleggiare con la più famosa (ma lo sarà ancora dopo questo film?) sorella Dakota.

Invece, forse perché date le circostanze - sapete com' è - mi sento chiamato in causa, voglio concentrarmi sull'extraterrestre, ovvero su come è cambiata a distanza di un quarto di secolo la visione di un alieno messo praticamente nella medesima, identica situazione. Insomma c'è sempre 'sta storia degli extraterrestri che, per un verso o per l'altro, restano bloccati loro malgrado sulla Terra. Da un lato E.T. era un alieno integralmente buono, incapace di qualsiasi sentimento negativo, e grazie all'amichetto Elliott riusciva, non solo a sfuggire ai soliti governativi (bastardi) che volevano acchiapparlo per studiarlo, ma anche a ritrovare la strada verso casa. E.T. insomma è il rappresentante ideale dell'innocenza di un mondo, qual è quello di un bambino, il cui rifiuto di seguire l'alieno alla fine della pellicola è l'ammissione implicita di non poter evitare la corruzione dalla società degli adulti. E in questo senso E.T. è un autentico alieno.

D'altro canto, all'alieno di Super 8 non viene attribuito un nome (e questo vuole già dire qualcosa), non è affatto animato da buoni sentimenti, ma nemmeno è totalmente cattivo come gli invasori di Independence Day o i marziani [sospiro] di Mars Attacks. L'alieno di Super 8 è - di fatto - totalmente umano. Perché all'alieno di Super 8 girano tremendamente i coglioni di essere stato imprigionato per anni e anni senza che dunque gli sia stato concesso di tornare a casa solo per il capriccio di chi voleva mettere sotto il microscopio lui e la sua tecnologia. E chi di voi, nelle medesime circostanze, non reagirebbe come fa lui? L'alieno di Super 8 dunque non ha più niente di ideale, non è uno stereotipo, né in bene, né in male, in fondo non è nemmeno un alieno, tranne per i suoi vaghi poteri telepatici, messi lì giusto per risolvere narrativamente i problemi di comunicazione con gli umani (e salvare la pelle a Joe). Al contrario è una creatura semplicemente reale e, nella misura in cui è una creazione umana, è creata a immagine e somiglianza del suo creatore. E.T. dunque era forse quello che l'uomo vorrebbe essere, ma non può essere se non per un breve periodo della sua infanzia. L'alieno di Super 8 è invece come l'uomo vede se stesso e il proprio simile, né più né meno.

Ma c'è qualcosa di più, perché in genere certe visioni sono anche figlie dei loro tempi. Che dire dunque dei periodi storici in cui i due alieni sono stati concepiti? L'E.T. originale è un prodotto degli anni '80, periodo che vede la fine dei tormenti degli anni '70 e consolida una stagione, ancorché breve, di positività e benessere economico crescente, che si traducono nell'ottimismo del famoso edonismo reaganiano. Basti vedere anche che lo stile e i messaggi impliciti delle serie TV che allora la facevano da padrona sul piccolo schermo. Oggi invece le cose sono cambiate. Oggi è l'epoca dei vampiri, sfruttatori del prossimo, e dei cinici, promotori di se stessi. E anche l'alieno del 2011 è cambiato, perdendo qualsiasi connotato ideale. E' un alieno non pregiudizievolmente cattivo, ma tremendamente incazzato e disposto all'esercizio della violenza - ancorché non gratuita - pur di affermare i propri diritti fondamentali: quello di essere libero e quello di tornare a casa (e daje torto?). I tempi degli ideali sono scaduti e al contrario di Elliott, anche per colpa delle diverse circostanze in cui viene messo, a Joe Lamb non gliene frega un accidente dell'extraterrestre, il quale deve solo contare su se stesso per cavarsela. Non c'è uno scambio interrazziale significativo tra alieni e terrestri. E il piccolo Joe agisce solo per salvare la sua bella, come nella migliore tradizione fiabesca. Per il resto ognuno obbedisce al paradigma egoista del "Si salvi chi può", senza più la speranza in alcun tipo di utopia, ancorché accarezzata nel periodo della fanciullezza, e dunque anche solo per la sua esistenza effimera ma, essendo comunque "esistenza", potenzialmente recuperabile.

