Punti di vista da un altro pianeta

giovedì 29 luglio 2010

Mare, profumo di mare...

Se non hai mai letto niente di questo autore, ormai entrato di diritto nel novero degli scrittori di culto della nuova letteratura americana (e mondiale) forse anche grazie - purtroppo - alla sua fine prematura, è bene che ti dai una mossa e cominci. È necessario che cominci perché la descrizione acuta, ironica, libera e disincantata, divertente ma tagliente, del mondo contemporaneo, in particolare dell'America (ma l'America è solo l'inizio di un viaggio che parte dagli yankee e finisce col toccare l'intera razza umana di fine millennio) non può prescindere dalla straordinaria voce di questo grande. Ma non basta.

Se non hai mai letto niente di questo autore, a mio avviso è (quasi) obbligatorio che cominci da questo libro. Un libro che non è di narrativa, bensì un saggio, anzi direi meglio, un reportage, ovvero il resoconto di una crociera extra-lusso ai Caraibi scritta per la rivista Harper's, con tutto quello che ovviamente significa in termini di esperienze dirette e incontri umani che si possono fare nell'ambito di una situazione di questo genere, visti attraverso un paio di lenti decisamente oblique e anticonvenzionali. E la ragione per cui ti consiglio di cominciare da qui, è proprio questa. Perché si tratta di un autore con cui è particolarmente necessario entrare in sintonia, assimilarne la visione, abituarsi al timbro, familiarizzare col tono. Farselo amico, insomma, sapere che ci si può fidare di lui, prima di affrontare la narrativa che, ancorché geniale e decisamente fuori dagli schemi, a tratti può dare le vertigini(1).

Se non hai mai letto niente di questo autore, insomma, e avrai voglia di leggere questo libro, è assai probabile che non lo vorrai lasciare più. Non il libro, intendo lo scrittore. La sua straordinaria capacità di vedere oltre le apparenze, cogliendo surrealismi e contraddizioni sottili del nostro mondo che - certo - fanno sorridere e divertono, ma che nel contempo mettono a nudo tutta la tristezza e la vena di disperazione suscitata dalle maschere di quel circo che è la società occidentale odierna, il suo umorismo sempre un po' amaro come il vero umorismo sa essere, e la sua prosa così moderna e affilata, ti resteranno dentro e l'unica cosa che potrai fare è approfondire la sua conoscenza con l'unico rimpianto che se n'è andato maledettamente troppo presto.

L'incipit:
E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell'aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull'aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato.
Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato "Mister" in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l'Electric Slide. Ho visto tramonti che sembravano disegnati al computer e una luna tropicale che assomigliava più a una specie di limone dalle dimensioni gigantesche sospeso in aria che alla cara vecchia luna di pietra degli Stati Uniti d'America che ero abituato a vedere.
Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga.
Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace (Minimum Fax)

(1) Ed è proprio quello il bello.

martedì 20 luglio 2010

Compiti per la congiunzione

Succede a volte che, nel loro orbitare ciclico e ordinato, Marte e la Terra si trovino su lati opposti rispetto al Sole in quella configurazione planetaria chiamata congiunzione (superiore), contrapposta all'opposizione (detta anche congiunzione inferiore). Questo fa sì che, a causa dello schermo costituito dal Sole, per qualche tempo le trasmissioni radio tra i due pianeti risultino impossibili. È quello che accadrà tra pochissimo, roba di alcuni minuti, quando anche l'ultimo orlo del Pianeta Rosso finirà dietro la nostra comune stella e quindi per un po', mio malgrado, addio comunicazioni. Non è colpa mia, prendetevela con Keplero.

