Punti di vista da un altro pianeta

giovedì 2 settembre 2010

Il cimitero dei senza corpo (2 di 2)

Qui trovo maggiore compostezza tra i visitatori. Senza alcuna concessione al respiro, si scivola tra pannelli che raccontano le tragiche storie delle migliaia di esseri umani passati di qui in più di un decennio di "attività". Ci sono i prigionieri politici, quelli colpevoli solo di far parte di altri popoli (Zingari, Ebrei e Polacchi, ma anche Austriaci, Italiani, Francesi, Spagnoli...), e quelli rei di essere lombrosianamente diversi (le facce da criminali, da asociali, da disadattati, da oziosi...). Gli omosessuali, i preti, i Testimoni di Geova, le prostitute, i vagabondi, gli alcolizzati e i mendicanti. Alla fine si scopre che qui a Dachau non si sono fatti mancare proprio niente. Ci si imbatte nell'astuccio che contiene una quindicina di ciocche di capelli in gradazione dal biondo al rosso al nero, come una cartella colori RAL, numerate (e dunque codificate) per una comoda, rapida e infallibile determinazione del grado di arianità della razza. Stessa cosa per gli occhi. E si può osservare una specie di appoggio orizzontale fatto di listelli di legno, dove venivano fatti disporre bocconi i prigionieri per poter essere bastonati con maggior efficacia (apposito frustino in nerbo di bue flessibile incluso nella confezione). Per non parlare delle sezioni dedicate agli esperimenti scientifici che a Dachau vennero svolti con grande solerzia, vista la grande disponibilità di cavie (umane) a perdere.

E almeno un paio di volte non posso evitare di essere sopraffatto dall'empatia e dalla commozione, come quando lo sguardo mi si posa sulla cartolina disegnata con immenso e tangibile amore, che un ospite del campo ha spedito a casa come augurio alla mamma per la sua festa (vedi a fianco), oppure nella riproduzione del dipinto così intriso di profonda e assoluta disperazione che il prigioniero David Ludwig Bloch realizzò nel 1940 dopo la sua liberazione (vedete qui sotto). Oltre a individui, ci sono anche comitive. Ce n'è una proprio qui, vicino ai pannelli che parlano degli ebrei. La guida parla loro in inglese, ma non so da dove vengano. So che alcuni ragazzi della comitiva si siedono contro un muro della sala, aprono un paio di confezioni di patatine e cominciano a sgranocchiarle. Non fanno casino. Non è che ridano o chissà che. Però quel comportamento mi dà fastidio. Lo trovo irriguardoso. In questa sala ci appendevano i prigionieri con le mani dietro la schiena come maiali pronti per essere scannati. Ci sono ancora i segni delle travi da cui pendevano i ganci, accompagnati dagli agghiaccianti disegni fatti dai prigionieri. Eppure quei ragazzi non ci vedono alcun problema a improvvisarci un bel brunch. Crunch crunch crunch. È un problema mio? È la mia ipersensibilità marziana? Non lo so. Ma intanto il retrogusto di prima è tornato alla ribalta come un conato di bile.


La testimonianza prosegue di tragedia in tragedia fino alla liberazione del 1945. Poi, prosciugati dal lungo orrore, si esce sul piazzale antistante, assolato come un deserto, dove c'erano le due file di diciassette baracche ciascuna che ospitavano i prigionieri. Oggi ne restano solo due, ricostruite per essere visitate, con le brande in legno a castello a tre piani. In fondo al viale, i memoriali dedicati ai cattolici, ebrei e musulmani che qui hanno lasciato la vita, mentre più in disparte il crematorio. Tornando verso l'edificio principale si nota una grande scultura che domina il piazzale. Si tratta del Monumento Internazionale alla Memoria di Nandor Gild (1968) che stilizza un filo spinato con un groviglio corpi umani. Trovo sia molto bella e che valga la pena una fotografia. Ma sembra che, dopo il cancello con la scritta, questo sia il soggetto preferito dai visitatori. Tutti lì davanti a farcisi fare una foto da far vedere alla mamma. E io, che vorrei scattare una foto senza (un cazzo di) nessuno davanti, non riesco. Cioè per un po' paziento e aspetto l'attimo buono. Poi arrivano due tizi (NB non italiani) che hanno tutta l'aria della coppia di omosessuali (ma magari mi sbaglio, eh). Comunque sia, 'sti due gironzolano avanti e indietro il monumento per un po'. Poi si decidono. Uno - quello con la macchina fotografica - si allontana e va a prendere posizione per l'inquadratura. L'altro si mette in posa sotto il monumento. Quindi mentre il primo comincia ad allineare l'obiettivo della digitale per lo scatto, l'altro fa una risatina, si volta di culo e mima di tirarsi giù i calzoni (giuro, non me lo sto inventando). Quindi si rigira per essere immortalato, ancora più divertito.