Attenzione, però, non voglio dire con questo che gli anni '80 siano stati migliori degli anni 2000. In fondo sono proprio gli anni '80 ad avere piantato i semi delle piante carnivore che vediamo oggi infestare le borse e i parlamenti occidentali e non solo. Ma la differenza è che, forse, negli anni '80, dentro gli occhioni di E.T. si poteva ancora intravedere riflesso un piccolo barlume di speranza nel futuro. Oggi quella speranza ve la siete venduta in cambio dei punti premio della COOP e, cinematograficamente, tutto ciò in cui potete confidare è nel fatto che gli alieni non tornino a farvi il culo una volta per tutte. Oppure che lo facciano veramente e non se ne parli più. Ma non chiedetelo a noi, noi veniamo sempre e solo in pace.

lunedì 19 settembre 2011

La seduzione di un mondo non pervenuto

Potete anche chiamarla nostalgia, se volete. O se vi piace mettermi tra quelli che se ne vanno in giro a lamentarsi col paraocchi e la smorfia perenne che gli arriccia le labbra, squittendo il classico «Sistavameglioquandosistavapeggio!», non vi biasimerò. Però ammetterete che c'era un senso di consolazione, quando una volta ti mettevi lì, davanti alla tv (in bianco e nero), col profumo del ragù che si arrampicava dai fornelli, e la voce dall'altoparlante che snocciolava una dopo l'altra, in ordine democraticamente alfabetico, le temperature dei capoluoghi di regione. Andavano via, lisce, una dopo l'altra, come piccoli sorsi di camomilla, finché succedeva che a un certo punto (e in genere almeno una volta potevate giurarci che succedeva) diceva qualcosa tipo: «Campobasso, non pervenuta». La voce aveva la stessa tonalità delle altre, e tu non ci facevi granché caso, benché il mistero che restava ad aleggiare intorno alla temperatura di Campobasso lì per lì era capace di destare a volte persino qualche fascino pseudoturistico.

Non so se all'epoca a molti venisse da chiedersi come mai la temperatura di Campobasso fosse non-pervenuta. Del resto era un dato di fatto, come Andreotti, qualcosa di cui si era consapevoli della presenza a prescindere, o come qualcosa che si era consapevoli poteva succedere in qualsiasi momento, come un'interruzione ovina delle trasmissioni. Ma senza dubbio consentiva la fantasticheria. Forse qualcuno in qualche stazione meteorologica in cima a un monte non aveva avuto tempo di sollevare la cornetta di un telefono per comunicare un numero in gradi centigradi alla RAI di Roma? Forse un albero si era abbattuto sui pali di legno? O forse il tizio si era addormentato, o si era storto una caviglia, o aveva fatto tardi alla posta, o le puntine del carburatore della sua Fiat 850 avevano dato forfait, o aveva il duplex occupato, o il suo piccione viaggiatore aveva perso la rotta, o mille altri ben validi motivi a prescindere dai quali, in ogni caso, non esisteva nessun altro modo (ma proprio nessun altro) per trovare un'alternativa e sapere 'sta cazzo di temperatura di Campobasso.

Ebbene, quell'"n.p." che compariva sul tabellone delle temperature era la cartina al tornasole della purezza del racconto della realtà attraverso il video, la conferma in filigrana della potenziale fallacità dell'informazione e dunque, implicitamente, una conferma di ammissione, (quasi) ingenua, forse a ben vedere illusoria (ma almeno solo in parte), di onestà. Era un'informazione che, pur essendo comunque assoggettabile alla manipolazione (volontaria o meno), come peraltro qualsiasi tipo di informazione che non sia di tipo matematico, viveva ancora dentro i contorni di una fisionomia non onnipotente, perché manifestando i suoi limiti non pretendeva di essere in grado di dire al mondo sempre la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. E anche se questo non era mai esplicito, e la reazione (passiva) dello spettatore di allora non può essere stata molto diversa da quella (passiva) dello spettatore di oggi, ovvero la tendenza innata e supina alla comodità della credenza, sembrava esserci ancora una sorta di garanzia che oltre un certo confine si poteva spingere solo l'immaginazione dello spettatore. Oggi a far svolazzare l'immaginazione dello spettatore ci pensa Nonno Nanni.

giovedì 15 settembre 2011

lunedì 12 settembre 2011

Silvio (not) Forever

Se nessuno può affermare di conoscere veramente il prossimo di cui può fare esperienza diretta, anche coloro con cui ci si ritrova in confidenza intima e quotidiana, l'esperienza mediata che facciamo con i personaggi pubblici, ovvero che conosciamo solo attraverso i canali dell'informazione, fa sì che il concetto di "conoscenza" assuma risvolti del tutto peculiari perché, proprio per il modo in cui (non) si entra in contatto con loro, nel bene e nel male costoro finiscono per far parte di una mitologia personale (e collettiva) influenzata sia dal carattere e dal tono delle informazioni che ci parlano di loro, sia dal modo soggettivo che noi singoli abbiamo di recepirle ed elaborarle. Si tratta dunque di una sorta di vero e proprio immaginario personale che, come tale, può corrispondere alla realtà solo in parte, variabile e minima. E questo vale per tutti i personaggi famosi, come cantanti, attori, calciatori e, dunque, anche politici.

