Punti di vista da un altro pianeta

venerdì 2 ottobre 2015

Il senso dello schermo per l'omosessualità

Può anche darsi che sia indotto in errore dalle circostanze del caso, ma mi è parso di notare negli ultimi tempi una piccola impennata dell'omosessualità mostrata in tv e al cinema, senza pregiudizi, veli, retorica o perbenismi. Parlo di qualcosa di più dell'ormai classico Almodovar. Serie cult come Sense8, Orphan Black, Penny Dreadful, Vicious ma anche un film – in questo caso italiano – come Io e Lei, ci parlano finalmente dell'omosessualità maschile e femminile con la stessa naturalità con cui il cinema ci ha mostrato l'eterosessualità a partire dal 1896 (data del primo bacio cinematografico - invero assai casto, ma che allora destò comunque scandalo - tra May Irwin e John C. Rice in un video di pochi secondi). E ce la mostrano, senza tabù, censure, malizie o altri artifici narrativi volti a zuccherare una pillola che per taluni spettatori potrebbe essere altrimenti troppo amara da mandare giù.

E questo a mio avviso è un segno. Un segno molto importante. Perché significa contemporaneamente due cose: una causa e un effetto, dove l'effetto può essere causa, ma anche il viceversa. Innanzitutto l'apertura esplicita della narrativa filmica (quindi sia il cinema che la televisione, ma forse soprattutto la televisione che ha una diffusione maggiore) all'omosessualità intesa come condizione naturale dell'essere umano e come tale rappresentata, è segno che i tempi sono davvero maturi per un deciso salto in avanti della civiltà, per lo meno di quella occidentale, verso il riconoscimento e il rispetto totale di tutti i tipi di relazioni affettive, un percorso ormai inevitabile che nessuna sentinella in piedi, partito politico, teoria (del gender), movimento o associazione potranno mai arrestare.

In secondo luogo l'assistere sugli schermi allo svolgersi di queste storie secondo queste modalità di racconto, educa più di quanto si possa pensare lo spettatore alla normalità. Così, dopo aver visto sullo schermo i personaggi omosessuali abbracciarsi, punzecchiarsi, lasciarsi, baciarsi, litigare, consolarsi, piangere, riconciliarsi e anche, perché no?, scopare e andare a fare la spesa, con la normalità di tutte le coppie di questo mondo, quando li vedremo al parco far scorrazzare il loro cane, sul corso per mano a guardare le vetrine o sul lungomare abbracciati ad ammirare il tramonto sull'orizzonte, nessuno farà più caso a loro, come è giusto che sia, perché grazie (anche) a quello che abbiamo visto sugli schermi, saranno entrati a far parte della normalità di tutti, come già lo sono tutti quanti gli altri. Così finalmente non ci sarà più nessuno a darsi di gomito, sussurrare nelle orecchie («Guarda quelli...»), sollevare i sopraccigli, e fare risate o battutine. In fondo l'omofobia comincia da lì ed è da lì che deve cominciare a finire.

10 commenti:

  1. Ascolto i discorsi tra la "gente comune". So che chi non è eterosessuale è visto ancora come qualcuno che "ha un problema" e questo lo dicono non soltanto le massaie ma pure gente acculturata. La nostra società non è abbastanza matura e se non cambia la coscienza civile, l'educazione che arriva dalla televisione non serve a niente.

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    1. Il punto è proprio quello, come pensi che una società possa "maturare" o "cambiare la coscienza civile"? E' semplice. Col tempo. Abituandosi all'idea. E come abituarsi all'idea? Prendendo coscienza che la cosa è "naturale", rendendosi conto che, in giro, sempre più persone pensano che sia naturale. Ci vuole tempo. Anni. Forse addirittura una o due generazioni affinché il cambiamento sia completo. Ma la televisione qualcosa fa eccome. La televisione è un "condizionatore" enorme, nel bene e nel male. Magari in questo caso non nelle persone più anziane, ma nei giovani di sicuro un input lo da. E questi sono gli input migliori, perché non ti dicono niente esplicitamente, non ti dicono "l'omofobia è male, tu omofobo sei uno stronzo", ma ti fanno passare il messaggio in maniera implicita. E tu, spettatore, implicitamente lo registri e piano piano, senza neanche rendertene conto, cambi la tua visione e dopo un po' ti accorgi di avere modificato il tuo atteggiamento.