Finalmente riesco a farla, 'sta fotografia, dopodiché mi allontano. Lo sgradevole retrogusto di prima ha finalmente trovato una connotazione precisa nel momento in cui mi viene da domandarmi se questi due, ma anche coloro che ormai in parecchi vedo intorno a me, si rendono davvero conto di quello che è successo qui, su questa medesima terra che i nostri piedi stanno calpestando. Se percepiscono il dolore che ha attraversato questo luogo. Non un dolore qualsiasi, ma un dolore che un uomo ha inflitto a un altro uomo con l'animo di chi si diletta in una nuova raccapricciante disciplina sportiva. O se invece costoro guardano le fotografie di umanità violata e leggono le testimonianze di gratuita sofferenza con lo stesso animo con cui si piazzano davanti a un film con Christian De Sica o - per essere più internazionali - a una puntata di Desperate Housewives. Ci troviamo forse davanti a un pericoloso processo globale di fictionizzazione delle coscienze?

Esco riflettendo che non si va a Dachau per fare del turismo. Non si va a Dachau per giocare a nascondino. Non si va a Dachau per mettersi in posa. Del resto a Dachau mica ti vendono le palline di vetro che se le capovolgi, sulla piccola schiera di baracche vedi scendere la neve. Ma forse è solo perché nessuno ha ancora pensato di farle con la cenere.

/continua

37 commenti:

  1. E ribenvenga il continuo di questa attenta narrazione delle tue vacanze... Ennesimi flashback a raffica... Ricordo il mio vecchio professore di Storia e Filosofia che diede un ceffone sul viso ad un mio amico perchè si permise di ridere di una foto di uno dei deportati che a suo dire aveva un'espressione buffa... Per un paio di giorni feci fatica a rivolgergli la parola (all'amico ovviamente non al prof che aveva fatto una cosa sacrosanta)... Ricordo le 3 file parallele e sovrapposte di assi di legno, riproduzione fedele in uno dei capannoni delle zone dove i deportati dovevano dormire, ammassati gli uni sugli altri, in uno spazio talmente ristretto che ti veniva la claustrofobia solo a guardarlo, ricordo il freddo pungente quando uscimmo sullo spiazzale esterno, c'era anche un pizzico di foschia che rendeva tutto ovattato, come in un film drammatico, ricordo, ricordo e ancora ricordo, non si vive di soli ricordi, ma i ricordi servono sempre a qualcosa...

    La riflessione finale ad esempio è un ottimo modo per concludere questo stupendo post in due "atti"... Grande Marziano.

    RispondiElimina
  2. Fictionizzazione delle coscienze: non avrei saputo dirlo meglio. Vorrei tanto dire che forse hai torto, ma hai pienamente ragione, purtroppo.
    Grazie per questo meraviglioso racconto. Non sono mai stato in un campo di stermino, ma ci andrò, prima o poi. Credo sia un'esperienza necessaria.

    RispondiElimina
  3. Ho letto velocemente ,devo scappare, ma ...non se sai che una nota catena di ipermercati tedesca,qualche anno fa, voleva acquistare il tutto ,per farne un mega centro commerciale.

    RispondiElimina
  4. Io oggi piango e basta, scusa ma è così.
    Ti abbraccerei talmente forte per condividere almeno 1/100 delle emozioni diverse e contrastanti,invadenti e prepotenti che vivo sotto ogni centimetro di pelle.
    Ci andrò prima possibile!
    Grazie per aver condiviso con noi il tuo viaggio ed averci fatto capire il valore del ritorno.
    Con stima,
    Heidi

    RispondiElimina
  5. Condivido in pieno la tua amarezza finale. Più che fictionizzazione la chiamerei inferiorizzazione, instupidimento, banalizzazione (temo inarrestabile) delle coscienze e dei cervelli. Magari la sofferenza stagnante la percepiscono pure ma li diverte, come quegli sciacalli di merda che si fermano a gustarsi gli incidenti mortali in autostrada, e ci fanno pure il filmino che verrà guardato su youtube da milioni di stronzi deficienti. Certa gente mi fa diventare cattivo al punto da spaventarmi di me stesso, arrivando a pensare che se ci fossero tecniche scientifiche per riconoscere, non gli omosessuali o i non ariani, ma gli imbecilli pronti a sgranocchiare patatine dentro il macello umano, forse un bel campo di concentramento lo si potrebbe costruire proprio per costoro. Ma so che non è un pensiero giusto, e subito dopo me ne pento. Però te lo affido lo stesso. E come ieri ti ringrazio per questa tua tremenda testimonianza.