Nel caso di Silvio Berlusconi, il fenomeno è ancora più accentuato per il suo modo pubblico di porsi e per le risorse che egli stesso usa scientemente per i suoi scopi di plagio e propaganda, e in generale per l'inflazione mediatica senza precedenti che lo coinvolge, quasi ininterrottamente, ormai da diciassette anni, sia da parte di chi lo adora, sia da parte di chi lo odia. Vie di mezzo, nel suo caso, si sa, non ce ne sono. Per questo sento di dover tributare un ringraziamento al film Silvio Forever, che ha contribuito, non tanto a cambiare in qualche modo la mia opinione assai radicata sul soggetto in questione, né a darmi qualche informazione fondamentale su di lui che già non sapessi, quanto piuttosto a togliere quella patina di mitologia mediatica con cui per forza di cose ci si ritrova a vedere uno come lui, se ci si limita a farsi cullare dalle correnti di superficie. Dunque confesso che è stato piacevole, alla fine del film, rendersi conto della restituzione della sua figura a una più prosaica realtà delle cose, e della riconsiderazione del suo personaggio per quello che veramente è: un (semplice) uomo.

Questo, naturalmente, non implica giustificazioni o assoluzioni di alcun genere nei suoi confronti, però mi ha fatto vedere l'entità-Berlusconi, il principio-Berlusconi, il costrutto-Berlusconi in un modo diverso, per certi aspetti più appropriato, se non addirittura più civile. D'altro canto sto anche cominciando a pensare che la citata piacevolezza di questo sentimento possa altresì essere legata all'evidenza della sua parabola discendente già in atto, peraltro propria di ogni (semplice) uomo, e al paradigma che ogni mausoleo è fatto per essere riempito.

venerdì 9 settembre 2011

E le chiameranno "bio-natiche"

Verrà un giorno in cui ragazze geneticamente modificate andranno dal chirurgo estetico per farsi impiantare un po' di cellulite sulle chiappe e sulle cosce altrimenti lisce e perfette come marmi michelangioleschi. Disperate per un DNA photoshoppato al concepimento senza il loro consenso, dunque privato della (sacrosanta) funzione di ritenzione idrica/lipidica, eserciti di femmine di tutte le età si ritroveranno a sfogliare riviste patinate in sale d'aspetto anonime, soprattutto a tarda primavera o a inizio estate, in attesa delle lunghe (e anche necessariamente un po' dolorose) sedute di trattamento. Ci sarà chi se le farà regalare per il suo compleanno, chi metterà con costanza gli spiccioli nel porcellino e perfino chi si sbatterà a fare un doppio lavoro per permettersi la tanto agognata pelle a buccia d'arancia.

Qualcuna particolarmente motivata, magari mossa da ambizioni di sfondamento nel mondo dello spettacolo, non esiterà a vendere il proprio corpo, a dispetto della propria perfezione, per raggiungere l'ambito obiettivo. E, tranne nel caso delle minorenni, per le quali avranno ancora voce in capitolo (o potranno ancora illudersi di averla), i genitori non potranno che restare a guardare e a chiedersi dove hanno sbagliato, per lo più senza capire che quello che le loro ragazze vorranno sarà solo la possibilità di apparire (e sentirsi) genuine e naturali. Sarà un giorno in cui il bisogno di verità avrà superato quello di bellezza. Ma sarà tutt'altro che una consolazione.

mercoledì 7 settembre 2011

IpnoticaMente!

Basta far credere di essere geni.
Basta far credere di essere poeti.
Basta far credere di essere scrittori.
Basta far credere di essere cantautori.
Basta far credere di essere fichi.
Basta far credere di essere politici.
Basta far credere di essere attori.
Basta far credere di essere giornalisti.
Basta far credere di essere stilisti.
Basta far credere di essere cuochi.
Basta far credere di essere pittori.
Basta far credere di essere esperti.
Basta far credere di essere blogger.
Basta far credere di avere successo.
Basta far credere.
Gli altri ci crederanno.
E tutto diventerà vero.

lunedì 5 settembre 2011

La mutanda e i suoi attributi

Dopo decenni di lotta per l'emancipazione, di foreste di pugni alzati a favore della parità dei sessi, di inviti all'autogestione degli uteri, di disposizioni ministeriali a promozione delle "pari opportunità", di apologie dell'autoerotismo digitale, e di proclami sulle quote rosa, tutto ciò (se ce ne fosse bisogno) è stato dimostrato vano da una semplice pubblicità, a testimonianza del potere della réclame, che spesso da sola può rivelare sulla società ben più di cento articoli di saggistica.