In questo frattempo però, voglio lasciarvi qualcosa di marziano da fare, in maniera che non smettiate di pensare almeno un po' al vostro alieno preferito(?). Nella fattispecie si tratta calde, anzi caldissime, segnalazioni di lettura. Vi arriveranno ogni tanto, programmate in maniera automatica, quindi sappiate che non potrò rispondervi in tempo reale, ma lo farò di certo quando sarà di nuovo possibile. Naturalmente siete liberi di coglierle oppure no. Se però vi capiterà di leggere qualcuno dei libri proposti, o se per caso invece l'avete già fatto, vi invito a condividere i vostri commenti, impressioni, recensioni, critiche, pensieri o altro, a riguardo. Dunque, buona congiunzione a tutti e cominciamo con il primo.

Molto forte, incredibilmente vicino, di Jonathan Safran Foer (Guanda)

Leggi questo libro e difficilmente non potrai ammettere che Foer, classe 1977, è uno dei grandi nuovi giovani autori della letteratura americana. Di promessa ormai non si può più parlare dopo il suo primo romanzo, ovvero Ogni cosa è illuminata, e la conferma di questa sua seconda prova, in genere assai più difficile della prima, che a mio avviso è decisamente superiore al precedente.

La trama è semplice è lineare. Oskar, 9 anni, perde il papà nell'attentato alle Torri Gemelle e tutto quello che gli resta di lui è la registrazione di un messaggio sulla segreteria telefonica del cellulare, lasciato pochi minuti prima del crollo delle Torri, e una misteriosa busta col nome "Black" e dentro un'enigmatica chiave. Il ragazzino inizia così un'odissea per la città di New York alla ricerca del legittimo proprietario della chiave per restituirgliela, un percorso che è anche un cammino di crescita, di conoscenza, di confronto col dolore e di accettazione della perdita. Quello che non è semplice e lineare, bensì sorprende per acutezza e verve stilistica, è il modo con cui Foer dà corpo e anima al piccolo Oskar, con una vivacissima prima persona, che fa emergere dalle righe una personalità sorprendente e geniale, triste ed esilarante, intensa e commovente, sempre e comunque originale come davvero raramente capita di leggere in giro.

Tanto per capirsi, ecco l'incipit:
È un bollitore per il tè? Con il beccuccio che, all'uscita del vapore, si apre e si chiude come una bocca e sibila belle melodie, o recita Shakespeare, o semplicemente si scompiscia dal ridere con me?
Potrei inventare un bollitore che legge con la voce di papà, così riuscirei ad addormentarmi, o magari un intero servizio di bollitori che cantano il ritornello di Yellow Submarine, una canzone dei Beatles, che mi piacciono perché l'entomologia è una delle mie raison d'être, un'espressione francese che conosco. Sarebbe bello anche allenare il mio ano a parlare mentre tiro scoregge. A voler essere proprio spiritoso al massimo, potrei insegnarli a dire: «Non sono stato io!» ogni volta che ne gancio una di quelle incredibilmente toste. E se mai ne sganciassi una di quelle incredibilmente toste nella Sala degli specchi di Versailles, che è vicino a Parigi, che è in Francia, naturalmente il mio ano direbbe «Ce n'était pas moi!»
E dei piccoli microfoni? Tipo che tutti ne inghiottiamo uno, e loro diffondono i suoni del nostro cuore grazie a piccoli altoparlanti che potremmo tenere nella tasca della salopette? Di sera, andando in strada con lo skateboard, potremmo sentire i battiti di tutti gli altri e gli altri potrebbero sentire il nostro, come una specie di sonar. La domanda che mi faccio è se i cuori di tutti comincerebbero a battere contemporaneamente, come alle donne che vivono insieme vengono contemporaneamente le mestruazioni, che sono una cosa che conosco, anche se non ci tengo molto a conoscerle. Sarebbe davvero assurdo, a parte che il posto dell'ospedale dove nascono i bambini farebbe tin-tin come un lampadario di cristallo in una casa galleggiante, perché i bambini non avrebbero ancora avuto il tempo di sincronizzare i battiti. E al traguardo della Maratona di New York sembrerebbe di stare in una guerra. E poi: tante volte succede che uno ha bisogno di scappare via subito, ma gli uomini non hanno le ali, o comunque non ancora.
Quindi: inventare una camicia di becchime?