    RispondiElimina
  6. Il mio sogno proibito è un raggio laser che incenerisce i deficienti quando le fanno troppo grosse, tipo fingere di mostrare il culo davanti al monumento ai morti di Dachau. Pentendomi, come Zio Scriba, di aver pensato una cosa tanto crudele, mi accontenterei di un test che individuasse questo tipo di stupidità e insensibilità e togliesse il diritto di voto a chi risultasse positivo.

    RispondiElimina
  7. Come diceva Einstein ci sono 2 cose infinite: l'universo e la stupidità umana. Sulla prima non siamo sicuri.

    RispondiElimina
  8. Ho atteso e letto con attenzione i tuoi racconti avvolta da più di un sentimento ma quello che ha prevalso è la vergogna. Vergogna per l'uomo che ha architettato tutto questo, per chi lo ha permesso, per chi lo ha perpetrato, per chi ha accettato e nascosto per finire con chi per stupidità, ignoranza e aridità non ha rispetto di tanta sofferenza. Grazie Yin

    RispondiElimina
  9. Caro Marziano,

    io sono una vecchia ragzza tedesca nata nel'68 che è cresciuta in germania, istruzione superiore, genitori dotati di coscienza storica e con parenti morti ad auschwitz. Grazie a questi ingredienti ho trovato il modo di rapportarmi con l'orrore del regime nazista cercando sempre di comprendere l'incomprensibile.
    Credo che dopo 70 anni e con pochissimi testimoni oculari rimasti in vita bisognerebbe ripensare su come conservare la memoria storica degli eventi. il "rospo" che ti ha commentato per primo riferisce di uno schiaffo "sacrossanto" dato da un professore ad un ragazzo che rideva di una faccia buffa di un detenuto - tu stesso hai avvertito un fastidio non meglio definibile alla vista dei ragazzi che si mangiano tranquillamente in un luogo in cui ancora oggi (ma solo se si sta fermi e in silenzio assoluto) sembra di sentire le urla dei disperati. ecco io non credo che si possa educare un ragazzo con degli schiaffi all'empatia cosi che di suo e spontaneamente assumi un comportamento più conosno e sopportabile per noi grandi, noi "che sappiamo". credo che bisogna parlare a loro nel momento in cui si comportano in maniera superficiale - per esempio credo che avresti potuto avvicinarli e chiedergli di mangiare in un altro luogo. credo che spiegare l'inspiegabile, raccontare l'innarrabile sia difficilissimo. non so, anche il mio commento è solo un tentativo...grazie di aver condiviso la tua esperienza con noi!

    love, mod

    RispondiElimina
  10. ...correggo un refuso: "che si mangiano tranqillamente le patatine in un luogo...."

    RispondiElimina
  11. @Il rospo dalla bocca larga: grazie di aver condiviso i tuoi ricordi e dell'apprezzamento. Io l'ho visitato in una giornata estiva. Ma il sole nulla ha potuto contro gli echi di dolore dal passato.

    @Alessandro Cavallotti: come mi pare di aver già detto, una visita come questa dovrebbe essere obbligatoria. E Dachau credo sia anche il "campo" più facilmente raggiungibile dall'Italia.

    @ReAnto: questa non la sapevo ed è chiaro che non viene riportata nella "biografia" del "campo". È tuttavia sintomatica della superficialità diffusa verso la memoria e il ricordo. E anche della sua sottovalutazione in chiave culturale ed educativa. Perché in fondo non mi sorprendo?

    @Heidi: l'abbraccio è arrivato forte e lo ricambio con lo stesso calore. Grazie a te. Anche delle lacrime.