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  2. Ciao @Hal (spero tu non ti dispiaccia se ti chiamo così).
    Ho letto il tuo articolo e sono parzialmente d’accordo, o meglio: ci terrei a fare delle precisazioni.
    Dal mio punto di vista, il fatto che l’omosessualità venga (finalmente) mostrata sugli schermi non implica una automatica (o progressiva) accettazione della stessa. Si badi, infatti, a come essa non sia mostrata con le stesse identiche finalità dell’amore eterosessuale, quali: suscitare sentimenti di compassione, immedesimazione, gioia, tristezza e così via; piuttosto l’emozione portante, in questo caso, è dettata dalla presenza del “diverso”. Ci troviamo in una fase storica in cui l’omosessualità si trova esattamente in una zona di limbo, nella quale è considerata ancora strana, bizzarra ed inusuale; ma, al contempo, se ne riconosce una certa legittimità della stessa. Sto semplicemente cercando di dire che sono molti, moltissimi quelli che, in realtà, predicano bene (riconoscono il diritto di manifestare i propri sentimenti, senza troppo curarsi di convenzioni sociali antiche ed ormai obsolete), ma razzolano piuttosto male (all’atto pratico sono ancora emotivamente turbati dalla vista di due uomini/donne che si baciano e/o si spingono addirittura oltre).
    In quest’ottica, l’amore omosessuale sugli schermi serve solo ed unicamente a fare audience, a far parlare di sé ed a creare un caso, anche ove non realmente necessario. Pensa, ad esempio, alla sitcom Modern Family. In quel caso l’amore tra Cam e Mitchell è grottesco, portato avanti con una comicità quasi tragicomica che, inevitabilmente, suscita nello spettatore emozioni di riso. Ancora, nel film/libro “Un Giorno Questo Dolore Ti Sarà Utile” essa è vista come un “fatto”, come un fattore di discrimazione. Insomma, il fatto che ne parli contribuisce alla costruzione di un caso; ed è questo - secondo me - che andrebbe evitato.
    Sono dell’idea che il problema predominante, ai giorni nostri, sia proprio l’esistenza delle etichette stesse. Etichettare (per scomodare le Categorie Aristoteliche) significa inevitabilmente differenziare ed è il tal senso che reputo indispensabile smetterla di pronunciare le parole “gay”, “etero” e così via.

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    1. Ciao, e ben ritrovato anche qui. :-)

      Dunque, a proposito del motivo per cui l'omosessualità viene mostrata sugli schermi, ovvero per fare audience, sono d'accordo fino a un certo punto. In fondo tutto in tv e al cinema cerca di fare audience. Il punto è che ora esistono serie tv in cui l'omosessualità non è vista come dici tu (non conosco Modern Family). Immagino quindi, per esempio, che tu non abbia visto Sense8 e nemmeno Orphan Black. Soprattutto la prima. E' piena di omosessualità, maschile e femminile, ma non c'è affatto l'approccio che dici tu. Anzi c'è proprio quello che tu dici di non vedere, ovvero "suscitare sentimenti di compassione, immedesimazione, gioia, tristezza e così via". Perché i personaggi non sono lì perché sono omosessuali. Sono lì perché sono esseri umani. Sta proprio qui la differenza e tu l'hai colta benissimo. Eppure in quelle serie è proprio così. E' qui che sta, a mio avviso, un piccolo germe del cambiamento di prospettiva.

      Poi è chiaro che il fatto che l'omosessualità venga mostrata sugli schermi non implica un'automatica accettazione della stessa. Non lo implica affatto. Però in qualche modo contribuisce a rendere avvezzo lo spettatore a quella situazione. E' vero che all'atto pratico molti sono ancora in qualche modo turbati dalla vista di due uomini/donne che si baciano ecc., ma a furia di vederli, ancorché in una fiction, anche in costoro quella situazione presto o tardi entrerà a far parte delle categorie della normalità. Non dico che bastino le serie tv. E non dico che bastino pochi anni. Ci vorrà ancora molto molto tempo e le serie tv non sono certo la panacea di tutta l'omofobia del mondo. Ma sono un segnale, secondo me, non casuale, né trascurabile.

      L'esistenza delle etichette non è un problema dei giorni nostri. Le etichette ci servono a dare il nome alle cose, definirle, conoscerle. Le etichette sono sempre esistite fin da quando Adamo ed Eva (per chi ci crede) hanno dato un nome alle cose del Creato. Dunque non credo proprio che potremo smettere di usarle, perché avremo sempre bisogno di dare un nome alle cose, inclusi gli omosessuali, come la frittata che ho mangiato stasera, questa scrivania su cui sto scrivendo, i gattini che mi girano intorno ecc. Il problema semmai sono i connotati morali ed emozionali che (istintivamente) attribuiamo a quelle etichette. Come le evidenziamo, come le appiccichiamo, come le usiamo. E' l'istinto, il turbamento che deve cambiare. E per cambiarlo serve educazione e cultura, educazione e cultura. Temo che ci vorranno una o due generazioni.

