Punti di vista da un altro pianeta

martedì 24 aprile 2012

Il vuoto in forma di romanzo

Se questo libro non mi fosse stato venduto corredato da una luccicante fascetta che sfoderava i fasti di una SETTIMA EDIZIONE, un autorevole piazzamento al Premio Strega 2011 come finalista e una vittoria al fantomatico Premio Merck Serono 2011, probabilmente questa recensione non l'avrei scritta. Non credo che avrei trovato che sarebbe valsa la pena spenderci del tempo. Spesso è molto meglio una spessa coperta di silenzio e indifferenza, piuttosto che accendere in qualche modo un riflettore su un'opera, ancorché di luce negativa. Invece no, perché trattandosi - secondo me, naturalmente - di uno dei più brutti libri che mi sia mai capitato di leggere da quando so leggere, anzi anche da quando guardavo solo le figure, mi sono sentito in dovere di parlarvene, come per mettervi in guardia. Forse ne avrete sentito parlare o l'avrete visto ammiccare da qualche scaffale (con la sua fascetta acchiappapolli). Si intitola L'energia del vuoto e l'autore è Bruno Arpaia. Ma lasciatemi fare un paio di passetti indietro.

Il primo. Non lo dico a mia discolpa. Io delle fascette dei libri me ne strasbatto le antenne. Non le cerco, né le evito come la peste. Per me non esistono. Il punto, nel caso in questione, è che era già un po' di tempo che volevo - ebbene sì - leggere questo libro. È stata la mia passione per la fisica a intrigarmi, dato l'argomento del libro. Nelle intenzioni dell'autore dovrebbe trattarsi infatti - il condizionale è d'obbligo - di una specie di science-thriller ambientato nell'ambito della fisica, laddove la vicenda ruota intorno a un intrigo che si svolge al CERN di Ginevra in occasione della messa in funzione dell'LHC (Large Hadron Collider), l'autentico acceleratore di particelle acceso dopo qualche peripezia, due anni e mezzo fa. Per intendersi, lo ricorderete, quello per il quale i media (e non solo) fecero un gran clamore parlando di creazione di buchi neri, Terra che veniva inghiottita e altre idiozie assortite. Insomma, il tema mi incuriosiva, così alla fine l'ho preso. Nonostante la fascetta.

Il secondo. Prima di questo libro non avevo mai letto niente di Arpaia in vita mia (e non leggerò mai più niente di suo in futuro, a meno che qualcuno non decida di pagarmi - e profumatamente - per farlo), per cui tutto quello che dico su di lui come scrittore si riferisce solo allo scempio che ha fatto con questo libro, benché se uno riesce a scrivere una simile bruttura, è difficile pensare che in altre occasioni possa avere scritto - o potrà farlo - dei capolavori. Tuttavia mi piacerebbe, se qualcuno l'ha fatto, che mi dicesse la sua in merito. Ma veniamo al punto. Se avete bisogno di un esempio letterario di come NON si scrive un libro eccolo, lo avete. Perché L'energia del vuoto è quanto di più mediocre si possa avere il coraggio di scrivere (e pubblicare) - in termini professionali, s'intende - sia dal punto di vista della struttura, che della trama, che dei personaggi, che dello stile. Niente di questo libro si salva. Niente di questo libro lo salva. Per quanto ci si possa sforzare con la condiscendenza, la correttezza grammaticale non è sufficiente.

Lo stile. Ingenuo come quello di un dilettante alle prime armi (e di quelli anche scarsamente dotati), infarcito di espressioni colloquiali che non si leggono neanche su Topolino, con dei dialoghi di una banalità imbarazzante e pagine e pagine di inutili “convenevoli” tra i personaggi. Dal canto loro i personaggi sono stereotipi con un tratteggio psicologico degno della sensibilità di una pietra pomice. Ma se questo, in un libro che nasce per essere "di genere", potrebbe anche passare un po' in secondo piano, è difficile non notare i personaggi femminili appiattiti su un registro fastidiosamente maschilista. La struttura è confusa, con diversi momenti della vicenda il cui racconto viene di volta in volta intervallato, ma che non essendo contemporanei finiscono per rendere al lettore disagevole la comprensione di ciò che sta accadendo almeno fino a pagina 150 (e le pagine totali sono 263).