    @Zio Scriba: ho usato "fictionizzazione" perché è un fenomeno legato a non prendere ciò che si vede per reale. Un comportamento che è costruito dall'assuefazione tutto sommato recente alla civiltà dell'immagine dove anche la cronaca è fiction. E la fiction è cronaca. Ovvero dove non c'è più alcuna distinzione tra realtà e immaginazione, tra storia e fiction. Circa le tue reazioni, credo siano perfettamente (e meravigliosamente) umane. E - ti confesso - anche un po' marziane. Purtroppo non c'è una soluzione, se non parlarne, parlarne, parlarne.

    @knitting bear: se fosse disponibile un test di questo tipo, oltre che impedire ai "positivi" di votare, bisognerebbe anche impedire loro di riprodursi.

    @Inneres Auge: sulla prima ci stiamo lavorando, sulla seconda no.

    @Erotici Eretici: sapere di essere riuscito a trasmettere l'empatia di una mia esperienza con qualcosa che ho scritto, è il complimento più bello che mi si possa fare. Grazie.

    @mod: ti ringrazio moltissimo della tua testimonianza "diretta", e per questo ti invito a seguire questa serie di post sul mio viaggio, in quanto da nata e cresciuta in Germania potrai confermare, smentire, integrare, criticare le mie impressioni e quelle di chi commenta.

    Sono d'accordo con te. I memoriali sono fondamentali. Ma sono luoghi per coloro che decidono di andarci. Bisognerebbe invece pensare (e impegnarsi) a come certe memorie possano diventare parte integrante di un progetto culturale e possano andare ad attestarsi nelle coscienze dei cittadini del mondo. Ma forse a certuni (che non sono pochi) questo non fa molto comodo...

    Quanto ai ragazzini e al dire loro qualcosa, poiché facevano parte di un gruppo, ho pensato che avrebbero dovuto essere gli "educatori" a dire loro qualcosa. Un mio intervento mi è parso inopportuno, rispetto a questa gerarchia. E, almeno in questo caso, sul momento sono stato anche sfiorato dal dubbio di essere esagerato io.

    PS Direi che l'aggettivo "vecchia" nel tuo caso è decisamente prematuro. ;-)

    RispondiElimina
  12. bé anch'io son contraria ad ogni forma di violenza, se pensassi l'inverso andrei in contraddizione con la sensazione che ho provato in visita lì… io semplicemente ho avuto un mancamento, in senso letterale e in senso figurato! Appena son entrata non mi son sentita più reale… non saprei come spiegarlo! Ma credo e son convinta, che ci siano mete non per tutti, tutto qui. Per quanto una persona si sforzi (educatrice e non) di inculcare e condividere con i ragazzi alcuni concetti, alcune porzioni di vita, alcuni non recepiscono e basta! Lo schiaffone, non in senso fisico, l'avrei mollato a tutti e quattro! :((((

    RispondiElimina
  13. @petrolio: la sensazione di non essere reali è vera. Un po' come stare sott'acqua, ovvero in un luogo che non fa parte della natura umana. Secondo me è frutto di un'inconscia incredulità di fondo, al pensiero che un essere umano sia stato capace di tanto.

    Sull'impossibilità del recepimento di determinati concetti da parte di taluni soggetti non sono d'accordo. Magari soggetti diversi hanno bisogno dell'applicazione di metodi di insegnamento diversi. So solo che una convinzione di questo tipo non dovrebbe essere un alibi per rinunciare a provare. Ma sarà anche che sono un ottimista di natura... ;-)

    RispondiElimina
  14. secondo me bisogna sempre cercare di superare la gerarchia in atto e agire di persona. credo che ogni volta che siamo a disagio per un qualcosa che sentiamo o vediamo dobbiamo intervenire, parlare, spiegare, alzare la voce in modo tale da attirare l'attenzione.
    anche nelle piccole situazioni.

    una riflessione ancora che mi viene dal tuo intervento: il regime nazista basava il proprio potere proprio zu una ferrea gestione della "gerarchia". la parola stessa mi da i brividi.

    ti ringrazio ancorA: mi hai dato l'impulso per un post. ti citerò. :) love, mod

    RispondiElimina
  15. grazie marziano
    per la tua cronaca
    purtroppo ci ho riconosciuto quelle scene vissute con i ragazzi che ho accompagnato in altri luoghi del dolore immenso provocato dall'uomo. ho ricordato come ti sei sentito tu vivendo quelle scene o simili
    'lindiffeenza per il ricordo è uno dei più gravi peccati per l'umanità attuale

    c'è poco da dire di più...

