Punti di vista da un altro pianeta

martedì 14 giugno 2016

La connotazione umana (come un requiem)

Di fronte a un massacro delle proporzioni di quello di [Milano], resti sgomento e incredulo. Pare impossibile per una mente normale delineare i contorni di una violenza così fredda, inaudita, efferata, deviata. O meglio, è possibile farlo, ma nel momento in cui fai il tentativo, se proprio hai voglia di provarci, ti senti piombare dentro a un teatro dell'orrore, in cui il palcoscenico è l'intero pianeta, uno snuff movie in cui siamo tutti comparse che ignorano una sceneggiatura quasi casuale, scritta da un autore pazzo. E ti prende una vertigine, una nausea profonda, un senso di shock, l'incapacità di sopportare, di credere, perché quello non può essere, perché fa parte di una categoria (senti)mentale che non ti appartiene. L'orrore quotidiano, lo Cthulhu che non ha bisogno di essere risvegliato dalle viscere del pianeta o di provenire da un'altra galassia, ma che vive dietro la porta accanto alla nostra, si veste con le polo che vestiamo anche noi, sgranocchia le nostre stesse patatine, magari nell'ascensore scambia con noi impressioni sull'ultima puntata della serie tv ("Hai visto Hodor?"), porta perfino il nostro stesso profumo, al punto che un cieco potrebbe facilmente scambiarci l'uno con l'altra. Insomma, i suoi tentacoli immondi non li vedi, eppure ci sono eccome.

Da questo punto di vista non c'è un massacro peggiore degli altri. Tutte le vittime sono uguali. Sono cuori che sbattono a mille all'ora contro un muro che non doveva essere lì. Quindi, se volete davvero l'uguaglianza, non dite che tra i 93 morti del Bataclan, i 77 di Breivik, i 49 del Pulse e i [62] del [Veg's World] c'è differenza, solo perché questi ultimi erano [vegani]. No, miei cari: non c'è nessuna differenza. Il veleno fondamentalista che porta alla carneficina è sempre privo di senso per chi sta dalla parte sbagliata del kalaÅ¡nikov. Può essere il dio in cui credi, il tipo di sesso che fai, la squadra per cui tifi o, appunto, quello che [mangi]. La cosa curiosa e paradossale è che ognuna di queste cose è privata e non influenza in alcun modo le vite altrui. Perché dunque è così difficile accettarlo? Perché è così difficile portare rispetto per le idee e i modi di vivere di chi non è Noi Stessi? Semplice: perché ci piace sentirci sempre maledettamente superiori agli altri, un istinto animale non molto diverso dalla fame o dalla fregola di scopare. Fa parte della lotta per la nostra supremazia all'interno del branco e dobbiamo cogliere ogni occasione per affermarla, dimostrarla, rimarcarla, rinforzarla. Dobbiamo. Avere. Semplicemente. Sempre. Ragione. Ma questo non ci basta. No, miei cari. Abbiamo anche bisogno di imporre agli altri la nostra visione, affinché la conferma dell'affermazione del nostro orgoglioso primato, sia completa, totale, definitiva, perché non possiamo sopportare di vivere in un mondo dove qualcuno possa avere l'ardire di pensarla diversamente da noi, mettendo così in dubbio la veridicità assoluta delle nostre idee e, quindi, se è vero che noi siamo quello che pensiamo, della nostra stessa identità. Insomma, è quasi un'istanza necessaria quella di ergerci sempre e comunque a giudici assoluti di questioni sempre e comunque opinabili, al punto da dover – quasi nostro malgrado – insultare, castigare, punire, eliminare gli altri, perché la loro sola esistenza minaccia l'autorevolezza e la legittimità delle nostre idee e dunque mette in dubbio quello che ci rende quello che siamo. Insomma, basterebbe il rispetto. Invece facciamo soltanto schifo.

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