La trama è di una povertà disarmante. Per una prima abbondante metà, il libro si divide tra un evidente intento divulgativo, che avrebbe potuto anche starci purché fosse stato calato con convinzione e (solo) un pizzico di creatività nella struttura della vicenda, invece di essere appiccicato in maniera fastidiosamente posticcia grazie al personaggio di una giornalista (superfica e facilmente arrapabile, vedi maschilismo di cui sopra) che deve scrivere un pezzo sull'LHC, e le vicende di un gruppo di fisici del CERN con allegato scialbissimo drammino familiare (lei, la fisica, che lavora troppo e loro, il marito e il figlio, che per questo si scazzano) alle prese con l'accensione dell'acceleratore. Ho avuto l'idea che, da questo punto di vista, Arpaia abbia avuto l'ambizione di fare con la fisica teorica un'operazione simile a quella che Jostein Gaarder fece a suo tempo con la filosofia ne Il mondo di Sofia, ma quanto a risultati siamo distanti milioni di anni luce. Poi, fino a ben oltre la metà del volume, di intrigo non c'è traccia, tranne una coppia padre-figlio (quelli scazzati di cui sopra) in fuga non si sa bene da chi o da cosa (ma anche qui con dei siparietti di una pochezza davvero tragicomica), ma che a dispetto dello scazzo, continuano a chiedersi che fine ha fatto la moglie/mamma. Anche il dramma conclusivo, quello più grosso, quello che dovrebbe sparare la storia verso il finale e dovrebbe (lasciate che lo dica, qui, una volta sola, perché stavolta è proprio il caso) togliere il fiato, è costruito su un nulla di un'implausibilità infantile. Infine il finale vero e proprio, totalmente inconsistente, se non per farti salire sulle spalle la carogna di aver buttato nel cesso 16,50€, concederti la drammatica rivelazione che Dan Brown è un autentico gigante della letteratura contemporanea e dimostrarti che, circa la non esistenza di un'entità chiamata “vuoto”, la fisica moderna si sta sbagliando di grosso.

L'estratto inutile, ovvero per spiegare che cosa intendo per "convenevoli" (siamo solo a pagina 13 - nella seconda scena dei due fuggiaschi, padre e figlio - Pietro e Nico. Nico è all'oscuro di quanto sta succedendo). Il libro cola in abbondanza scene inutili e dilettantesche di questo tenore come salsa da un Big Mac:
"Quando apre gli occhi, il sole è già qualche centimetro sopra la collina e Nico lo sta scuotendo per una spalla.
«Papà sei sveglio?»
«Sì, Nico, sì, sveglissimo.»
Le sette meno venti. Il «riposino» è durato quattro ore. Come fuggiasco a una vera mezzasega.
«Papà, ma dove siamo?»
«In Francia, più o meno a metà strada da Marsiglia.»
«E mamma?»
«Te lo già detto: ci raggiunge dopo, in Spagna.» Pietro sbadiglia, socchiude la portiera e scende per guardarsi intorno. Tutto tranquillo, la provinciale vuota, il vecchio tiglio sopra la testa, la ghiaia dello spiazzo, il bar ancora chiuso, i campi incolti, un casolare in pietra sopra la collina, la luce del mattino che pennella l'aria di venature vivide e sanguigne. Quella tranquillità, quel lento battito delle cose intorno, per qualche istante, gli fanno immaginare di non aver mentito: forse quel viaggio è veramente solo una vacanza, forse quell'ultimo anno e mezzo è stato solamente un brutto sogno, forse dopo Marsiglia, Emilia prenderà un volo per Madrid e andranno tutti insieme al mare a Cadaqués o in giro per l'Andalusia.
«Papà chiamiamo mamma?»
E invece no. Non è per niente un sogno.
«Mi è morto il cellulare, Nico. E poi è ancora presto... Se non sta lavorando, mamma starà dormendo. Magari la chiamiamo dopo.»
Decisamente no, non è una vacanza. Emilia non prenderà quel volo. E bisogna rimettersi per strada. Subito.
«Ora fai la pipì e partiamo.»
«Ma ho fame...»
«Facciamo colazione dopo. Al primo bar aperto giuro che ci fermiamo.»
[breve descrizione delle strade e dei luoghi che i due attraversano e che vi risparmio - Arpaia invece no - fino all'arrivo a un bar aperto]
«Buongiorno. Ci dà un caffè di acqua purificata, un caffellatte e un paio di croissant?»
Nico mangia in silenzio, andando su e giù con una mano in tasca e la console stretta sotto l'ascella. Nemmeno Pietro dice una parola, ma inizia a borbottare appena fuori.
«Che ladri... Cinque euro e trenta per un caffè di pura. A Ginevra lo fanno a quattro franchi.»"
L'estratto utile (pag. 135, dall'articolo che la giornalista scrive sull'LHC e che Arpaia ci riporta per intero, inutilmente tranne che per questa frase che, date le circostanze, è totalmente condivisibile):
"Un qualunque teorico (nel senso di fisico teorico, ndr), oggi, ha forse molta più immaginazione di parecchi narratori in circolazione."
Di Arpaia senza dubbio.

15 commenti:

  1. L'assaggio che proponi è disarmante, da mettersi a piangere. Come lettore un libro scritto così lo considero un affronto, come autore un'offesa imperdonabile, un'umiliante e arrogante beffa, uno schifo intollerabile.
    Vergogna!
    Hai fatto bene a mettere in guardia i lettori, anche se nel mio caso non ce n'era il benché minimo bisogno... :-))

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    1. E quel che è peggio è che è davvero tutto così. E' pieno di pagine come questa. Mentre lo leggevo non ci potevo credere che Guanda avesse avuto il coraggio di buttare fuori una roba del genere. Poi ripensi alla settima edizione e al Premio Strega e ci credi ancora meno. Perché vabbè i polpettoni all'italiana e tutto quello che vuoi, ma qui in confronto la Tamaro è un gigante, la Mazzantini un genio. E temo anche che a confronto faccia la sua (porca) figura persino Faletti.