    RispondiElimina
  16. @mod: nella situazione in questione devo confermare che insieme al fastidio, sono stato assalito dal dubbio che la mia sensazione fosse "esagerata", quella nei confronti dei ragazzini che facevano merenda, intendo, visto che non facevano casino, si sono solo seduti per terra contro un muro a sgranocchiare patatine. E' anche per questo che non mi è venuto da dire loro alcunché. Ho registrato la sensazione chiedendomi se era appropriata, o se forse stavo giudicando con un metro fuori misura.

    @Itsas: anche il ricordo dell'indifferenza è piuttosto spiacevole. Grazie a te, Itsas.

    RispondiElimina
  17. marz) la hai provata la sensazione. e tanto basta. dobbiamo fidarci delle nostre sensazioni e del nostro giudizio. ne sono convinta. e tanto per fugare ogni dubbio: anche a me avrebbe urtato la scena.

    love, mod

    RispondiElimina
  18. Io temo che certe persone siano convinte di andare a Dacau (o in qualunque altro ex campo) come se andassero a vedere un set cinematografico. Temo che pochi di loro abbiano davvero ascoltato le storie o guardato le foto, temo che si stia perdendo il rispetto per la memoria della verità. Perchè c'è chi la vorrebbe dimenticata, la verità.
    Grazie marziano, ero con te, leggendo.

    RispondiElimina
  19. Ciao,
    sono Milo e vengo da Mod dove ho lasciato parte di questo commento. Ho scoperto solo ora il tuo blog.

    Ci saranno sempre persone insensibili, o solo magari un po' (troppo) stupide e superficiali che non sapranno cogliere l' orrore e la sacralità di quei luoghi. Fa niente. L'importante è che si sappia, che se ne parli e soprattutto che la verità non rischi mai di essere negata.

    Forse gli stessi ragazzi che hanno mangiato patatine a Dachau, domani, memori di ciò che comunque hanno visto e saputo oggi, sapranno dire NO all'adesione ad una futura persecuzione razziale. Perché il rischio c'è e ci sarà ancora nel futuro (spero solo in quello prossimo, dopo l'Umanità, se sopravviverà, dovrebbe riuscire ad affrancarsi dall'odio razziale).

    Grazie di questa testimonianza importante e coinvolgente.

    RispondiElimina
  20. Grazie di quello che hai scritto, è quasi tutto quel che ho da dire.
    Se non che, sulla "fiction" ... io a quindici anni mi vidi davanti macerie dove avrebbe dovuto trovarsi la stazione della mia città. E pensai, sentii, fui sicura che si trattasse di un film o di una fotografia; fino a che spostando lo sguardo non vidi le espadrillas e i polpacci magri di un uomo seduto a piangere sul marciapiede, e compresi.
    Forse è una difesa naturale dall'orrore, o forse è che il significato umano dell'orrore, perché penetri, ha bisogno di qualcosa di più: di qualcosa di umano, come quell'uomo che piangeva, o forse di tempo, coscienza, attenzione ...
    E ancora: come si fa, a "educare" a sentire l'orrore? Il ceffone, qui, è forse l'unica cosa che ha senso - perché il contegno, il rispetto espresso dal corpo e dall'atteggiamento insegnano anche al cuore e alla mente cosa provare.

    RispondiElimina
  21. @Tutti: grazie davvero del vostro apprezzamento e della condivisione delle vostre testimonianze e dei vostri sentimenti. Per chi non l'avesse visto, consiglio di andare a visitare il blog di mod, in cui c'è un interessante intervento sul tema. Lo trovate qui: http://modestysrules.blogspot.com/2010/09/sopravvivere-ad-auschwitz.html (fate un bel cut&paste).

    @paté: quello che dici per certi aspetti è proprio ciò che intendevo io con "fictionizzazione". Il punto, però, è che Dachau non è dietro l'angolo. Dachau non è al centro di un'area già ricca di attrazioni turistiche. Insomma, a Dachau ci devi venire *apposta*. E se decidi di venirci, lo fai perché lo vuoi, perché ci hai pensato, perché sai che cos'è e che cosa significa dal punto di vista storico e morale. Dovresti essere preparato insomma, che non è Porta Portese.

    Sul fatto poi, che c'è chi vorrebbe dimenticata la verità (e la storia), lo abbiamo continuamente sotto gli occhi.

    @Milo: hai ragione sulla faccenda dei ragazzi. Non posso giudicare quello che la visita ha comunque lasciato loro, a prescindere da quei pochi minuti di comportamento inappropriato.

