Punti di vista da un altro pianeta

mercoledì 14 gennaio 2015

Satira, democrazia e giornalisti in minigonna

Se vale il principio che la libertà di qualcuno finisce dove inizia quella di qualcun altro, la libertà di espressione della satira dove finisce? Qual è il suo limite? Ne ha uno? Lo deve avere? O forse, meglio, lo può avere? L'impressione mia è che la risposta sia no. A vedere certe vignette di Charlie Hebdo sembra che il limite non esista, almeno nella misura in cui l'offesa o la volgarità vengono messe a servizio di quello che è da sempre il fine principale della satira: attaccare le espressioni del potere (soprattutto politico e religioso). A questo punto l'unico pericolo che può rendere la satira spazzatura, è che sia inefficace.

Ma la forza della satira, la sua veemenza, la sua esplosività, non possono prescindere dalla percezione che l'oggetto rappresentato (ovvero chi in qualche modo se ne sente coinvolto) ha di essa. È il caso per esempio del dogma islamico dell'iconoclastia, molto radicato e sentito tra i musulmani, riferendosi all'irrappresentabilità non solo di Maometto e Allah, ma anche di ogni figura umana che possa essere oggetto di venerazione, contro cui va Charlie Hebdo ogni volta che pubblica una vignetta che raffiguri Maometto.

Dunque la domanda è: in nome della libertà di espressione, i giornalisti di Charlie Hebdo hanno superato (o superano) il limite? In che modo Charlie Hebdo e tutti i giornali di satira possono trovare giustificazione al loro superare i limiti? Qual è il principio - se non giurisprudenziale, per lo meno razionale - per cui non possono essere accusati, per esempio, di vilipendio contro le religioni? Che cosa salva la satira? La risposta è semplice: la sua indipendenza, ovvero il fatto che la satira sia davvero libera da ogni condizionamento e ogni altro fine, se non quello di smascherare i vizi del potere. Non questo potere o quel potere: tutti i poteri.

Perché la vera satira non è comparativa, non fa preferenze, è questa la sua prerogativa più nobile. E finché sulle copertine di Charlie Hebdo come del Vernacoliere troveremo Cattolicesimo, Islam ed Ebraismo, non per mettere in ridicolo le religioni in quanto tali, ma per caricaturare le loro umane storture, amplificarle e metterle, nude, di fronte agli occhi dei lettori, la satira troverà nell'esercizio della sua indiscriminata libertà, il limite (necessario) alla sua stessa libertà. Del resto pensare che quelli di Charlie Hebdo se la siano cercata, è come dire che se una donna esce in minigonna e tacchi a spillo non si deve lamentare se viene stuprata.

4 commenti:

  1. Hai espresso molto chiaramente concetti delicati in cui è difficili addentrarsi.

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  2. Sai cosa mi ha stupito più di tutto? Che purtroppo in Italia non sappiamo cos'è la satira. Charlie Hebdo è un normalissimo e standardissimo giornale di satira. La satira è questa. Brutta, cattiva, irriverente, bastarda, etc.
    Da noi ci si scandalizza solo perché confondiamo la satira con la comicità. Non faccio esempi ma ce ne sono a bizzeffe.
    In una situazione del genere la terribile frase "se la sono cercata" prende un senso ancora peggiore.
    In uno stato in cui non esiste la satira non esiste lo stato.

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    1. E' vero. Ci sono stati Il Male e Cuore, finché sono durati. Ora forse l'unico superstite di vera satira è il Vernacoliere, ma la sua regionalità lo relega purtroppo a una nicchia. Io l'ho comprato ieri, Charlie Hebdo, e sebbene il mio francese non mi consenta di fruirne appieno, mi sono reso conto - davvero - che è un giornale davvero "normalissimo". Peraltro a furia di dire che una cosa è scandalosa, la gente crede che lo sia davvero.

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