Punti di vista da un altro pianeta

mercoledì 21 gennaio 2015

Una cosa o due sul finale di True Detective

Non starò certo qui ad accodarmi (con colpevole ritardo) al coro pressoché unanime dei magnificanti di questa splendida serie TV, una serie notevolissima per intensità, scrittura, interpretazioni, messa in scena, musiche ecc. ecc. Voglio soltanto dire qualcosa circa il finale che, invero da più parti, è stato l'unico aspetto criticato della serie come un insopportabile tradimento rispetto a tutto quanto s'era visto prima.

Insomma, che il cinico e nichilista Cohle alla fine salvi la pelle, che quando sta rischiando di morire abbia la visione della figlia morta quasi fosse una specie di risposta (divina o inconscia) al suo meraviglioso e sprezzante monologo a margine della tenda della Chiesa Evangelica (nell'episodio 3), che alla fine i due protagonisti – nonostante i loro trascorsi anche parecchio burrascosi – se ne vadano via insieme (abbracciati) dall'ospedale, che proprio all'ultimo lo stesso Cohle affermi che una volta c'era solo il buio, ma adesso "Secondo me, la luce sta vincendo", sono tutti segni inequivocabili di un happy end che effettivamente ribalta, e di molto, la visione espressa da Nic Pizzolatto, autore della serie, fino a quel momento. Tutti noi spettatori eravamo convinti che Cohle, a caccia del killer con quella camicia impeccabilmente bianca, icona perfetta per essere inzuppata di sangue, ci avrebbe lasciato la pelle, laggiù negli oscuri meandri di Carcosa. E invece no. Secondo me invece il finale funziona, anzi, è perfetto che True Detective termini così.

Dove sta infatti il problema della mancanza di coerenza? Che fastidio dà il finale così com'è? Ebbene, il pregio di questo finale è la sua realtà e la sua umanità, perché per sua natura l'uomo (e anche il marziano) difetta di coerenza e non è detto che questo sia un male, tutt'altro. Perché la vita è un'esperienza vera solo se porta a una mancanza di coerenza, nella misura in cui l'esperienza modifica la visione delle persone, la evolve e (si spera) la migliora. Forse è questo il suo stesso scopo, della vita intendo, se avete proprio bisogno di cercarne uno. E di certo costituisce uno dei cardini della scrittura cinematografica: il percorso del personaggio che, alla fine della vicenda narrata, non è uguale a come lo avevamo visto all'inizio. E in tutto questo acquista molto senso il fatto che, passato indenne attraverso sofferenze come quelle che Nic Pizzolatto ci ha raccontato, Cohle sia progredito e abbia trovato una scintilla, proprio come la luce di una stella nel buio, qualcosa che lo aiuti a dire che, comunque sia, comunque vada a finire, vale la pena provarci perché le nostre azioni non sono (del tutto) inutili. In fondo è quello di cui tutti abbiamo (disperatamente) bisogno. Si chiama speranza.

6 commenti:

  1. Sono d'accordo.
    Secondo me il finale funziona così com'è e per me è proprio una delle cose migliori dell'intera (grandiosa) serie.

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    1. Ah, la impagabile consolazione di non essere solo! :-)
      Ho sentito/letto una tal selva di assurde bordate su quel finale, che non ci volevo credere.

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  2. Per sua natura l'uomo (e anche il marziano) difetta di coerenza. E non è detto che questo sia un male.
    ...
    Welcome back, Marziano!
    SPB
    (Come vedi ho resistito esattamente cinque minuti alla scoperta del tuo ritorno... :) )

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  3. Neanche da dire che concordo in toto.
    Dopotutto Cohle al termine della vicenda ha infine ottenuto quello che voleva, ed è interessante che dopo 17 anni di sofferenza (anzi, di più, considerando la sua attività prima di TD) non sia stato costretto dagli sceneggiatori a pagare il prezzo più alto per quella parvenza di pace ritrovata.

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    1. Il colpo di scena finale è proprio quello: che Cohle alla fine non paga il prezzo più alto. O forse il prezzo più alto è proprio dover continuare a combattere una lotta alla quale sembra non esserci mai fine?

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