    La mia osservazione era più che altro rivolta alle capacità empatiche che questa nostra società (non) permette di sviluppare negli individui.

    @Ipazia: riguardo la tua esperienza (penso sulla strage di Bologna), penso sia una reazione psicologica normale, in quanto l'incredulità - come dici anche tu - è una difesa contro l'orrore e la tragedia. Credo che faccia parte dello stato di shock, insomma. Soprattutto considerando che quello fu un evento terroristico tragicissimo, nonché improvviso e imprevedibile. Un po' come guardare le Torri Gemelle crollare.

    Nel caso di Dachau, invece, come accennavo sopra a Patéd'animo, si parla di gente che ha deciso di fare una visita a un memoriale, di andarci apposta, insomma. L'educazione all'"orrore" non esiste. Voglio pensare che esistano però l'educazione alla "sensibilità", alla "comprensione" e alla "solidarietà". Ma di certo non fanno lezioni a puntate su "Italia 1" o "Rete 4". O sì?

    RispondiElimina
  22. @l Marziano: quello che scoprii quel giorno fu di avere degli "ammortizzatori" emotivi che mi difesero dallo shock sospendendo, per così dire, la realtà di quello che vedevo, ma che furono anche un muro che mi impediva di vedere, e sentire, la sofferenza umana che c'era dall'altra parte. E credo che questa capacità di "sospendersi" non sia soltanto mia, e che sia solo in parte una benedizione per il genere umano: ci difende, ma ci rende anche incapaci di sentire quello che non ci raccontiamo. Anzi, credo che sia la stessa capacità per la quale un essere umano è in grado di torturarne un altro - non di lottarci, ferirlo, o ucciderlo, come animali di altre specie fanno fra loro, ma di farlo soffrire a freddo, sperimentalmente, deliberatamente, scientificamente, per così dire - e non sentire sulla propria pelle quello che sta facendo. E', credo, la dote grazie alla quale per ritornare alla schietta capacità di sentire il dolore degli altri abbiamo bisogno di uno sforzo di attenzione e di coscienza.

    Così, scrivevo per dire che fai bene a denunciare la "fictionizzazione", ma nello stesso tempo c'è in essa qualcosa di comprensibile e umano, la tendenza a filtrare il dolore, e la tendenza a vivere solo quel che ci raccontiamo e nel modo in cui ce lo raccontiamo.
    Mi rendo conto, invece, di aver evocato l'unica cosa che del genere umano mi pare veramente spaventosa.
    Insomma: l'educazione all'orrore è esattamente la fiction, il racconto. E non so fino a che punto questo racconto permetta di fare il passo ulteriore - tornare a vedere e sentire il dolore dell'altro essere umano - e fino a che punto, invece, questo mondo interpretato e raccontato non divenga uno schermo invalicable: forse quei ragazzini si sono sentiti davvero come su un set cinematografico - e magari qualcuno ha creduto che lo fosse davvero.

    Uff, scrivo troppo e pare che non riesca a evitare di lanciarmi nell'antropologia filosofica a sproposito, scusa

    RispondiElimina
  23. @Ipazia: sono abbastanza certo che determinate modalità di confrontarsi inconsciamente col dolore e l'orrore, per difendersi da essi, siano tipicamente umane (e anche marziane). Ma l'educazione all'orrore e al dolore non credo che passi solo attraverso il racconto. Perché il racconto non è esperienza. Ci vuole qualcosa di più allargato. Come accennavo sopra, penso sia necessaria una educazione generale degli individui alla sensibilità, alla solidarietà e alla comprensione dell'altro.

    Ma purtroppo questi non sono valori particolarmente promossi dalla civiltà umana di questi ultimi trent'anni. Ma forse nemmeno prima. Ci resta dunque il racconto, la memoria e, magari, anche un po' di antropologia filosofica, che ogni tanto non fa male. Grazie. :-)

    RispondiElimina
  24. E' la società stessa che educa all'insensibilità cronica e la maggior parte della gente si lascia inculcare incoscienza, violenza e tolleranza dell'intollerabile con una mansuetudine di cui talvolta mi son stupita (ora non più). Parlo dei film che ieri non ci saremmo mai sognati di guardare noi per primi e che oggi sono etichettati come film per bambini, parlo dei videogiochi che fanno scandalo solo poco prima che vengano lanciati sul mercato e poi "ma sì dai, è solo un videogioco"... (A proposito, lo sapevate che i primi videogame di guerra erano stati creati appositamente per desensibilizzare le coscienze dei futuri soldati in addestramento?)
    E intanto le percezioni reali si sfaldano e l'orrore del passato rimbalza di menefreghismo in menefreghismo finchè non incontra qualcuno come te che, miracolosamente, è ancora capace di percepirlo. Ma è di te che bisogna stupirsi oggi...Sei tu fuori standard, mica chi si cala le braghe e ride in faccia all'olocausto.
    (Io sono un'intollerante e sono fiera di esserlo).