L'avrete vista anche voi, giacché tappezza con una certa pervicacia i muri delle città. Una (manco a dirlo) bellissima e molto giovane ragazza è ritratta mentre indossa un paio di boxer maschili di una superlativa marca di intimo. Nient'altro. Nessuno slogan. Solo lei, i boxer e la dicitura che fa riferimento alla linea di intimo da uomo. E sta proprio qui l'apparente contraddizione o, se volete, la trovata per certi aspetti "geniale". Un indiscutibile gran "pezzo di gnocca" che fa la pubblicità a un paio di mutande da uomo. Dunque per una volta niente pettorali da vertigine, bicipiti bronzo-riacei, addominali carapaciosi, rigonfiamenti chimerici, nessuna comunicazione subliminale da identificazione con una star del pallone, nessuna insinuazione a un'incredibile (ancorché improbabile) magia mutandifera.

Il messaggio stavolta va in una direzione diversa. E' lei a indossare le tue mutande e - manco a dirlo - le stanno benissimo. E' lei, con la sua espressione divisa tra sfida e malizia, a giocare con il tuo intimo, caro il mio uomo, come a dire: «Se le rivuoi indietro, me le devi togliere!», immaginando che tu sia tornato da una molto prosaica puntatina in bagno e te la sia trovata sul letto, vestita con i tuoi boxer, a provocarti. E allora prova a immaginarla, la tua lei, con le tue mutande indosso. Se sono di questa marca, la tua (bellissima) lei sarà invogliata a scherzare con te, perché non riuscirà a trattenersi dal provarli anche lei, questi meravigliosi boxer. Il punto di vista dunque è spostato. Le mutande (attillate) non servono più - come una volta - a rendere più invitante il tuo culo e audace il tuo pacco. Non sono più incentrate su di te, sul tuo comfort, sul tuo benessere fisico, ma anche (soprattutto?) psicologico.

La mutanda cambia così gli attributi, non solo fisici, ma anche metafisici. Da oggetto contraddistinto innanzitutto da un potere di comfort e seduzione, si carica invece soprattutto di un valore puramente relazionale. E fin qui potrebbe andare tutto bene. Potrebbe infatti essere solo un'originale evoluzione della creatività applicata al marketing, nel qual caso ci sarebbe solo da rallegrarsene, se solo la relazione in questione fosse paritaria. Ma paritaria non è. Provate a pensare la stessa pubblicità al negativo, ovvero a parti invertite, con un lui stra-fico, stra-modellato, stra-atletico, stra-prestante, e provate a buttarlo dentro un perizoma di pizzo nero.

Ma se una relazione non può essere paritaria, non diventa forse discriminatoria?

venerdì 2 settembre 2011

Se questo è un libro (scontato)

Da ieri l'Italia non è più la stessa. Ieri a mezzanotte, infatti, è entrata in vigore la Legge Levi che limita gli sconti praticabili sui libri. Il provvedimento, in base a quanto comunicato, è stato preso allo scopo (nobilissimo, eh!) di tutelare i piccoli librai che non possono praticare sconti troppo elevati, rispetto alle grandi librerie on-line, che grazie ai loro molto più ingenti volumi di affari, possono invece intraprendere politiche di prezzo molto più aggressive.

Di conseguenza non riesco a fare a meno di chiedermi (e chiedervi) chi mai si sia dato la pena di tutelare i piccoli fruttivendoli, i piccoli macellai, i piccoli salumieri, i piccoli formaggiai, i piccoli droghieri ecc. dall'avanzata panzer delle grandi catene di iper- e super- mercati e che oggi – tranne rari casi – almeno nelle grandi città sono praticamente estinti.

Per questo, mi viene da pensare che il provvedimento sia stato preso per un altro motivo. Forse per tutelare qualcun altro dall'avanzata panzer degli americani di Amazon? Quel che è certo, è che si tratta di un'altra bella mazzata alle possibilità di accesso alla cultura e un altro grosso bastone tra le ruote al già zoppicante triciclo del mercato editoriale. Da ieri l'Italia è (ancora) peggiore.

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