Molto forte, incredibilmente vicino, di Jonathan Safran Foer (Guanda)

venerdì 16 luglio 2010

Lo scandalo rotuleo

Ma perché siete così formidabilmente ancorati a ipocrisie surreali e stravaganti condizionamenti sociali? Insomma cosa ci sarà poi di male, per un maschietto della specie "colletto bianco", in questi giorni di caldo da paura, a infilare i suoi arti inferiori sotto la scrivania dell'ufficio, dentro dei bei calzoni corti? Mica uno slip da bagno. Mica dei boxer a fiori. Mica degli hot pants parigamba superstretch che ticontoipelidelpaccounoperuno. No. Dei semplici calzoni corti, chessò, blu scuri, molto anonimi e molto sobri, esattamente come quelli lunghi, ma con l'orlo appena sopra il ginocchio. Perché non si può fare? Perché se ne parli a qualche collega, sia maschio che femmina, ti guarda con due occhi così, come se avessi appena detto che il tuo sogno segreto è andartene in giro per i campi a inchiappettare gli struzzi in corsa?

In fondo le maniche corte rispetto alle lunghe fanno la stessa cosa: scoprono una parte del corpo che va da un'articolazione (gomito=ginocchio) a un'altra (polso=caviglia). Per il resto che differenza c'è? Sono i peli più folti che vi ricordano le vostre origini neanderthaliane e quindi vi mettono in imbarazzo? O sono le rotule dalle rotondità più audaci rispetto ai naturalmente appuntiti (e dunque riservati) gomiti? O forse i polpacci e gli stinchi? Entrambi decisamente più libertini dei ben più morigerati radio e ulna, da sempre tradizionalmente tutti casa e chiesa? O forse ancora siete cagionevoli e temete di prendere freddo? I colleghi sostengono che coi calzoni corti, di qualsiasi foggia e colore essi siano, non si verrebbe presi sul serio perché sembrereste di essere in vacanza e non al lavoro. In altre parole demandate a due pleonastici palmi di stoffa sopra qualche osso, un po' di muscolo flaccido e nient'altro, la vostra immagine professionale estiva, come d'inverno la delegate a un'inutile strisciolina di stoffa legata attorno al collo.

È un po' come dire, non so, che la Carfagna oggi non può essere un buon ministro, solo perché fino a ieri se ne andava in giro coi glutei al vento... Ops!

giovedì 15 luglio 2010

Nudismo d'altri mondi

Strana cosa il vostro immaginario e curioso come esso trovi una rappresentazione visiva. Ho infatti l'impressione che abbiate sviluppato l'insana abitudine di raffigurare gli extraterrestri nudi. Non sempre, certo, ma spesso, insolitamente spesso. In particolare - mi pare - quando vi illudete di essere davvero realistici, ovvero quando, per certi versi paradossalmente, agli esseri che state rappresentando volete attribuire maggior distanza dalla umanità e renderli così maggiormente "alieni" e dunque veri. Mi viene in mente il povero E.T., che il buon Rambaldi non aveva dotato nemmeno di un straccio d'un farfallino, come pure il gruppo di extraterrestri che fanno una capatina giù dall'astronave di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, come turisti fai-da-te atterrati all'aeroporto sbagliato, cui non sono state date in dotazione neanche la maschera per dormire e le ciabattine usa-e-getta.

Poi è chiaro che, volendo restare nel campo cinematografico che è uno dei più fervidi catalizzatori dell'immaginario, l'eventuale vestito ha anche il compito di effetto speciale, per suscitare maggiore suggestione e per dissimulare le fattezze troppo umane dell'attore che sta sudando sotto il trucco. Per questo penso che il grande schermo faccia testo solo fino a un certo punto. E la sensazione che ho - anche da alcuni commenti del precedente post - è che in base al vostro immaginario l'"alieno" sia generalmente uno scostumato, irriducibile nudista. E questo è curioso, perché dovrebbe essere abbastanza intuibile che una creatura intelligente si inventi dei modi "comodi" per proteggere il proprio corpo dalle aggressioni dell'ambiente esterno che sussistono in qualsiasi luogo di questo universo. Perché allora vi piace immaginarci nudi?