    RispondiElimina
  25. @Vaniglia: non sono certo che la società educhi all'insensibilità. La società persegue i suoi obiettivi che, allo stato attuale sono: il benessere, la ricchezza e le soddisfazioni materiali. E per farlo persegue ogni mezzo, che poi finisce per essere un escalation, perché la società dei consumi per funzionare ha bisogno di "prodotti" sempre nuovi, migliori, più grandi, più forti, più belli, più performanti, più convenienti, più colorati, più sexy, più spettacolari, ecc. Se "le cose" sono tutto, se si vive per avere, invece che per essere (tanto per citare banalmente Fromm), si rivoluziona la scala di valori su cui gli esseri umani basano le loro vite. E questo porta all'insensibilità.

    E' come essere nel bel mezzo di un'epidemia di cui però mancano gli anticorpi. Ma chi è che dovrebbe fornirli gli anticorpi? La società stessa? Sarebbe come chiedere a un virus di debellarsi da sé. Secondo me solo due soggetti potrebbero fornire agli individui gli anticorpi necessari a resistere a questo stato di cose, ovvero a educare alle scale giuste di valori: la famiglia e la religione. Ma la prima per lo più se ne frega, poiché i loro componenti sono immersi nei medesimi meccanismi di cui sopra. Dal canto suo la seconda fa finta di resistere, ma all'atto pratico è connivente col sistema.

    Che poi io sia "fuori standard", è un dato di fatto, giacché sono marziano. ;-)

    RispondiElimina
  26. Mi trovi d'accordo su tutta la linea e dato che, sti anticorpi, dalle "religioni" proprio non ce li possiamo aspettare considerato che sono tra le fautrici principali dei meccanismi consumistici di cui sopra, secondo me dovremmo cercarli direttamente alla fonte: Dio (che con le religioni odierne non c'entra più un fico secco, d'accordo, ma con una Bibbia alla mano direi che ci si può tuttora egregiamente arrangiare...).

    RispondiElimina
  27. @Vaniglia: però se prendi in mano una Bibbia ti riferisci comunque a "un" determinato Dio e a una determinata ortodossia codificata (da qualcuno, sotto determinate condizioni storiche, geografiche, antropologiche, culturali, sociali ecc.).

    Una vera evoluzione dell'essere intelligente a mio avviso dovrebbe passare attraverso la laicizzazione della morale e dei valori, ovvero a uno svincolo completo dell'etica da qualsivoglia "proposta" religiosa che finisce per imporre modelli di esistenza terreni.

    RispondiElimina
  28. Ciao, avrei bisogno urgente di farti qualche domanda sul Campo di Dachau, perchè è venuta a trovarmi la mia famiglia e abbiamo deciso di andarci mercoledì mattina , partenza 8:00. Tieni conto che io abito a Trento quindi il viaggio non è lungo, sono solo 3 ore e 1/2. Andiamo in macchina. Consigli sul posto e soprattutto visto che è previsto ANCHE per mercoledì un po' di pioggia, che dici? Può condizionare la visita?
    Grazie Marziano!!!!Guarda un post quante anime ha coinvolto in pochi giorni!
    Attendo con ansia.
    Heidi

    RispondiElimina
  29. Ciao, Heidi! Vi mettete in viaggio per merito mio?! 8-)
    Sono contento di avervi "stimolato" a riguardo.

    Per quanto riguarda le tue domande, devo dire che la stragrande maggioranza della visita si svolge all'interno dell'edificio principale, quindi la pioggia non condiziona. E' ovvio che gli spazi aperti sono molto ampi e quindi i tragitti all'aperto ci sono e sono lunghi, soprattutto volendo visitare anche i Memoriali e il Crematorium.

