Punti di vista da un altro pianeta

venerdì 6 febbraio 2015

Il mezzo e l'incredulità

Quando ci confrontiamo con una narrazione di qualunque tipo, abbiamo sempre bisogno di sospendere la nostra incredulità, ovvero di credere a quello che stiamo leggendo/vedendo/ascoltando, altrimenti la narrazione non funziona e la nostra reazione a essa sarà di noia, irritazione, incomprensione, scherno ecc. Chiunque si occupi di raccontare qualcosa (romanzi, film, fumetti, teatro ecc.) sa di dover fare i conti con questo paradigma, tanto più se – per esempio – l'oggetto della narrazione è qualcosa che per sua natura difetta di aderenza con la realtà. Rendere credibile una storia fantascientifica, per dire, è senza dubbio più difficile che far digerire a un lettore un giallo ambientato a Milano. Questa, sia chiaro, non è comunque condizione sufficiente a rendere buona l'opera, ma almeno necessaria a renderla fruibile, benché questo dipenda in qualche misura anche dal palato del fruitore.

Tuttavia, in particolare, nel caso del fantastico in generale (tanto per comprendere la più ampia varietà dei sottogeneri), ho l'impressione che l'incredulità e la sospensione di essa dipendano in qualche modo (anche) dal mezzo attraverso il quale stiamo vivendo la storia. Per esempio, mettendo a confronto ambiti visuali, il fumetto agevola maggiormente la sospensione dell'incredulità rispetto al cinema, quello con attori in carne e ossa, intendo. La rappresentazione grafica di una realtà, qualsivoglia fantastica, con il suo tratto, i suoi colori, il suo stile, la sua tecnica costruisce infatti già di per sé una netta separazione dalla realtà e questo consente al fruitore dell'opera di accettare le deviazioni della vicenda dal piano della realtà (e dunque della logica e della razionalità) con maggior agio, proprio perché la modalità stessa di rappresentazione della storia appartiene già di per sé a un piano diverso. Al contrario una rappresentazione cinematografica con attori in carne e ossa parte già da un ben più aderente piano di realtà, molto più difficile quindi da far digerire allo spettatore, perché innegabilmente possiede un'intenzione emulativa della realtà che il fumetto non ha.

L'osservazione mi è scaturita a valle della recensione di Snowpiercer (film) di qualche giorno fa, ovvero in merito alla riflessione che non potevo escludere che la storia della Terra ghiacciata e del treno che ruota perpetuo intorno al pianeta, reggesse molto meglio a fumetti rispetto che al cinema, benché questo non sia in grado di dirlo non conoscendo il fumetto. Peraltro questo concetto ritengo possa essere influenzato anche dal grado di coerenza interna del fumetto. Per esempio i fumetti Marvel e DC tendono ad avere un elevato livello di congruenza con la realtà e questo li rende maggiormente trasponibili sul grande schermo rispetto ad altre opere. Forse Le Transperceneige è una di queste. E forse questo è anche uno dei motivi per cui certe trasposizioni cinematografiche di fumetti sarebbe meglio che non vedano mai la luce.

2 commenti:

  1. Temo che il mio precedente commento sia finito inghiottito dalle spire del cyberspazio, allora ci riprovo. In linea di principio sono d'accordo con la tua riflessione, ma mi vengono in mente anche tanti casi di dialogo proficuo tra i due linguaggi (cinematografico e fumettistico). In effetti, io sono soprattutto convinto che il fumetto rappresenti un valido punto d'incontro tra l'immediatezza del linguaggio per immagini del cinema e le possibilità di approfondimento della scrittura.

    Nel caso in questione, credo che il problema sia soprattutto frutto delle scelte registiche di Bong Joon-ho, che ha voluto sovraccaricare inutilmente una storia post-apocalittica in fondo semplice (di costrizione, claustrofobia, oppressione e resistenza) con significati e simboli in fin dei conti non necessari. Se si fosse sforzato di fondere il tutto in un amalgama omogeneo, cercando di dare qualche risposta in più, sarebbe forse stato più digeribile. Invece alla fine a domande si aggiungono altre domande, la forbice tra il credito di fiducia concesso dallo spettatore e le licenze poetiche che si concede il regista si allarga a dismisura, e tutto quello che resta è un grande "boh" che si lascia dietro la scia di un silenzio imbarazzato.

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    1. Certo, è una riflessione da prendere con le "pinze". Non può essere ridotto tutto a questo. E' piuttosto uno spunto. Sono d'accordo con te che il fumetto rappresenti un valido punto di incontro tra immagini e scrittura, più del cinema, perché non ha le limitazioni tecniche del cinema e ha la libertà assoluta della scrittura. Però in generale i mezzi espressivi diversi costringono a espedienti narrativi diversi e questo può essere un motivo per cui una trasposizione (più o meno pedissequa) può non funzionare. Non a caso, quando trasponeva un'opera letteraria, Kubrick diceva che doveva distruggerla (peraltro Arancia Meccanica, il libro, è quasi identico al film - mentre Shining no).

      Poi, nella fattispecie, su Snowpiercer, la mia è solo un'ipotesi che non può giustificare in toto la mancata riuscita del film, ma può esserne al massimo una componente, ancorché non trascurabile. Un altro regista con lo stesso materiale di partenza avrebbe fatto tutt'altro e, magari, sarebbe riuscito a fare meglio. Concordo in pieno sul sovraccarico simbolico, sulla forbice e sull'imbarazzato silenzio.

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