Provo a immaginare a mia volta qualche risposta a ruota libera:
1) nell'implicazione dell'assenza della vergogna, la nudità è emblema biblico dello stato di purezza, per cui vi piace pensare (un po' aristotelicamente) che le creature che provengono dal cielo siano dotate di uno stato di grazia incorrotta;
2) contrapposta all'ossessione terrestre per l'abbigliamento, l'abitudine alla nudità rappresenta una "diversità" che secondo voi rafforza il concetto di "alienità" che volete rappresentare;
3) non siete dotati di abbastanza fantasia per trovare una rappresentazione sufficientemente "aliena" della moda (forse perché già la vostra moda a è parecchio aliena), dunque fate prima a rinunciarvi perché in fondo la pigrizia è una delle vostre caratteristiche principali;
4) la nudità - vista per analogia con quella degli animali - implica una condizione di inferiorità, per cui in questo modo cercate di esorcizzare la paura dell'ignoto e del fatto noi potremmo esservi superiori e dunque farvi un culo grosso così.

[Credit: Un ringraziamento a il rospo dalla bocca larga che mi ha (involontariamente) suggerito questo post]

martedì 13 luglio 2010

Darwinismo prêt-à-porter

Perché da voi esiste quella strana cosa chiamata "moda"? In questi primi giorni di saldi e di caldo, la domanda è meno peregrina di quello che possa sembrare. Rispetto ai saldi, perché da quanto m'è parso capire sono il sale della moda, il momento che più d'ogni altro fa sì che voi umani vi lasciate tentare dall'acquisto - appunto - di tendenza. Rispetto al caldo, perché non c'è come la temperatura bollente a darvi alla testa e a farvi compiere atti inconsulti, ovvero a limare le vostre inibizioni e lasciarvi andare ai peggiori istinti animali.

Eppure la "moda" non sembra essere una necessità "naturale" propria dagli esseri pensanti. Un rapido sguardo a un centinaio di mondi abitati della galassia mi (di)mostra che nessuno di essi ha sviluppato il significato di "moda", se non come concetto matematico/statistico. Solo voi l'applicate all'abbigliamento, ovvero alle logiche dell'apparire, come pure ultimamente anche all'elettronica di consumo. Non sarete mica di quelli che se ne vanno in giro a dire che l'iPad non è "di moda", bensì è "utile"! Quindi la faccenda si ammanta sempre più dei contorni del mistero. Perché voi sì, e tutti gli altri no? Ho deciso di indagare.

E dunque ho cercato di documentarmi. Ho provato a recuperarne le radici storiche, di quella moda propria degli uomini ricchi e dei preti che volevano ostentare il loro status e affermare la loro superiorità e la loro opulenza; ne ho inseguito gli aspetti psicologici, nella sua capacità di infondere sicurezza attraverso l'autoattribuzione di connotati estetici; ho scavato pure nei risvolti sociali, di quella moda capace di costruire identità singolari e collettive, ovvero di aiutare l'individuo a sentirsi parte di un gruppo, quindi accolto e dunque meno vittima della solitudine. E preso dallo sconforto per non avere trovato niente che mi soddisfasse veramente, sono infine arrivato a sfiorare argomenti spirituali e metafisici, che mi hanno portato a considerare sciaguratamente la moda come uno (lo?) "scopo" ultimo della vostra esistenza. Eppure anche questo non mi ha portato molto lontano.