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    2. Peccato che il Giudizio Universale sia una favoletta. Altrimenti il processo a certa editoria italiota sarebbe uno dei suoi capitoli più lunghi e gustosi! E' davvero imperdonabile il Male che si fa ai lettori e alla Scrittura veicolando e propagandando simili libri anziché bei romanzi (fra l'altro i nostri milioni di mitomani che si credono scrittori ne trarranno la conferma che allora questa è davvero Narrativa, che davvero oggi si possa e si debba scrivere così, e il livellamento in basso sarà inarrestabile!!)
      Certo che anche andare a comprare in massa un romanzo del genere... tu almeno ti sei riscattato con questa stroncatura. Ma gli altri?
      Ho voglia di scappare all'estero.

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    3. E' quello che consideravo anche io. Il fatto che anche quella fascetta fa passare il messaggio che questo è un buon libro e abitua i lettori a (pre)giudicarlo come tale. Così si abituano i lettori ad apprezzare schifezze e a perdere la sensibilità (sempre che qualcuno ce l'abbia mai avuta) che serve per apprezzare per la buona scrittura (non dico capolavori, ma almeno roba dignitosa!). Con tutto quello che ciò significa...

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  2. In effetti anche su Anobii le recensioni non sono esaltanti.
    Grazie dunque, metto questo grande vuoto nel grande pieno dei libri che non leggerò mai.

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    1. Non esaltanti, ma nemmeno devastanti. La media su anobii è circa tre stelle, ovvero "così così". Io gliene ho data una. Per il resto è stato un piacere farvi evitare una simile esperienza. ;-)

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  3. La cosa interessantissima è che sia arrivato finalista allo Strega, che non è proprio l'ultimo dei premi letterari.
    Ti racconto un aneddoto. Stavo in libreria sfogliando a casaccio. Mi imbatto in un libro terrificante, al livello di questo se non peggio, con dentro una storia d'amore e sesso che solo il risvolto di copertina meritava un vomitino. Si avvicina un signore distinto e mi chiede notizie del libro in questione. Ho rimosso il titolo, ma di quel tipo ce ne sono a bizzeffe. Gli dico che, secondo me, per quello che ho leggiucchiato, non vale il prezzo della carta, che è scritto con i piedi, che è pieno di storiacce melense e personaggi inverosimili che si dicono l'un l'altro cose stupidissime, e che in confronto la sceneggiatura di una soap opera è un capolavoro.
    Lui mi ringrazia, prende una copia, dice che è perfetto per sua moglie a va diritto alla cassa.
    Vedi che tutto è relativo? :-))
    Buona giornata

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    1. Se tutto non fosse relativo, non ci sarebbero programmi come L'isola dei Famosi ecc. e non venderebbero i libri come quello di cui parli ecc. E forse questo libro non avrebbe raggiunto (addirittura!) la settima edizione. Il che significa che ha venduto almeno 35000 copie (guadagnando - almeno - altrettante migliaia di euro) con una simile cosa. E purtroppo dentro quelle copie c'è pure la mia!

      Quanto al tuo aneddoto, certo che il tipo non doveva aver grande considerazione della moglie. D'altro canto la moglie gliene avrà dato motivo. Del resto se il tipo ha sposato una tipa perfetta per quel libro, anche lui non doveva essere granché. E il cerchio si chiude. ;-)

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  4. Grazie Marziano per averci salvato dall'ennesima bufala. Per festeggiare mi farò un caffé con l'acqua purificata.

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    1. Figurati, grazie a te! :-)
      Quanto all'acqua purificata, quella è un'ennesima fesseria che qualsiasi editor degno di questo nome avrebbe cancellato, perché è evidente che Arpaia ha iniziato il libro con l'intento di aggiungere elementi di contorno non realistici, ovvero "futuribili". Ma non ha seguito questo intento, lasciando lì appeso quell'elemento "esotico" al nulla. Roba che in qualsiasi scuola (elementare) di scrittura ti dicono che non si fa, perché la coerenza di temi, stili, tono ecc. la devi mantenere dall'inizio alla fine del libro.

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  5. Benvenuto su questo pianeta e grazie dell'apprezzamento! :-)
    Il tuo blog sembra molto... appetitoso. Mi sa che mi piacerà parecchio. ;-)

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  6. te lo già detto era scritto così o è un refuso tuo?

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    1. Uh, hai ragione. No, no, almeno (solo) quello è un refuso mio. ;-)

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  7. anche Houellebecq mi da quelle sensazioni...eppure vende un sacco di libri

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    1. Premesso che anche a me Houellebecq non garba. Voglio dire, ho letto solo l'acclamato "Le particelle elementari" e mi sono fatto due palle tante. Tuttavia non c'è paragone tra Houellebecq e Arpaia. Cioè Houellebecq sa scrivere, eccome! Arpaia no. Per niente.

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