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    2. Probabilmente buona parte della mia risposta deriva dal fatto di non aver visto con i miei occhi molti degli sceneggiati/film più recenti ed, in particolare, quelle serie che citi. Altrimenti son sicuro che anch’io mi sarei reso conto della inversione di marcia (tendenza più che altro) sopracitata.
      Pensandoci bene mi son ricordato di due film in cui si può ravvedere maggior concretezza della tua tesi, vale a dire: Brokeback Mountain e Dallas Buyers Club in cui l’omosessualità è riportata nuda e cruda, per quello che è, cioè un normalissimo atto d’amore.

      Mi lasci, invece, perplesso sulla faccenda delle etichette. Senza dubbio, “nominare” le cose è indispensabile per distinguerle, ma ho paura che, oltre ad una mera classificazione, alcune di esse (nella fattispecie: gruppi di persone, categorie sociali e così via) portino con sé una inevitabile accezione, positiva o negativa che sia. Insomma, è evidente che dire "quello è uno sgabello!" piuttosto che "quella è una poltrona!" non comporti necessariamente una discriminazione dello sgabello nei confronti della poltrona; ma ciò non si verifica, invece, per parole del tipo: neri, ebrei, musulmani, omosessuali e così via.
      Da quanto detto sinora sembrerebbe evidente che non tutte le classificazioni comportino necessariamente un giudizio; ma ce ne sono alcune che, inevitabilmente, lo fanno. Ora, sarebbe meglio smettere di classificare del tutto (forse gli esempi di sopra non sono proprio lampanti) oppure semplicemente non celare più “significati nascosti” dietro le parole?
      Quando mi riferivo ad una abolizione quasi totale del termine “gay”, intendevo dire che questa sarebbe un chiaro segnale di una completa accettazione della faccenda. Facendo un esempio del tutto campato in aria: perché abbiamo un nome specifico per i coprofagi e non per i mangiatori di patatine fritte? Beh, perché le patatine fritte piacciono un po’ a tutti e sono largamente accettate come alimento “normale”, la coprofagia non tanto. Ecco, in quest’ottica (mi scuso per l’esempio assurdo ed un po’ astratto), ritengo che smettere di parlare di omosessuali aiuterebbe non poco ad accettare la cosa.
      Perdona per eventuali errori grammaticali, semantici o logici; ma ho scritto un po’ di fretta.

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    3. A proposito di quello che dici sulle etichette, ricordo che una mia amica una volta mi disse che secondo lei non esistono eterosessuali, omosessuali, transessuali ecc. Esistono le persone "pro-sex" e quelle non-pro-sex.

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    4. @Bacchinif, a proposito delle serie tv, ti consiglio di provare Sense8, vale davvero la pena, a prescindere dalla questione di cui stiamo parlando. Circa le etichette, ho ammesso io stesso che il problema non sono le etichette in se stesse, che sono necessarie per la comprensione del mondo, ma gli attributi morali ed emozionali con cui ogni tanto le accompagniamo. Mi piace molto l'esempio che fai sui mangiatori di patatine fritte (chipsofagi?!) e sui coprofagi. La lingua ci dice molte cose sulla società che l'ha sviluppata. Il punto è che a nessuno interessa etichettare la categoria "mangiatori di patatine fritte", in quanto non ha alcun interesse cognitivo o relazionale, mentre "omosessuali" ce l'ha eccome. Quindi pretendere di smettere di parlarne credo sia impossibile. La difficoltà è spogliare la parola dei connotati morali ed emozionali che gli vengono attribuiti da taluni.

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    5. @Inneres Auge: ma cosa sono i non-pro-sex? Quelli che non lo fanno con nessuno? Nel caso direi che la categorizzazione è fortemente sbilanciata sui pro-sex (chi è che non lo fa?), quindi mi pare una categorizzazione che ha poco significato. Oppure non ho afferrato.

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    6. Con l'ultima parte cogli proprio quello che volevo dire, ovvero: nel momento in cui la parola "omosessuale" verrà del tutto spogliata dei connotati morali ed emozionali di cui adesso è portatrice, ci sono buone probabilità che avrà poco senso usarla. Perché? Perché dire che a Caio piace Tizio sarà un po' come dire che a Marco piace il cappotto verde ed a Nicola quello giallo. Insomma, non ci sarà realmente bisogno di classificare le persone in determinate categorie.
      Mi rendo conto che è un ragionamento un po' forzato, ma, per il momento, la vedo così.

      Nemmeno io ho afferrato la faccenda dei non-pro-sex.

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