Poi quando ormai pensavo che fosse tutto perduto e stavo per lasciare perdere, col mio telescopio mi sono imbattuto in questi:
e sono stato colto dall'illuminazione! La "moda", quale voi la intendete, non ha proprio un cazzo a che fare con l'estetica, la comodità, l'identità, l'accettazione, l'ostentazione, la ricchezza o la complicità. Al contrario, è solo il modo con cui l'Evoluzione Naturale della (vostra) specie ha deciso di dichiarare all'Universo il proprio cocente, inesorabile fallimento. E ci voleva tanto?

venerdì 9 luglio 2010

Fossi in voi comincerei a preoccuparmi

Nel giorno in cui la stampa si autoimpone il silenzio per protestare contro l'ormai famigerata legge-bavaglio e affermare il diritto all'informazione e alla libertà di stampa, io voglio parlare, e parlare proprio di libertà di stampa, anche se la parola libertà, utilizzata a proposito del caso in questione, sarebbe meglio sostituirla con licenziosità. Almeno a giudicare dal titolo apparso in prima pagina ieri su Il Giornale, il cui articolo riporto interamente qui, avendo colto la puntuale segnalazione di Metilparaben.

Ora, probabilmente avete saputo dei disordini con pestaggi avvenuti durante la manifestazione degli aquilani a Roma. Ma è chiaro che scrivere quello che scrive Il Giornale:
è qualcosa che va oltre l'immaginabile, è lo stupro della verità, e mostra come non ci sia limite all'abdicazione al ritegno nella quotidiana, sistematica operazione di disinformazione, strumentalizzazione e stravolgimento di ciò che avviene in Italia da parte di certa parte dell'informazione, a beneficio dell'immagine di coloro che stanno al Governo. Eppure questa volta Il Giornale ha fatto un clamoroso autogol.

Già, perché, fin dal titolo, la notizia contiene la propria smentita, ovvero la conferma della propria falsità. Il sottotitolo infatti recita:
"La sinistra prende 5mila abruzzesi come scudi umani ecc."
Ebbene, vi pare plausibile che questa sinistra, che non è in grado di opporsi ad alcunché, possa improvvisamente prendere e organizzare con successo 5mila persone (non 50, 5000!) per portare a termine un'operazione "complottistica" in grande stile come questa? Viene quasi da chiedersi come quelli de Il Giornale possano essere arrivati a concepire una notizia del genere. Ma a dispetto delle apparenze, la risposta a questa domanda non è molto difficile. Vediamo se ci arrivate anche voi.

martedì 6 luglio 2010

Il meteo come filosofia esistenzialista

In proporzione all'alzarsi delle temperature, ho notato che - curiosamente - dalle vostre parti si moltiplicano e si diffondono tre famiglie di messaggi. Della prima categoria fanno parte certi servizi ricorrenti nei tigì (per una volta totalmente bipartisan), dove sono ripresi individui che si sparano con le pistole ad acqua, turisti che sguazzano coi piedi nelle fontane e i fazzoletti annodati intorno alla testa, bambini cui cade il gelato sui piedi, e - non di rado - gente che ha la fortuna di essere intervistata da potenziali candidati al Premio Pulitzer. Tipo:
Il Giornalista (di cui si vede solo la mano sul microfono): «Caldo vero?»
L'Intervistata (ragazzina in canottierina e bandana, sudata marcia, che sta leccando un grosso ghiacciolo in compagnia di un'amica): «Assolutamente sì» (annuisce gocciolando)
Il Giornalista: «Ma qual è il vostro segreto per resistere a quest'afa?»
L'Intervistata guarda l'amica ridacchiando, poi all'unisono le due rispondono ammiccando: «Non portare le mutande.»

Dopodiché ci sono gli immancabili consigli dei tabelloni luminosi, con cui l'amministrazione di turno dispensa ai suoi cittadini contribuenti insostituibili perle di saggezza frutto dell'Addizionale Comunale:
"Non uscire di casa dalle 11 alle 18"
"Bere molta acqua"
"Evitare bevande alcoliche, fredde, gassate"
"Scopare solo ore notturne, possibilmente sdraiati"
Contenuti cruciali per la sopravvivenza della specie, insomma.