    Per il resto posso consigliarti, se non hai il navigatore, di farti il tragitto con Mappy. Come scrivo nel post, usciti dall'autostrada bisogna stare molto attenti alle indicazioni per KZ-Gedenkstätte. Infine, al Bookshop del campo hanno il libro con tutti i testi dell'esposizione (e le foto dei reperti) in tutte le lingue, anche in italiano, con annesso DVD. Costa solo 15€. Imperdibile.

    Ultima cosa. Visto che ci vai... Nel post cito l'astuccio con le ciocche di capelli per la determinazione della razza. Ebbene, ero convinto di avere fatto una foto, ma non ce l'ho. Mi è anche venuto il dubbio di averlo visto non a Dachau, ma al Museo della Storia Tedesca di Berlino. Se c'è, gli fai una foto e me la mandi? Grazie.

    Allora mi raccomando, aspetto le impressioni tue e dei tuoi familiari.
    Un saluto.

    RispondiElimina
  30. Marziano grazie di cuore,è tutto merito tuo!
    Ho appena stampato la tua risposta così non sbaglierò niente e ti farò certamente la foto.
    Un bacio,
    Heidi

    RispondiElimina
  31. Grazie dei bellissimi post, e dell'emozione intensa resa da ogni momento del tuo racconto così pieno di profonda umanità.
    Inevitabile e giustificatissima l'indignazione di fronte al comportamento assurdo di certe persone.
    Non si è mica marziani a caso.

    Il tema è il più dolente per me, tanto che non so se riuscirò mai a fare il tuo viaggio.
    Leggo il tuo resoconto così perfetto eppure tutto quello che è successo ancora continua a sembrarmi una verità inaccettabile.
    Mi sento soffocare solo a leggere di tutto quell'infinito assurdo dolore.
    Non so proprio come mi prenderebbe ad andarci di persona.
    Eppure sento - so - che è un viaggio da fare, che bisogna fare.
    Magari un giorno, chi lo sa.

    Intanto, grazie.
    Sapere che non ci vanno solo visitatori a farsi le foto, ma anche cuori che portano la testimonianza di memorie che non dimenticano è una cosa che allevia lo spirito.

    Un abbraccio anche a Heidi e al suo coraggio di prendere e partire così su due piedi, lei sarà certamente uno di quei cuori, e il suo omaggio sarà il più giusto.

    Un saluto, e ancora complimenti per il bellissimo blog.
    Sally (del mondo di Sally)

    RispondiElimina
  32. @Cristina: in realtà il resoconto non è affatto così perfetto, ma miracolosamente sembra sortire l'effetto per cui è stato scritto. Ed è qualcosa.

    Grazie, grazie e ancora grazie delle tue belle parole.

    RispondiElimina
  33. Marzy...mio fratello ha la febbre, il tutto è rimandato di un paio di giorni,avevamo anche prenotato una macchina a sette posti per viaggiare tutti insieme e niente! Comunque tempo qualche giorno e andremo e ti farò avere la foto. Che delusione, però con questo tempo del cavolo è impossibile non prendersi i malanni, soprattutto per M. che arriva dai 35 gradi della Sardegna e qui oggi ne ha fatti 17 più la pioggia. Speriamo che guarisca presto.
    Heidi

    RispondiElimina
  34. @Heidi: visto il tempo che fa dalle vostre parti in queste ore, mi sa che tutto sommato posticipare di qualche giorno non sia poi una disdetta, anzi. Riguardo ai malanni e agli sbalzi di temperatura, dovresti vedere quassù, quando ci si sciolgono le calotte polari, tutti quanti con le antenne fasciate... :)
    Auguri di pronta guarigione a tuo fratello, allora, e a presto.

    RispondiElimina
  35. Voglio solo dire che ho letto tutta la discussione non fosse altro perché, anche se il parere di un singolo conta poco, mi sembra doveroso testimoniare ad ogni possibile occasione l'orrore per l'Olocausto, ma anche la conseguente vigile attenzione alle guerre, alle violenze, ai genocidi del mondo contemporaneo.

    RispondiElimina
  36. @Adriano Maini: grazie, Adriano, della tua visita e della tua testimonianza. Non bisogna mai abbassare la guardia.

    RispondiElimina

Poiché vorrei evitare di attivare la moderazione, vi prego di moderarvi da soli. Grazie.

License

Creative Commons License
I testi di questo sito sono pubblicati sotto Licenza Creative Commons.

Statistiche

Blogsphere

Copyright © Il grande marziano Published By Gooyaabi Templates | Powered By Blogger

Design by Anders Noren | Blogger Theme by NewBloggerThemes.com