Infine come non citare le Previsioni del Tempo, che solo voi in tutta la galassia avete, capaci di rispondere in tre minuti agli interrogativi più vitali dell'esistenza? Fino a quando durerà questo caldo? Ma come sarà: afoso o torrido? (A proposito, la sai la differenza?) E quale sarà la temperatura percepita? Ma perché fino a qualche anno fa, se il termometro misurava 30°C, tu percepivi 30°C? Che cosa è cambiato nel frattempo di cui non ci siamo accorti? Colpa forse dell'ennesima legge ad personam del Governo? O degli esperimenti degli UFO? O del 2012 che si avvicina? Comunque, di certo c'è che d'estate la temperatura percepita è sempre maggiore di quella effettiva, mentre d'inverno è sempre minore e questo, se non aggiunge granché alla conoscenza dell'uomo e alle sue modalità di abbigliamento e di alimentazione, la dice però lunga sulla posizione che egli si ritrova per forza di cose ad assumere di fronte all'universo intero.

giovedì 1 luglio 2010

Sineddoche sessuali

Dopodomani, sabato 3 luglio, andrà in scena il Roma Pride 2010, manifestazione dell'orgoglio lesbo, gay, bisex, transgender , ovvero uno degli appuntamenti fondamentali con cui i movimenti e le associazioni LGBT rivendicano non solo i loro diritti civili fondamentali (quelli già conquistati, ma magari disattesi, e quelli ancora da conquistare), ma anche - e soprattutto - il loro diritto a esistere e a essere rispettati come semplici esseri umani appartenenti a una società che vuole dirsi civile. E dal mio punto di vista, che ci capisco parecchio in materia giacché su Marte di sessi ne abbiamo sette, devo dire che le istanze in questione non fanno una piega.

Eppure di pieghe tutt'intorno a stropicciare il quadro d'insieme ce ne sono parecchie, visto che nella fattispecie, per esempio, per promuovere la manifestazione l'organizzazione ha realizzato uno spot dai contenuti fortemente discutibili, che in effetti ha sollevato numerose polemiche. Vi invito - se non l'avete già fatto - a dargli un'occhiata qui. Eppure, benché lo spot sia forse sintomo di qualcos'altro, come di una deviazione pericolosa o di un riflesso preoccupante di certe tendenze epidemiche che stanno infettando ogni cellula della nostra società, non è solo questo, perché la faccenda a mio avviso va anche oltre.

Le ho viste infatti, da quassù, le immagini di manifestazioni come questa, quelle che vengono iniettate nel circolo dell'opinione pubblica dai media generalisti, giornali e televisione su tutti. Immagini che indugiano su perizomi leopardati e paillettes capezzolari, maschioni carrozzati in struzzo e labbra sgargianti targate pininfarina, chiappe come albicocche al vento e pacchi oversize. Tutto quel sottobosco pittoresco e folcloristico, insomma, che nel suo essere volutamente, ostentatamente e provocatoriamente carnascialesco, esprime tutta la sua voglia (e anche la sua disperazione) di affermazione, di espressione, di riconoscimento identitario, ma che in un paese catto-reazionario come l'Italia, finisce per essere controproducente come Bersani allo sciopero generale di domani.

Così l'opinione pubblica minzolinizzata, quella per cui la sigla LGBT è solo un nuovo modello della Golf, ci mette un attimo a identificare tutto il movimento solo con quella parte pittoresca e, invero, minoritaria, di coloro la cui immagine così colorata e colorita evoca nelle menti benpensanti il luogo comune di "perversione", sponda ideale degli anatemi episcopali. Perché allora non si riescono a vedere manifestazioni di lesbiche, gay, bisex e trans con le persone semplicemente mano nella mano, abbracciate, che esprimono il loro affetto e la loro sessualità come persone normali e non provocano, non ostentano, non platinettano? Coloro che rivendicano alla società il diritto di essere trattati normalmente, non dovrebbero dimostrare di esserlo?

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